Fuori dal pozzo

IL POZZO DEI DESIDERI

Il mio autore è uno bravo. Ha fatto di me un’eroina malgrado mi mancassero i fondamentali. Mi ha immaginata carina e con gli occhi intelligenti, al limite dell’impertinenza. Con i capelli, invece, non si è impegnato un granché, ma la fronte spaziosa è un indizio aggiuntivo. Il mio autore mi ha fatto prendere un diploma e una laurea, poi mi ha dato una cattedra della quale non ho fatto un grand’uso: c’è che sono una ribelle, e se devo picchiare qualcuno per difendere un’ideale, beh, sono (pre)disposta a viaggiare per l’Europa finché non lo trovo. E questo fa di me un’insegnante con scarsa dedizione al ruolo.

Qualche mese fa il mio autore ha voluto fare un salto di qualità e mi ha candidata alle europee. Io stessa, benché lusingata, gli ho detto che stava esagerando e lui, sornione, mi ha ricordato che il fantasy non sottostà alla verosimiglianza e ad altre ridicolaggini simili. Dunque, sono pronta per una nuova avventura che mi ripagherà dell’anno passato in carcere ingiustamente. Ma sia chiaro: malgrado quella parentesi orribile, io al mio autore voglio tanto bene, perché lui non turba mai la gioia de’ suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande.

(La mia saga eterodossa continua…)

Ma come parlano?

La preoccupazione dei leader politici italiani · Lo scenario

Per chi ama le parole, e la loro magia comunicativa, è di grande interesse il libro di Michele A. Cortelazzo La lingua della neopolitica, in cui, tra le altre cose, si sottolinea la migrazione di certi termini da un politico a un altro, anche con background opposti. Scrive Giuseppe Antonelli: “[…] Ecco allora emergere, nelle scelte lessicali più frequenti di leader della politica odierna, alcune coincidenze apparentemente contraddittorie rispetto ai loro profili biografici e ideologici. Un tratto tipico della propaganda degli ultimi anni è la brandizzazione di alcuni vocaboli utilizzati (branditi?) quasi come loghi di un certo marchio (ovvero brand) politico. Così, ad esempio, quando sentiamo o leggiamo espressioni come pacchia, rosiconi o zecche, il primo a venirci in mente è Matteo Salvini. Eppure si tratta di espressioni che – a dispetto della tradizione del partito di cui è segretario (il motto preferito della Lega delle origini era “Roma ladrona”) – sono tutte di origine romana. In un modo simile, a Giorgia Meloni – nonostante l’avversione per le parole inglesi ostentata da molti esponenti del suo partito – è indissolubilmente legata la definizione di underdog, parola inglese da noi fino a quel momento piuttosto rara. La stessa presidente del Consiglio che ama dire tassa piana invece di flat tax ha, d’altronde, contribuito in maniera decisiva alla diffusione di almeno un altro anglicismo. Quella postura da lei usata molto spesso per indicare un posizionamento politico. Infatti, non è altro che un calco sull’inglese posture.

Ma non è tutto. Dal sito adnkronos, in un articolo a firma di Paolo Martini, si apprende che: “[….] Fratelli d’Italia e la sua leader Giorgia Meloni fanno largo uso di lessico valoriale: “coerenza”, “coraggio”, “fiducia”, “fierezza”, “orgoglio”, “serietà”; o di parole recuperate come “patria” e “nazione”, “sovranismo” e “sovranità” (anche alimentare), “bonifica” e soprattutto l’anglismo più famoso, “underdog”. Il Partito democratico, scrive il linguista, dopo la ‘verve’ di Luigi Bersani, ha vissuto un deficit di specificità lessicale con Enrico Letta (“cacciavite“, “occhi di tigre“, “front-runner“) risvegliandosi con Elly Schlein: “capibastone“, “cacicchi“, “vento della destra“, “vittimizzazione secondaria” ed “esternalizzazione” restano impressi. Il Movimento 5 stelle è più orientato, sostiene il linguista dell’Università di Padova, “alla volgare eloquenza e alla denigrazione dell’avversario“: dal “vaffa” di Beppe Grillo alla “mangiatoia” soppiantata dalla “pacchia”, da “manine” che cambiano i provvedimenti approvati al “reddito di nullafacenza” o alla “pigranza“. La Lega di Matteo Salvini, sostiene Cortelazzo, “sembra affetta da bulimia comunicativa“, con parole come “europirla“, “sbruffoncella“, “ruspa“, “giornaloni“, “intellettualoni“, “professoroni“, “rosiconi” o “zecche”. Il Terzo Polo vede in Matteo Renzi, sottolinea il professor Cortelazzo, “un abile oratore e diffusore di parole” come “rottamazione“, “professoroni” e “rosiconi” (poi adottati da Salvini) e soprattutto “gufi“. A Carlo Calenda si deve “bipopulismo“. Cortelazzo ricorda che Forza Italia ha avuto un leader come Silvio Berlusconigrande innovatore del linguaggio politico italiano, artefice del passaggio dal ‘politichese’ al ‘gentese’, facendo anche riferimento ad ambito metaforici, come quello sportivo rappresentato dalla discesa in campo. Uno smalto appannatosi negli ultimi anni, che ha portato la spinta innovativa a degradarsi nel ‘socialese’. Ultimo guizzo linguistico del leader scomparso, che i giornali ricordano come ‘il combattente’, è stato l’operazione scoiattolo’, nome in codice per la cattura, uno per uno, dei grandi elettori che gli mancano per il grande salto verso il Colle” nel gennaio 2022. […] In piena seconda Repubblica, sono spariti i partiti, ad eccezione di quello Democratico, a vantaggio di parole o espressioni chiave: Movimento, Alleanza, Azione, Italia Viva, +Europa, Fratelli d’Italia, Forza Italia, Italia al Centro, Noi moderati, Lega; ma anche “sardine“, “poli” (delle libertà, del buon Governo, del riformismo, del buonsenso e persino, Carlo Calenda, della serietà) e “campi” (campo largo il più famoso). Con un rischio, sostiene Cortelazzo, “che al diminuire dei partiti faccia riscontro il nomadismo politico, che porta ai cambi di casacca, cruciali durante le crisi di governo; e al ‘menevadismo’, lo scissionismo di sinistra che ricorda altri –ismi del passato come ‘doppiopesismo‘, ‘doppiogiochismo‘, ‘cerchiobottismo‘ e ‘celodurismo‘, quest’ultimo legato a Umberto Bossi“.

Riassumendo: affinità e influenze linguistiche si rincorrono lungo generazioni diverse, quasi a scongiurare lo scollamento definitivo dal già stato. Ma non si pensi a carenze di ispirazione di squisita pertinenza politica: al globo terracqueo (Meloni) apparteniamo tutti. E la memoria è collettiva.

Cuori di tenebra

Cosa ricorderemo, tra un anno, della XXXVI edizione del Salone Internazionale del Libro? Niente. Tutt’al più, con l’apporto di qualche cronista zelante, riandremo alle aggressioni subite da alcuni ospiti illustri del Salone e alle “manganellate” inferte alle voci fuori dal coro che chissà se saranno ancora parte integrante di quel limbo illusorio e consolatorio da cui ora traggono forza. Di certo, non ricorderemo nemmeno il titolo di un libro. A voler essere ottimisti, qualcuno potrebbe pure dire: ma sì, Naif, il libro di quello scrittore con un occhio solo. In tal caso, bisognerebbe essere compassionevoli quanto basta da non chiedere nome e cognome dell’autore di Knife. E sorvolare sullo spelling.

C’è che questa vostra società malmostosa, incapace di pensiero indipendente, non merita un evento tanto prestigioso: dare perle ai porci, si sarebbe detto un tempo, quando in assenza del politicamente corretto si potevano riportare le cose in maniera puntuale e corretta. O, almeno, non filologicamente modificata.

P.S. Ai contestatori che impediscono la libera espressione, ai pornografi delle doléances prêt-à-porter di cui fare sfoggio sui social e in tv, direi: andate a rivedere il concetto di democrazia. E poi, se lo riterrete opportuno, tornate a riempirvi la bocca della differenza che passa tra censura e dissenso. Questa volta citando le fonti. Perché è lampante che la sicumera esibita non è farina del vostro sacco.

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