Io me li ricordo bene i tempi in cui non c’era margine di manovra, nel senso che, se si era in due, l’interlocutore ti guardava negli occhi per tutto il tempo, a meno che un accidente non fosse intercorso a turbare l’idillio. Ora un interlocutore così attento è merce rara quanto i funghi fuori stagione: che sia il tuo uomo, il datore di lavoro, il collega o l’amico, la musica è sempre la stessa, e arriva dallo smartphone sotto forma di suoneria, notifica o suono lugubre da vibrazione. Ma che succede alle coppie che tengono sempre a portata di mano il cellulare? Che tipo di intimità, malizia, complicità si può instaurare se nel momento in cui si è pericolosamente vicini il terzo incomodo reclama attenzione? Niente di più facile che al postcoito non ci si arrivi neppure. In linea generale, il cosiddetto phubbing, ovvero l’atteggiamento di trascurare l’altro per dedicarsi compulsivamente allo smartphone, sta rovinando le relazioni sociali, e non solo quelle di coppia. Ma nessuno pare preoccuparsene. Solo io continuo a restarci male, però ho messo a punto una piccola vendetta: quando chi mi sta di fronte rientra dallo stato di straniamento e mi dice: scusa, dicevamo?, io rispondo: non me lo ricordo più. E poi mi faccio evanescente.
Phubbing: Composto dal s. ingl. ph(one) (‘telefono’) e dal v. ingl. (sn)ubbing (‘snobbare’).
Mi ricorda quel film dal titolo Perfetti sconosciuti.
bellissimo, solo il finale mi lasciò un po’ interdetta
Credo sia una questione di forza di carattere che forgia la qualita’ del rapporto. Molto semplice rifugiarsi nel telefono dove puoi scegliere l’interlocutore, il contesto e l’argomento, tutto tranne ahinoi il tempo, sentendo comunque di giocare in casa . In un rapporto a due (leggi incontro) puoi scegliere tutto ma per giocare con l’ imprevedibile serve forza d’animo, flessibilita’ , inventiva, qualita’ che nel piccolo schermo di uno smartphone nemmeno ci stanno. Tenderei a spegnere il telefono
appena si puo’, che lasciarlo a casa sembra impossibile