Art. 12. La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso

Merano, la neosindaca Zeller si toglie la fascia tricolore e indossa solo il medaglione tirolese: «È il distintivo ufficiale in Alto Adige» | Corriere.it

L’Italia non è un Paese per persone serie: neppure il tempo di seppellire l’antipapa che la neo-sindaca di Merano, cresciuta a pane e Südtiroler Volkspartei, disvela senza imbarazzi la propria natura: durante la cerimonia del passaggio di consegne si è sfilata la fascia tricolore, adducendo a pretesto l’intollerabilità d’essere stata investita in modo arrogante da un maschio di qualche anno più grande. E cosa dire dell’avvocata di Andrea Sempio, tale Angela Taccia, che a coronamento di una giornata che forse porterà a una svolta nella vicenda di Garlasco, se ne esce con “guerra dura senza paura“? Pensa forse di essere ancora nella piazza di Garlasco quando lei e il suo assistito condividevano lo stesso gruppo di amici? Le diresti serie queste signore?

“O vergogna, dov’è il tuo rossore?” andava rammaricandosi l’immenso Shakespeare più di quattrocento anni fa. Ma il suo biasimo resta attuale, perché gli esseri umani non cambiano mai.

non sono una signora

Primera vez de las mujeres de Tanino Liberatore en Madrid | RTVE

“Nomi”

“Ho sempre girato la terra a mano. Vanga o zappa. Sono contro al trattore. E alla motozappa. Il trattore schiaccia la terra. La motozappa la frulla. La vanga e la zappa, non lo fanno. La terra respira, libera.

Che poi, la zappa non è una zappa. La zappa, come zappa, non esiste.

Esiste un bastone. Un pezzo di metallo. Dei chiodi. Il metallo ha un anello dove si infila il legno. Si battono i chiodi. Lasci nell’acqua una notte, il legno gonfia e il metallo non sfila.

La zappa è legno e metallo.

La chiamiamo zappa perché la vanga anche, è legno e metallo. E il martello. Diamo nomi alle cose per le differenze. Anche a noi, ci diamo nomi. Per comodità. Se no, a me, come mi chiamano: «Ehi, maschio quarantenne, moro, barbuto, di mezza altezza, dalle braccia lunghe e le gambe storte, che ti muovi come in discesa!»

Sono già via.

Che poi, tante volte, il nome tuo non è il nome tuo. Macaco, non è il nome mio. Così mi chiamano. «Macaco». E mi giro. Questo per dire che inizio come inizio.”  Simone Torino, Macaco

E a proposito di nomi, o meglio di appellativi, mi fa strano notare che certe donne in tv, donne di sinistra con curricula grossi così, rifiutino l’appellativo “signora”. Quando qualcuno s’azzarda ad apostrofarle in tal modo, per tutta risposta sibilano: “sono una giornalista/un medico/una professoressa, non una signora”. A quel punto l’incauto interlocutore, in genere si tratta di contrapposizioni maschio-femmina, non può fare altro che scusarsi sottolineando che non era sua intenzione offendere. E infatti, da quanto in qua il sostantivo signora è da considerarsi insultante? Un titolo accademico prevede forse, tra le sue specificità, di non poter mai essere scalzato da quelle tre sillabe che da sempre sottendono cortesia e rispetto? Mah, valle a capire certe signore.