Al Chelsea Hotel di Manhattan, gli artisti, veri o presunti tali, ci arrivavano con la certezza di trovare un ambiente stimolante, e soprattutto in grado di tollerare ogni eccesso. Tra questi, Patti Smith e Robert Mapplethorpe vi soggiornarono per anni, Andy Warhol lo scelse come location di alcuni film, Arthur Miller trovò ispirazione per i suoi romanzi, e Janis Joplin visse una breve storia d’amore con Leonard Cohen, da quest’ultimo tramutata in canzone. Il poeta Dylan Thomas ci morì pure dopo aver bevuto 18 bicchieri di whiskey nella stanza 205, durante un poetry-reading tour.
Ora la mostra Stories from the Rooms ricorda quella splendida irripetibile stagione del Chelsea. Per chi nel miracolo dell’arte che sopperisce alla pochezza della realtà ci crede ancora.
Alla fine questi sono i luoghi che ci mettono in imbarazzo con la bellezza perché diventano belli per quello che hanno o hanno avuto dentro. Quindi non sono belli per esserlo ma diventano belli per la storia che li ha attraversati e che potrebbero raccontare quelle camere, quelle pareti, quegli oggetti e, soprattutto, quei letti. Tutte cose che, invece, sono e rimarranno più discreti di camerieri e lift sempre pronti a spettegolare ed inventare verità apparenti, rispetto alle verità vere che solo quelle pareti, letti ed anche toilet custodiscono nei loro ricordi. Parola per parola, gesto per gesto, sorriso per sorriso e lacrima per lacrima.
Certo, malgrado tutto sia ormai consegnato alla storia, quella bolla temporale, preziosa nella sua unicità, riesce ancora ad affascinare attraverso racconti più o meno veritieri e suggestioni visive. Finale con deriva poetica, il tuo commento.