Come una star, più di una star

 

Amanda Gorman at Biden's inauguration reminded me: politics needs poetry | Poetry | The Guardian

Come la stragrande maggioranza dei non addetti ai lavori, prima della cerimonia di insediamento di Biden non avevo contezza di chi fosse Amanda Gorman, ma in breve ogni cosa ha perso la sua aura di mistero. Afroamericana, diplomata ad Harvard, Gorman ha incantato me e milioni di telespettatori, leggendo il suo poema La collina che scaliamo, in cui parla della luce “che ci farà uscire da un’oscurità senza fine”. Il riferimento è ovviamente all’America di oggi, davvero troppo lontana dall’american dream.

Scrittrice, oltre che poetessa, Gorman ha dichiarato di avere a cuore temi quali il femminismo e il razzismo, e dunque non è un caso se, in un’altra sua poesia, ha ricordato il presidente Thomas Jefferson che confessava candidamente di escludere che le persone di colore potessero scrivere di poesia; ma, tra le tante dichiarazioni della prima “giovane poeta laureata” che vorrebbe correre come presidente degli Stati Uniti del 2036, una mi è piaciuta particolarmente:

“Quando qualcuno mi dice bella questa poesia, ma è un po’ troppo politica, io non so cosa rispondere perché per me si tratta di un unico modo di esprimermi. Tutto è politica, specialmente l’arte. Non si può pensare che un poema non sollevi domande scomode, perché quella è la sua ragione di esistere. E per me è impossibile pensare alla poesia in altro modo”.

Ora, nello specifico si può essere d’accordo o meno con un pensiero che neppure contempla la possibilità dell’art pour l’art, ma si dovrà convenire che c’è qualcosa di ineffabile nell’unicità di persone tanto ispirate.