Genderfluid empowerment

Sarà un’estate di apparizioni disturbanti per chi arranca alla ricerca di un senso che possa giustificare la rivoluzione posta in essere dalle persone che rifiutano di riconoscersi in un’identità sessuale definita, quelle che per comodità discorsiva assembliamo sotto la dicitura genderfluid. Di certo non è in ansia il settore della moda che, da tempo sulle tracce della nuova direzione presa dall’umanità più evoluta, disegna per i maschi – ma per quanto ancora ci verrà concesso di usare questo termine? – gonne plissé e bermuda che nelle linee ampie e fluide occhieggiano spudoratamente al capo d’abbigliamento che insieme alla sottoveste meglio identifica(va) il perturbante femminino. (Per intenderci, parliamo di Harry Styles e proseliti).

John Carl Flügel, offrendo della moda una lettura sociologica, nel 1930 coniò l’espressione “great male renunciation”, la grande rinuncia maschile, ricordando come l’avvento dell’Illuminismo avesse determinato un cambio di rotta nel guardaroba maschile, epurandolo da colori, pizzi e merletti, a tutto vantaggio dei pantaloni lunghi. Ora, però, assistiamo a una nuova inversione di tendenza, dal momento che il maschio non fa mistero di volersi riappropriare di quei codici che il movimento razionalista spazzò via. Prova ne sia la mostra londinese Fashioning Masculinities: The Art of Menswear. Perché sono sempre i tempi a decidere chi siamo: undressed, overdressed e redressed.

 E se ci risolvessimo per una progettualità arcadica?

Fashioning Masculinities - ART IS AN ATTITUDE