Rita Levi Montalcini (Torino, 1909 – Roma, 2012)
Con il termine glaucoma viene identificato un gruppo di patologie oculari generate da molteplici fattori, con la caratteristica dell’aumento della pressione intraoculare (IOP), fenomeni degenerativi a carico della testa del nervo ottico e un progressivo deterioramento del campo visivo. Alcune forme di neuropatia glaucomatosa vengono tuttavia diagnosticate senza evidenza clinica di ipertensione oculare e inoltre la perdita visiva progressiva nel glaucoma può verificarsi anche con valori di IOP controllati farmacologicamente.
La malattia è ora sempre più vista come una delle neurodegenerazioni del sistema nervoso centrale.
Il glaucoma è caratterizzato dalla distruzione delle cellule retiniche e dalla perdita degli assoni che costituiscono il nervo ottico. Il nervo ottico è una struttura del sistema nervoso costituita dalle fibre (assoni) di particolari neuroni, chiamati cellule ganglionari retiniche, che nel glaucoma sono dapprima mal funzionanti per poi successivamente andare incontro ad apoptosi e quindi a morte programmata cellulare.
Ricordiamo qui come il nervo ottico sia responsabile della trasmissione dei segnali luminosi dalla retina al cervello.
Le cause sconosciute del glaucoma
Come abbiamo visto, la pressione intraoculare non è l’unica causa che può scatenare il glaucoma. Esiste infatti il glaucoma a pressione normale (NTG) che si sviluppa malgrado la pressione intraoculare rimanga entro un range di normalità. Di fatto le cause che possono indurre il glaucoma sono molteplici e i meccanismi non sono del tutto noti e poco studiati.
Risulta quindi evidente che occorrerebbe risalire alle cause scatenanti la malattia per poter intervenire in modo efficace. Purtroppo l’unico fattore di rischio che si conosce e sul quale è possibile intervenire attualmente è la pressione intraoculare.
Nel glaucoma a pressione normale tuttavia il 12% dei pazienti continua a progredire nella malattia nonostante si intervenga con procedure di filtrazione per abbassare la pressione intraoculare entro certi limiti. L’intervento chirurgico per il glaucoma con la creazione di una bozza filtrante è riservato anche nei casi di glaucoma a pressioni elevate, allorquando le terapie mediche massimamente tollerate non siano più sufficienti a controllare adeguatamente la pressione intraoculare.
Gli interventi chirurgici sull’occhio che creano una bozza filtrante presentano tuttavia gravi rischi. L’endoftalmite tardiva o nel breve termine è il rischio maggiormente temuto dagli oculisti e la sua incidenza complessiva può raggiungere il 9,6%. L’infezione può essere fulminante e non lasciare scampo a chi ne venga colpito, malgrado cure tempestive. La bozza filtrante espone al rischio di infezioni per tutta la vita, oltre ad essere causa di dolore, sensazione di corpo estraneo e di bruciore. Senza contare la deformazione della superficie oculare, l’alterazione della dinamica palpebrale e lo scarso risultato estetico.
La chirurgia del glaucoma minimamente invasiva (MIGS)
La comunità scientifica che si occupa di glaucoma presenta spesso in modo quasi trionfale i nuovi interventi chirurgici, definiti mininvasivi (MIGS), che negli ultimi anni sono stati sempre più praticati sui pazienti affetti da glaucoma: un tempo il trattamento chirurgico vero e proprio era considerato “l’ultima opzione” terapeutica disponibile.
Tuttavia è necessario sottolineare che, nel caso di interventi creanti una bozza filtrante come XEN Gel Microstent, la “mininvasività” degli stessi si debba riferire solo al fatto che essi risparmiano i tessuti oculari rispetto alla convenzionale trabeculectomia, mentre permane la possibilità di gravi rischi che possono condurre fino alla perdita totale della vista.
Inoltre, benché i nuovi interventi chirurgici mirino a essere meno invasivi, molti di essi sono stati introdotti con poche prove a sostegno da parte di studi clinici controllati e randomizzati.
Con i termini “studio clinico controllato randomizzato” (RCT, randomized controlled trial) si intende un tipo di studio clinico che miri a ridurre i bias (in statistica, distorsione) durante la sperimentazione di un nuovo trattamento.
XEN Gel Microstent
XEN Gel Microstent è un dispositivo chirurgico mininvasivo sottocongiuntivale per il glaucoma sviluppato con l’obiettivo di migliorare la prevedibilità e il profilo di sicurezza delle procedure chirurgiche per il glaucoma che formano bozze filtranti. Lo stent è un tubo idrofilo composto da un gel suino reticolato con glutaraldeide con buona stabilità e biocompatibilità con minima reazione tissutale.
Lo stent XEN Gel – secondo numerosi studi – risulta controllare la pressione intraoculare con un’efficacia pari alla trabeculectomia, intervento chirurgico per il glaucoma molto più complesso e invasivo. Ma la durata dell’efficacia di stent XEN Gel è limitata nel tempo, con un massimo documentato di quattro anni.
XEN Gel Microstent ha ottenuto il marchio CE nel dicembre 2015 ed è stato approvato dalla Food and Drug Administration (FDA) nel novembre 2016. Da allora, il dispositivo è stato ampiamente disponibile e sono stati pubblicati numerosi studi. Ma è doveroso sottolineare come non siano mai stati condotti studi clinici controllati randomizzati sulla sua efficacia e sicurezza fino ad oggi.
Questo dispositivo avrebbe dimostrato – secondo quanto ci riporta uno studio del 2020 pubblicato su PubMed – risultati promettenti con minori rischi rispetto agli interventi chirurgici tradizionali.
Tuttavia, secondo un altro recentissimo studio su PubMed (su Frontiers il testo integrale), è fondamentale notare che nonostante i vantaggi dello stent XEN Gel di minimizzare i danni ai tessuti e ridurre la durata dell’intervento chirurgico, permanga un rischio di gravi complicazioni, tra cui endoftalmite, emorragia sovracoroideale (severa complicazione causata dall’accumulo di sangue tra la coroide e la sclera) e glaucoma maligno (aumento incontrollabile della pressione intraoculare). Pertanto, il follow-up postoperatorio e il riconoscimento precoce di gravi complicazioni sono essenziali per la gestione chirurgica.
Lo stent XEN Gel viene impiantato ormai diffusamente anche in casi di glaucoma iniziale o moderato; ma le complicanze postoperatorie precoci «includono maculopatia ipotonica (1,9-4,6%), occlusione (3,9-8,8%), emorragia sovracoroideale (SCH), distacco della coroide (0-15%), erosione congiuntivale ed esposizione dello stent in Gel XEN (1,1-2,3%), perdite da ferite e bozza (2,1%) e glaucoma maligno (MG) (2,2%). Le complicazioni postoperatorie intermedie dell’impianto dello stent in Gel XEN includono migrazione di XEN (1,5%), ptosi [abbassamento della palpebra, n. d. r.] (1,2%), endoftalmite (0,4-3%), edema maculare (1,5-4,3%), bozza ipertrofica (8,8%) e frammentazione sottocongiuntivale dello stent in Gel XEN (segnalata in 2 casi). Le complicazioni postoperatorie tardive segnalate nei casi includevano dislocazione spontanea e degradazione intraoculare».
Lo stent in gel XEN, comportando la formazione di una bozza congiuntivale filtrante, spesso richiede una gestione congiuntivale postoperatoria, differendo dall’attuale concetto rivisto di procedure minimamente invasive. Le complicazioni sono innescate nella maggior parte dei casi dall’estrusione del tubo in gel lungo 6 millimetri. Secondo uno studio pubblicato su PubMed a fine 2021, l’incidenza – anche a lungo termine – di una complicanza gravissima come l’endoftalmite «mostra un tasso più elevato (1,7%) rispetto agli studi precedenti con una dimensione del campione significativa (0,4-1,4%)».
«Dalla nostra cartella di 293 occhi operati tra novembre 2016 e novembre 2019, cinque (1,7%) pazienti hanno sviluppato endoftalmite, che si è verificata rispettivamente nei mesi 3, 4, 5, 11 e 14 dopo l’intervento. Il sessanta per cento era stato sottoposto a precedenti procedure di needling [agopuntura intorno la bozza mediante un finissimo ago, n. d. r.]. Tutti mostravano una precedente bozza piatta e avevano sviluppato una perforazione della congiuntiva causata dalla porzione distale del tubo. Un paziente è stato eviscerato precocemente a causa di un decorso fatale. Il trattamento consisteva in antibiotici intravitreali, orali e topici, nonché corticosteroidi topici. L’ottanta per cento è stato sottoposto a rimozione del dispositivo, sutura dello spazio congiuntivale, lavaggio della camera anteriore, estrazione della linguetta dell’umore acqueo (AH) (uno positivo per S. epidermidis e uno per Streptococcus agalactiae) e vitrectomia pars plana. Un secondo paziente è stato eviscerato a causa di tisi bulbare. Dei tre pazienti rimanenti, uno è stato sottoposto a vitrectomia per distacco di retina, mentre due pazienti hanno richiesto un intervento chirurgico per il glaucoma per il controllo della pressione intraoculare. La VA [acuità visiva, n. d. r.] finale è stata ≤20/125 in tutti i pazienti [secondo la tabella di Snellen la cecità legale si attesta con 20/200, mentre 20/20 è considerata una visione normale, n. d. r.].
Conclusione: il dispositivo XEN45 ® sembra innescare l’endoftalmite tramite estrusione dello stent o perdite inosservate attraverso difetti congiuntivali. Si dovrebbe prestare particolare attenzione alle bozze piatte e avascolari».
Un occhio destro come si presenta il giorno dopo l’impianto di Preserflo Microshunt: come si nota, la tasca sclerale (la bozza) è parzialmente coperta dalla palpebra superiore (A). Nella vista ravvicinata lo shunt raggiunge la camera anteriore senza toccare l’iride o la cornea (B). Vista della prominente tasca sclerale durante lo sguardo verso il basso (C)
L’intervento chirurgico di trabeculectomia
La trabeculectomia, intervento di chirurgia oculare ideato nei lontani anni Sessanta dall’oftalmologo britannico John Edward Cairns, continua a rimanere ancora il gold standard della terapia del glaucoma: intervento penetrante altamente invasivo può controllare efficacemente la pressione intraoculare, sebbene i dati sul suo funzionamento a lungo termine non siano così promettenti come si ritiene comunemente.
Si deve ricordare infatti che i dati disponibili sull’efficacia a lungo termine della trabeculectomia sono molto scarsi, anche per la difficoltà di seguire i pazienti nel tempo. Tuttavia, secondo uno dei pochi studi che hanno seguito i pazienti nel lungo termine, dopo 5 anni dall’intervento di trabeculectomia, il 10% dei pazienti si deve sottoporre a nuovo intervento filtrante; dopo 10 anni, il 25% dei pazienti deve subire un nuovo intervento; mentre dopo 15 anni, è ben il 58% la percentuale di pazienti che deve sottoporsi a nuovo intervento filtrante.
Le complicazioni possibili – come l’endoftalmite – a seguito dell’intervento di trabeculectomia sono molto severe, tanto da far discutere molti specialisti se essa abbia ancora un futuro nei prossimi anni. Secondo quanto riporta uno fra i tanti studi che annoverano le complicanze dopo intervento di trabeculectomia, «i problemi principali includono complicazioni a breve e lungo termine come ipotonia, maculopatia ipotonica, fenomeno di wipe-out [perdita irreversibile della visione centrale, n. d. r.], perdite della bozza, cataratta, versamento coroideale ed emorragia. Queste complicazioni sono accelerate dall’uso concomitante di antifibrotici, ma senza di essi, le possibilità di fallimento a breve termine sono anche relativamente elevate».
Gli interventi chirurgici più comuni per il glaucoma (la trabeculectomia e i dispositivi di drenaggio con shunt tubulare) abbassano la IOP deviando l’umore acqueo dalla camera anteriore allo spazio sottocongiuntivale. Occorre sottolineare come queste procedure siano soggette a ipotonia precoce (<1 mese postoperatorio) e complicazioni correlate all’ipotonia che possono causare una grave perdita della vista in almeno il 20% dei pazienti.
Anche l’impianto XEN Gel è soggetto a ipotonia postoperatoria precoce e complicazioni che minacciano la vista. La miopia assiale (forma frequente di miopia caratterizzata dalla presenza di un bulbo oculare troppo lungo) è il fattore di rischio più significativo per il manifestarsi di ipotonia.
La possibile perdita di acuità visiva dopo chirurgia filtrante del glaucoma
Per quanto riguarda il temuto fenomeno del wipe out, secondo quanto ci riporta uno studio che si occupa dell’incidenza della gravissima complicazione nel glaucoma a stadio avanzato, «alcune cause note di perdita della vista dopo chirurgia filtrante del glaucoma sono ipotonia, emorragia sovracoroideale, cataratta, edema maculare cistoide e anestesia retrobulbare che causa traumi al nervo ottico e alle strutture vascolari».
Inoltre si deve ricordare che la chirurgia filtrante del glaucoma può causare la perdita dell’acuità visiva tramite una serie di meccanismi. Ad esserne colpiti non sono soltanto i pazienti con glaucoma avanzato, come abbiamo già visto. Tra le cause più comuni infatti si annoverano l’opacizzazione del cristallino, la maculopatia ipotonica, e il wipe out. I pazienti più anziani, quelli in cui il campo visivo preoperatoriamente mostrava una scissione maculare e quelli che avevano grave ipotonia (pressione intraoculare inferiore o uguale a 2 mmHg) il primo giorno postoperatorio a seguito di intervento di trabeculectomia, hanno maggiori probabilità di sperimentare wipe out.
Un panorama sconfortante
In questo panorama ovviamente sconfortante dal punto di vista dei pazienti, si comprende bene come diventi urgente ma anche imperativa la scoperta di nuove terapie che possano fermare o almeno rallentare efficacemente l’apoptosi (morte) programmata delle cellule ganglionari che costituiscono la retina.
Ciò sarebbe fondamentale non soltanto per la terapia del glaucoma ma anche per la cura di tutte le patologie degenerative che coinvolgono la retina, come la retinite pigmentosa o la maculopatia degenerativa e per le quali finora non esistono terapie realmente efficaci.
Eppure, nel corso di questi anni vi è stato un susseguirsi di scoperte promettenti che avrebbero meritato ulteriori approfondimenti.
La scoperta di Rita Levi Montalcini
Come ha riportato lo scorso maggio il sito Osservatorio Malattie Rare, il fattore di crescita dei nervi (NGF) è il più noto membro della famiglia delle neurotrofine, proteine che condividono un’origine comune e assolvono un ruolo indispensabile nello sviluppo di specifiche cellule. La presenza dell’NGF, ad esempio, è essenziale per la crescita e la sopravvivenza dei neuroni sensoriali periferici e simpatici, nonché di altri gruppi di neuroni specifici del sistema nervoso centrale.
La popolarità del fattore di crescita nervoso è legata alle ricerche della celebre neurologa italiana e Premio Nobel per la Medicina Rita Levi Montalcini, la quale, a metà degli anni Cinquanta del secolo scorso, giunse all’identificazione di una molecola al tempo sconosciuta, particolarmente concentrata nelle ghiandole salivari del maschio di topo. Ben presto si scoprì che quella molecola ricopriva vari ruoli, interagendo con bersagli interni ed esterni al sistema nervoso (fra cui le cellule dell’ipofisi, quelle che producono gli ormoni del sistema riproduttivo, i mastociti, i linfociti o i granulociti). Quella proteina era proprio il fattore di crescita dei nervi, che risultò poi capace di modulare una serie di meccanismi fondamentali dei sistemi neuroendocrino e immunitario.
Grazie agli studi di Rita Levi Montalcini oggi si sa che l’NGF è presente anche nel cervello, esercita una funzione protettiva tale da garantire la sopravvivenza delle cellule nervose periferiche e concorre alla regolazione della sintesi di neurotrasmettitori e neuropeptidi nelle cellule nervose simpatiche e sensoriali. Addirittura, la quantità di NGF secreto dalle cellule bersaglio innervate da un dato neurone è fondamentale per la corretta crescita di quel neurone; per tale ragione, la ricerca scientifica si è orientata verso lo studio dell’NGF in relazione a patologie come l’Alzheimer e il Parkinson. Infatti, la scoperta di come la sintesi e il rilascio di NGF da parte dei neuroni della corteccia e delle cellule gliali possano risultare compromessi in certe patologie neurodegenerative ha condotto i medici e i ricercatori a valutare la somministrazione di NGF a queste specifiche cellule per tentare di interrompere la neurodegenerazione. Sfortunatamente, il fattore di crescita nervoso attraversa con difficoltà la barriera emato-encefalica e i risultati non sono stati quelli attesi.
Ma se da una parte le cose non hanno preso la piega desiderata, da un’altra gli esiti della ricerca sull’NGF sono andati ben oltre l’atteso: infatti, l’utilizzo di questo fattore nel trattamento di alcune lesioni cutanee e, soprattutto, delle patologie oculari ha dato ottimi risultati.
Rita Levi Montalcini fotografata nel suo laboratorio
Gli studi sull’NGF: soprattutto patologie oculari
In una review pubblicata sulla rivista Current Neuropharmacology sono riassunti i risultati di alcuni studi sull’NGF riguardanti patologie come il glaucoma, la retinite pigmentosa, la maculopatia degenerativa e le ulcere della cornea. Il glaucoma è una delle più diffuse cause di cecità nel mondo. Gli scienziati hanno dimostrato che l’aggiunta di NGF in un modello animale di glaucoma comportava un arresto del processo di distruzione a cui vanno incontro le cellule gangliari della retina. In aggiunta, da altri studi era emerso che dopo l’applicazione di NGF la qualità della visione migliorava, come pure la funzionalità del nervo ottico.
Era noto fin dagli anni Settanta che la somministrazione intraoculare di fattore di crescita nervoso può ridurre i danni di natura ischemica e meccanica nel nervo ottico e nei neuroni gangliari della retina. Questo ha indotto gli scienziati a valutare l’approccio con NGF per il trattamento delle retinopatie. A metà degli anni Novanta sono stati pubblicati i risultati di una ricerca, condotta su modello murino di retinite pigmentosa, che dimostrava come l’iniezione intravitreale di NGF riuscisse ad arrestare la degenerazione dei fotorecettori. La retinite pigmentosa è una patologia genetica caratterizzata dalla compromissione delle delicate strutture retiniche tramite cui l’occhio percepisce lo stimolo luminoso, perciò è causa di cecità e alterazione del campo visivo. Dallo studio in questione è emerso che il fattore di crescita nervoso sembra stimolare la proliferazione delle cellule dell’epitelio pigmentato della retina.
L’uso dell’NGF è stato anche segnalato nel caso di un’anziana signora affetta da una forma di maculopatia degenerativa refrattaria alle terapie: il trattamento continuato con NGF ha condotto a un incremento dell’acuità visiva già dopo alcune settimane dalla prima somministrazione.
La colorazione con ematossilina/eosina delle retine di occhi glaucomatosi non trattati ( A ) e trattati con NGF ( B ) ha mostrato una perdita significativamente inferiore ( P < 0,05) di RGC [cellule ganglionari retiniche, n. d. r. (frecce)] negli animali che hanno ricevuto 200 μg/mL di collirio NGF ( C ). L’immunocolorazione anti-TUNEL delle retine di occhi glaucomatosi non trattati ( D ) e trattati con NGF ( E ) ha mostrato una quantità significativamente inferiore ( P < 0,05) di RGC apoptotiche [che vanno incontro a morte programmata, n. d. r. (frecce)] negli animali che hanno ricevuto NGF ( F ). L’analisi molecolare ha mostrato un’espressione di mRNA significativamente inferiore di Bax (un biomarcatore dell’apoptosi cellulare) associata a una maggiore espressione di Bcl2 (un biomarcatore per la sopravvivenza cellulare), come illustrato dal rapporto Bcl-2/Bax ( G ), negli occhi glaucomatosi trattati con NGF rispetto agli occhi glaucomatosi non trattati. L’analisi Western blot di Bcl e 2/Bax ( H ) ha confermato questo effetto protettivo dell’NGF
La svolta: un collirio per la cheratite neurotrofica
La scoperta effettuata settant’anni fa da Rita Levi Montalcini, con gli studi che ne sono conseguiti, ha comunque già portato allo sviluppo della prima vera e propria terapia basata sul fattore di crescita nervoso, ad oggi utilizzata per il ripristino dell’integrità della cornea in pazienti affetti da cheratite neurotrofica, e ancora una volta l’importante traguardo è stato raggiunto grazie agli sforzi della ricerca italiana. Sempre a metà degli anni Novanta del secolo scorso, infatti, i professori Alessandro Lambiase e Paolo Rama hanno avuto l’intuizione di proporre ai genitori di una bambina affetta da una grave forma di ulcera corneale un innovativo trattamento a base di NGF: fu un successo che, successivamente, i due ricercatori confermarono in un’ampia casistica di pazienti e che condusse all’approvazione di un farmaco, un collirio a base di NGF, oggi destinato alle persone affette da cheratite neurotrofica.
Gli inquietanti interrogativi che circondano di mistero il collirio
Ma cosa ne sarà mai stato di questo collirio?
Sembra una domanda assurda, ma la risposta non è affatto scontata. Questo collirio è stato approvato per la cheratite neurotrofica ma è facile comprendere, in assenza di cure alternative efficaci, come molti pazienti possano nutrire speranze per la sua efficacia anche in altre patologie oculari.
Così nei forum di medicina si può trovare la domanda, rivolta all’oculista, se sia possibile usare questo collirio per curare una donna ancora giovane e quasi cieca affetta da retinite pigmentosa. La risposta è sì, a patto che la farmacia ospedaliera lo fornisca per uno scopo diverso da quello per il quale è stato approvato, a patto che la paziente sia in grado di spendere 3.500 euro per una confezione della durata di soli 7 giorni, e a patto di trovare un oculista che voglia seguire la paziente nella prova.
Perché, al di là dei comprensibili entusiasmi, il collirio in questione, di nome Oxervate e prodotto in Italia dalla Dompé farmaceutici, costava anni fa la cifra di ben 3.507 euro a confezione. Per una terapia della durata di due mesi, come consigliato in caso di cheratite neurotrofica, il costo ammontava a ben 28.000 euro.
Quisquilie per chi li ha. Ma per chi non li aveva, si trattava di un ostacolo insormontabile, visto che il farmaco è registrato in classe C a totale carico del paziente.
Ma non finisce qui. Se prima abbiamo parlato al passato, c’è una ragione. Il costo del farmaco infatti, guarda caso nel periodo COVID, è salito, anzi lievitato enormemente e inspiegabilmente: non bastano più 3.507 euro; da allora ce ne vogliono 17.536 euro a confezione, della durata di soli 7 giorni.
Non osiamo nemmeno fare il calcolo per una terapia di due mesi, come consigliato per la cheratite neurotrofica.
Il motivo dell’aumento: si tratta senz’altro di un mistero ancor più difficile da chiarire delle cause sconosciute della degenerazione delle cellule ganglionari retiniche.
Non bastava già che il farmaco in questione non fosse in vendita al pubblico nelle farmacie ordinarie e costasse già 3.507 euro a carico soltanto del paziente.
A questo, si deve aggiungere un ultimo plateale colpo di scena. Ci siamo informati in una farmacia estera per sapere l’effettiva reperibilità del collirio Oxervate: dopo le dovute informazioni da parte del farmacista, la risposta del fornitore è stata che “non lo fanno più”.
E i pazienti affetti da cheratite neurotrofica per i quali non esiste cura? Sembra proprio che possano “attaccarsi al tram”.
In questi anni si è parlato ancora della scoperta di fattori di crescita di origine naturale che potrebbero fermare la degenerazione delle delicate fibre nervose che compongono la retina e che sono all’origine di molte patologie oculari che non lasciano scampo a chi ne è colpito.
C’è infatti un’altra scoperta degna di nota, avvenuta ormai parecchi anni fa, e della quale oggi non si parla più. Tuttavia nel 2019 il sito Notiziario Chimico Farmaceutico titolava affermando:
Collirio dal siero cordonale per il glaucoma
«Un collirio per il trattamento del glaucoma è stato brevettato un gruppo di ricercatori dell’Università di Bologna dopo che il suo effetto neuroprotettivo è stato dimostrato in studi preclinici in vitro, ex vitro e in vivo.
Il nuovo prodotto si basa sui fattori di crescita contenuti nella parte sierica del sangue contenuto nel cordone ombelicale. Tali fattori di crescita sono in grado di contrastare il glaucoma con effetti riparativi che potrebbero essere efficaci anche su altri tipi di malattie degenerative oculari.
“A partire dal 2007 abbiamo trattato con un collirio da sangue cordonale circa un centinaio di pazienti affetti da forme severe di secchezza oculare, provenienti da tutta l’Emilia-Romagna ma anche da altre regioni – spiega Piera Versura, studiosa dell’Università di Bologna tra i coordinatori dello studio. – La riduzione del dolore, altrimenti non controllabile, è stata riferita pressoché da tutti, e grazie a questa osservazione abbiamo intuito che il nostro ritrovato poteva anche avere degli effetti riparativi sulle cellule nervose danneggiate, grazie all’insieme di fattori di crescita che caratterizza, in natura, il sangue cordonale”.
Il nuovo collirio è stato brevettato da un gruppo di ricercatori dell’Università di Bologna guidato da Emilio Campos e Piera Versura del Dipartimento di Medicina Specialistica, Diagnostica e Sperimentale.
Allo studio hanno collaborato inoltre Marina Buzzi della Banca Regionale dei Tessuti, del Sangue Cordonale e Biobanca (ERCB) presso il Policlinico di Sant’Orsola, Silvia Bisti dell’Università dell’Aquila e Claudio Velati dei Servizi di Medicina Trasfusionale e Immunoematologia delle Aziende USL e Ospedaliera di Bologna.
Emilio Campos, Direttore della Scuola di Specializzazione in Oftalmologia dell’Università degli Studi di Bologna e Vicepresidente della Società Oftalmologica Italiana (SOI) fino al 2021
Proprietà del siero del sangue del cordone ombelicale
Il collirio messo a punto dagli studiosi si basa infatti sull’utilizzo di una parte del sangue contenuto nei cordoni ombelicali che vengono donati al momento del parto dalle madri, dopo avere rimosso le cellule staminali utilizzabili a fini di trapianto.
“Nel sangue del cordone ombelicale, e in particolare in una sua parte, il siero, c’è una serie di fattori di crescita che sono in grado di esercitare un’azione riparatoria contrastando le malattie degenerative dell’occhio, come il glaucoma ma non solo – sottolinea il professore dell’Università di Bologna Emilio Campos, altro coordinatore dello studio. – Inizialmente partiremo con il trattamento di questa patologia, ma si tratta di un prodotto che potrà essere utilizzato anche su altre malattie degenerative dell’occhio”.
Una volta sperimentato il collirio sui pazienti affetti da glaucoma, infatti, i ricercatori auspicano che gli stessi effetti riparativi si possano riscontrare anche su altri tipi di malattie degenerative oculari.
“Con questo collirio biologico – conferma Piera Versura – abbiamo ottenuto un significativo valore aggiunto grazie all’uso del sangue cordonale, somministrando un farmaco che è il risultato dello sviluppo naturale di una nuova vita. Il sangue del cordone ombelicale viene infatti prodotto in un periodo di elevata richiesta metabolica e potrebbe quindi rappresentare una potente combinazione di fattori trofici, cioè di quelle sostanze prodotte dall’organismo in grado di garantire la sopravvivenza delle cellule e di stimolarne la crescita”».
Piera Versura, Prof.ssa Associata di Malattie dell’Apparato Visivo, Università di Bologna
Corre l’anno 2019 ma – come abbiamo letto – gli studi risalgono a un certo numero di anni prima.
I giornali locali e nazionali parlano diffusamente di questa notizia, e, da quanto risulta con chiarezza, il Prof. Campos aveva dato il via nel gennaio 2017 ad una fase pilota dello studio, testando il collirio – nato all’interno del Policlinico Sant’Orsola Malpighi – sui primi dieci pazienti affetti da glaucoma.
Il Prof. Campos, Direttore di Oftalmologia che vantava ben 43 anni di esercizio, aveva dichiarato: “Sarà un prodotto, non a scopo commerciale, distribuito solo all’interno delle strutture pubbliche”.
Mentre si pensava di testare il prodotto anche su altre malattie oculari.
Ma all’improvviso accade qualcosa di inspiegabile: su tutti i progetti cala una fitta coltre di silenzio e le tracce lasciate sul web dalla scoperta si smarriscono qui.
Sappiamo con certezza però che, da quel momento, non si parlerà più di sperimentazione del collirio sui pazienti affetti da glaucoma o da altre patologie oculari degenerative.
Una coltre di silenzio
Sappiamo ancora che il Prof. Emilio Campos era un uomo che già altre volte si era scontrato violentemente con i poteri forti finendo anche sotto scorta dopo aver subito minacce di morte.
Sul fatto, una cattedra da assegnare, graverebbe anche l’ombra della massoneria. In particolare dell’appartenenza al Grande Oriente d’Italia e della Gran Loggia d’Italia. E’ quanto emerse nel corso di un processo che si svolse nel 2011. Da una perquisizione richiesta dall’accusa – come riportò allora Il Fatto Quotidiano – “era saltato fuori materiale di matrice massonica mentre da alcune telefonate sarebbero emerse appoggi per la futura affiliazione di medici di recente nomina”.
Sappiamo pure che Campos non aveva peli sulla lingua ma dichiarava pubblicamente ciò che pensava, quando altri colleghi non ne avevano il coraggio o, peggio, erano asserviti, denunciando i grandi conflitti di interesse che affliggono e gravano la medicina moderna.
Ebbene, quest’uomo muore. E’ il 18 settembre 2021: non arriverà a compiere 71 anni. Un tumore è la causa del decesso.
Nel caso degli studi condotti dalla Prof.ssa Rita Levi Montalcini, la sperimentazione sul fattore di crescita NGF era avvenuta soltanto su tre pazienti affetti da glaucoma. Nello studio invece condotto dal Prof. Campos insieme alla Prof.ssa Piera Versura, e altri – pubblicato su PubMed nel 2018 – la sperimentazione era avvenuta incidentalmente su due pazienti affetti da glaucoma e per altri scopi.
Ma i risultati rivelati dalla perimetria nello spazio temporale di pochi mesi si erano rivelati sorprendenti.
Paziente 2. Test del campo visivo centrale 30-2 registrato a marzo 2016 (a, b) prima dell’inizio del trattamento CBS, a giugno 2016 (c, d) alla fine del trattamento CBS e a settembre 2016 (e, f) dopo quattro mesi dalla fine del trattamento CBS, nell’occhio destro (RE) e sinistro (LE)
Il collirio Cord Blood Serum (CBS) era stato preparato in origine per ottenere la guarigione epiteliale della superficie oculare, in persone che lamentavano disturbi persistenti anche se in assenza di cheratopatia. E a questo scopo viene usato tutt’ora con successo. La sua efficacia e tollerabilità dimostra di essere superiore al trattamento con farmaci di sintesi.
I detrattori sostengono che i dati sull’efficacia in patologie degenerative come il glaucoma siano scarsi e insufficienti. E su questo hanno ragione.
E allora perché non proseguire le sperimentazioni?
Occorrerebbe valutare l’efficacia di questi colliri contenenti fattori di crescita (GF) sulle patologie degenerative che colpiscono il nervo ottico – come il glaucoma – con un vasto studio clinico controllato randomizzato e in doppio cieco.
Occorre urgentemente passare dalla ricerca di base alla ricerca applicata per concretizzare gli importanti risultati ottenuti dalla prima.
E far sì che i pazienti affetti da glaucoma o da altre patologie degenerative come la maculopatia o la retinite pigmentosa possano eventualmente beneficiare dei risultati positivi di questa ricerca.
Ma c’è o ci sarà mai la volontà di farlo?
Una “bozza” che vale miliardi
Il glaucoma è la patologia oculare più diffusa al mondo. In ambito scientifico viene spesso ripetuto che le cure efficaci ci siano. Ma esse, come abbiamo visto, controllano la malattia senza mai curarne le cause.
Sempre che riescano davvero a controllarla, perché un certo numero di pazienti peggiora malgrado abbia una pressione intraoculare controllata. Quale sarà il destino di questi pazienti?
Dovrebbe essere esercitata allora, da parte della comunità scientifica del glaucoma, se veramente avesse a cuore il destino di questi pazienti, enorme pressione affinché vengano condotti studi clinici controllati randomizzati e in doppio cieco sui risultati più promettenti degli ultimi decenni.
Attualmente si parla moltissimo dell’efficacia terapeutica delle cellule staminali. A Sciacca, in provincia di Agrigento, esiste la più grande banca del sangue ricavato dal cordone ombelicale: l’Ospedale Giovanni Paolo II del comune siciliano, che raccoglie donazioni da tutta la regione, ha già spedito molti farmaci alla volta di altre regioni italiane. Recentemente ha spedito 300 colliri diretti al Policlinico di Milano, reparto di Oftalmologia, per cure sperimentali sulla maculopatia degenerativa secca, legata all’età.
Ma di glaucoma, nemmeno a parlarne. Su questa diffusa patologia è sceso – come abbiamo visto – un imbarazzante silenzio.
Il motivo?
Forse, perché “la bozza” filtrante vale miliardi.
Intorno alla formazione e al corretto funzionamento nel tempo della bozza filtrante congiuntivale ruotano infatti un’infinità di farmaci, di cui alcuni sono molto costosi.
Anche i mini dispositivi impiantati durante gli interventi di chirurgia oculare mininvasiva, allo scopo di controllare la pressione intraoculare, sono molto costosi. Fra questi, tra i più costosi risulta essere XEN Gel Microstent, che probabilmente è anche il più usato.
Inoltre è doveroso ricordare che l’efficacia di questi mini dispositivi è limitata nel tempo; quindi il paziente, sarà costretto – per poter controllare efficacemente la pressione intraoculare – a passare da un intervento all’altro, in quello che potremmo definire un calvario senza fine.
Se si considera che in media l’efficacia dei mini dispositivi per la chirurgia del glaucoma non duri più di tre, quattro anni e che negli ultimi anni i candidati alla chirurgia filtrante del glaucoma siano spesso pazienti con glaucoma anche lieve o moderato, allora si può comprendere come il numero di mini dispositivi impiantati ogni anno stia aumentando in modo crescente.
Viene ripetuto di sovente che l’intervento chirurgico di glaucoma – mininvasivo o meno – sia particolarmente utile per i tantissimi pazienti intolleranti ai principi attivi dei colliri ipotensivi attualmente disponibili in commercio. Non viene chiarito tuttavia che durante e dopo l’intervento di filtrazione verranno applicati nell’occhio operato – solitamente per via sottocongiuntivale – farmaci chemioterapici, altamente tossici, e che poi si proseguirà con farmaci antinfiammatori steroidei sotto forma di colliri, che potrebbero anche essere necessari a vita. E’ evidente che questi farmaci entreranno in assorbimento a livello sistemico (ovvero la quantità di farmaco che raggiunge la circolazione sistemica) e potrebbero nel tempo essere responsabili di una serie di effetti collaterali potenzialmente pericolosi.
Fotografie alla lampada a fessura che mostrano complicazioni correlate alla bozza dopo trabeculectomia con Mitomicina C aggiuntiva. A, Formazione di una bozza filtrante a parete sottile e localizzata con area di fibrosi “ad anello d’acciaio” densamente cicatrizzata, circondata da una moderata quantità di congestione vascolare. B, La perdita della bozza filtrante è stata ben evidenziata con un test di Seidel positivo utilizzando la colorazione con fluoresceina sodica. C, La perforazione della bozza filtrante aumenterà il rischio di infezione della bozza e persino di endoftalmite. D, La blebite [infezione della bozza, n. d. r.] con una bozza avascolare pallida e localizzata. Si nota una grave congestione della congiuntiva bulbare. La freccia nera indica una lesione purulenta che sporge sulla superficie della bozza.
Fotografie alla lampada a fessura che mostrano la congiuntivalizzazione della cornea superiore (grave complicazione che può comportare opacità corneale e perdita della vista) dopo trabeculectomia con aggiunta di Mitomicina C. Foto A-F: la bozza è migrata sul limbus e sulla cornea. D-F: la freccia verde indica la formazione della bozza a parete sottile
Il Fluaton è un collirio antinfiammatorio usato a lungo e diffusamente dopo la chirurgia filtrante del glaucoma in quanto viene metabolizzato molto velocemente e perciò non provoca un aumento della pressione intraoculare. Ma bisogna sottolineare che il Fluaton contiene fluoro.
Già, quel fluoro che anche se spacciato da molti siti che si occupano di sanità come del tutto innocuo, risulta essere invece altamente tossico per il cervello e per il resto dell’organismo.
Studi sugli animali mostrano che il fluoro è cancerogeno, specialmente per i tessuti ossei e per il fegato. Il fluoro ha un effetto bloccante sull’attività enzimatica e sul sistema nervoso centrale, generando danni a livello cerebrale (riduzioni del quoziente d’intelligenza e ritardi mentali), depressione polmonare e cardiaca. Attualmente il fluoro è impiegato nei gas lacrimogeni.
E poi c’è il cosiddetto needling, sbrigliamento delle aderenze cicatriziali intorno la bozza congiuntivale mediante un ago, a cui viene sottoposto il paziente nel caso molto frequente che la bozza filtrante funzioni male. Anche il needling prevede di solito iniezioni sottocongiuntivali di farmaci chemioterapici come il 5-Fluorouracile (contenente fluoro), le quali molto spesso vengono ripetute più volte, con cadenza settimanale.
E proprio gli interventi chirurgici mininvasivi presentano il tasso più alto di needling della bozza. Con lo XEN Gel Microstent si arriva anche al 39,2% dei pazienti.
Poi si deve far menzione degli ulteriori interventi di revisione della bozza filtrante che riportano il paziente in sala operatoria e lo sottopongono a ulteriori iniezioni sottocongiuntivali di farmaci chemioterapici come la Mitomicina C.
Fotografia che mostra l’incapsulamento della bozza prima della revisione chirurgica, dopo l’impianto di PRESERFLO® MicroShunt su una donna di 40 anni. La donna è stata sottoposta nel periodo post operatorio a sei needling e una revisione della bozza. Un ultimo needling con betametasone, a causa di una recidiva dell’incapsulamento della bozza, si è dimostrato fatale a causa dello sviluppo di endoftalmite (fotografia ottenuta con il consenso della paziente)
Si comprende allora come intorno alla chirurgia filtrante del glaucoma ruoti un enorme numero di farmaci, molti dei quali dovranno essere continuati a vita. Oltre ad esporre il paziente a rischi molto gravi che possono condurre alla perdita della vista.
E allora si può capire bene come l’interesse delle case produttrici di farmaci sia quello di mantenere il più a lungo possibile un malato cronico.
Un malato cronico infatti avrà sempre bisogno di cure continuative e subirà nel tempo anche gli effetti sistemici delle cure prescritte che potranno richiedere ulteriori farmaci per essere curati.
La mancata aderenza alle terapie del glaucoma
Inoltre, il problema della non aderenza alle terapie del glaucoma a causa dei penosi effetti collaterali dei colliri ipotensivi o il rifiuto della chirurgia incisionale da parte di molti pazienti, è un problema grave e molto diffuso, anche se si tende a nasconderlo.
Basta guardare i dati reali: secondo quanto emerge da uno studio pubblicato sulla rivista American Journal of Ophthalmology, il 45% dei pazienti ammalati di glaucoma assume meno del 75% della dose di farmaci prevista.
Oppure fare un giro sul web per accorgersi come pazienti, reduci da oltre un anno da interventi altamente invasivi come la trabeculectomia, si dichiarino pentiti di quanto fatto. Anche a fronte della perfetta riuscita tecnica dell’intervento.
Molti pazienti infatti non vengono adeguatamente informati, prima di un intervento chirurgico di glaucoma agli occhi, di come questo possa compromettere per sempre la motilità oculare dell’occhio operato e condannarli alla sopportazione del dolore. Né di come la ptosi (abbassamento della palpebra) sia una conseguenza ben nota della chirurgia del glaucoma, inclusa la MIGS. Se la ptosi è di lieve entità non si interviene chirurgicamente, per la complessità dell’intervento. Se è la ptosi è di entità elevata, allora diventa necessario intervenire chirurgicamente a causa dei gravi problemi che essa comporta, fino alla perdita della vista, tenendo conto tuttavia che è molto difficile raggiungere una perfetta simmetria fra entrambe le palpebre.
Ancora, non vengono adeguatamente informati sul come le dimensioni della bozza filtrante possano divenire molto superiori rispetto alla norma. Questo comporterà che la palpebra potrà rimanere tutta alzata o tutta abbassata, secondo il sito di formazione della bozza. Ed eventualmente, riportare il paziente in sala operatoria.
Oppure, come il rischio di ipotonia grave, che può manifestarsi anche a seguito di interventi mininvasivi come XEN Gel Microstent, possa portare in breve tempo a perdita totale della vista se non si interviene o non si riesce a intervenire in modo adeguato.
Il Professor Strampelli
Una curiosità sulla storia della chirurgia del glaucoma riguarda l’intervento, ideato da Benedetto Strampelli (Roma 1904-1987), di ciclodiastasi a filo di Supramid, per abbassare e controllare la pressione intraoculare. Strampelli, grande oculista e padre delle lenti intraoculari, aveva inventato questa procedura negli anni Sessanta.
La procedura non prevedeva la creazione di una bozza filtrante, ma sfruttava la via sovracoroideale, all’interno dell’occhio, per far defluire l’umore acqueo e quindi permettere di abbassare il tono oculare.
Ovviamente tutte le spiacevoli, rischiose, quanto altamente invasive conseguenze relative alla creazione della bozza filtrante sottocongiuntivale venivano azzerate in un colpo.
Da quanto si evince dalle frammentarie informazioni a noi disponibili, si trattava di un intervento molto efficace nell’abbassare la pressione intraoculare e con effetti duraturi nel tempo. Il filo di Supramid infatti è un filo usato in chirurgia che possiede la caratteristica di non subire degradazione nei tessuti e mantenere la stessa forza tensile: quindi non vi era il rischio perenne, e sempre presente nella chirurgia attuale del glaucoma, di cicatrizzazione.
Con l’intervento di chirurgia penetrante come la trabeculectomia, la cicatrizzazione della fistola creata, ovvero della comunicazione pervia tra l’interno e l’esterno del bulbo oculare allo scopo di garantire un continuo drenaggio di liquido, è il rischio costante che vanifica l’efficacia della chirurgia filtrante del glaucoma.
È possibile che l’intervento di ciclodiastasi ideato da Strampelli presentasse una certa invasività; anche se occorre sottolineare come in generale il filo di Supramid permetta un passaggio molto delicato attraverso i tessuti con minima separazione, trascinamento e trauma dei tessuti stessi.
Ma l’intervento di trabeculectomia, gold standard della chirurgia del glaucoma che ha avuto larghissima ed esclusiva diffusione a partire dagli anni Sessanta, non è di sicuro meno invasivo.
Eppure, incredibilmente sul web non si trovano più informazioni in merito alla ciclodiastasi ideata da Strampelli: basta dare un’occhiata per accertarsi.
PubMed riporta due articoli in italiano sulla ciclodiastasi a filo, rispettivamente del 1969 e del 1967, di cui il primo porta la firma dello stesso Benedetto Strampelli. Il titolo è interessante: “Ciclodiastasi per introflessione sclerale”, ma non una parola sul suo contenuto.
“No abstract available”, ci informano.
Inoltre, secondo quanto ci indica il titolo del secondo articolo, il Prof. Strampelli aveva pure messo a punto l’esecuzione di un unico intervento simultaneo di cataratta e glaucoma.
Altre ricerche sugli Annuali di Oftalmologia e Clinica Oculistica hanno dato esito negativo: ancora una volta ci rimangono i titoli degli articoli che trattano della ciclodiastasi di Strampelli ma non è possibile leggere il testo e neppure l’abstract dell’articolo.
Sembra che la figura stessa di Benedetto Strampelli sia stata totalmente cancellata dalla storia: di lui non ci resta neppure una fotografia che lo ritrae, ad eccezione dell’immagine sulla medaglia nella foto sottostante, che dimostra senza ombra di dubbio i suoi indiscussi meriti in Oftalmologia.
Pochissime e frammentarie le informazioni sul grande oftalmologo romano, anche se illustri oculisti stranieri nei loro studi ricordano con gratitudine la figura di Strampelli e i suoi meriti pionieristici in Oftalmologia.
Medaglia dedicata a Benedetto Strampelli, sul retro della medaglia l’effigie della SOI – Società Oftalmologica Italiana
Ancora una volta, il mistero scende fitto sulle terapie del glaucoma e avvolge anche un eccellente protagonista italiano della sua storia.
Una riflessione conclusiva
Mentre sulle cellule staminali, di cui si parla ormai sempre più diffusamente, e sulle loro enormi capacità terapeutiche a vantaggio di moltissime e svariate patologie, ad eccezione ovviamente della cura del glaucoma, si organizzano sempre più incontri e convegni.
Come quello svolto a Milano il 6 e 7 giugno scorso e che ha visto i Lions – società para-massonica – tra gli altri organizzatori.
A suggerire come il connubio tra industria farmaceutica e massoneria sia ben saldo.
E come venga esercitato da tempo un controllo capillare su tutto ciò che concerne la medicina moderna, dalla formazione dei sanitari alle cure, dall’integrità della ricerca alla formulazione delle linee guida, dai sistemi regolatori per l’approvazione dei farmaci all’impostazione dei trial clinici.
E’ quanto era già emerso nel corso dei risultati di un’indagine nazionale, condotta online in forma anonima tra il marzo e l’aprile 2017 dall’Italian College of Medical Oncology Chiefs (CIPOMO, Collegio Italiano dei Primari Oncologi Medici Ospedalieri) e alla quale avevano partecipato 321 oncologi italiani, ospedalieri e universitari. I risultati erano stati pubblicati nel luglio 2018 sul British Medical Journal Open, secondo i quali il conflitto di interessi influisce sempre più su ogni ambito della medicina.
D’altronde, non è certo un mistero il sostegno e la sponsorizzazione che il Rotary Club – altra nota società para-massonica – offra ad associazioni che si occupano di prevenzione delle patologie oculari, di sviluppo scientifico e formazione dei sanitari, come l’Associazione Vision+ Onlus.
A indicare come il Rotary Club vanti ormai una presenza all’interno di associazioni che collaborano con enti pubblici, come il Policlinico di Milano nel caso della Vision+ Onlus.
La schermata riguardante Visione+ Onlus, così come si presenta da smartphone, del Policlinico di Milano: da notare in basso il logo di Vision+ affiancato sulla destra da quello del Rotary Club
Nel 2018 Fausto Roila, uno degli autori dell’indagine condotta dal CIPOMO ed ex Direttore della struttura complessa di Oncologia Medica all’Ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia, aveva dichiarato senza mezzi termini: «La formazione dei medici è finanziata soprattutto da Big Pharma e spesso ai convegni il medico “esperto”, pagato dall’industria per fare una presentazione scientifica, veicola messaggi favorevoli ai prodotti di chi paga per organizzare il convegno. La formazione medica dovrebbe essere invece pagata dalle istituzioni per evitare condizionamenti. Stessa cosa succede per i convegni scientifici delle associazioni mediche finanziati con i contributi delle multinazionali farmaceutiche che pagano per i simposi satelliti e si fanno carico delle spese di iscrizione, viaggio e pernottamento dei medici. Oggi perfino le associazioni dei malati sono supportate dall’industria dei farmaci».
Alla luce di tutto quanto esposto, tenuto conto che la formazione dei medici e la designazione delle figure apicali sia gestita ormai nella quasi totalità dalle case farmaceutiche, si capisce a fondo perché difficilmente si voglia passare dalla ricerca di base alla ricerca applicata e quindi a una sperimentazione umana su larga scala nel caso di sostanze che diano risultati promettenti.
Il problema del glaucoma come di altre patologie degenerative retiniche è, in ultima analisi, lo stesso del cancro.
Gli enormi conflitti di interesse, ormai dominanti in medicina, continuano a sbarrare di fatto la strada a terapie a basso costo o comunque a terapie efficaci che mirino a curare la malattia fin nelle sue cause scatenanti.
E a guarirla.