Nicola Turetta

Bisognava, e tutto lascia supporre che sia andata proprio così, che l’Italia, “stretta nella morsa del caldo” e destabilizzata da una premier caduta in disgrazia, come pure dal cedimento rivelatosi mortale di una piccolissima porzione di quell’obbrobrio architettonico denominato “vela”, fosse scossa da un brivido cantabile. Sì, ma quale? si saranno chiesti gli specialisti del settore. In attesa che qualcuno ci spieghi come sia possibile che una conversazione privata, ancorché in carcere, diventi di dominio pubblico benché priva di rilevanza penale, ecco che grazie agli specialisti di cui sopra siamo venuti a conoscenza di alcune battute che Nicola Turetta ha scambiato col figlio. Neanche a dirlo, battute bollate come infamanti (“Hai fatto qualcosa, però non sei un mafioso, non sei uno che ammazza le persone, hai avuto un momento di debolezza. Non sei un terrorista“).

Ora, qual è una delle colpe più grandi dei nostri tempi? beh, è evidente, la mancanza di empatia perché, ve ne fosse stata in circolo, nessuno avrebbe biasimato un padre che cerca di confortare un figlio con apparenti intenzioni suicide. E invece sono stati così tanti i cori di riprovazione che alla fine il padre sciagurato (qui nella doppia valenza del significato) ha dovuto chiedere scusa, mostrando di avere profonda attitudine all’umiltà giacché non ci si scusa per colpe non commesse.

Il gruppo di giornalisti/analisti/opinionisti che ha dato la stura a questa miserevole polemica di fine luglio – gruppo portato in palmo di mano da torme acefale alle quali non par vero di affibbiare al malcapitato di turno una lettera scarlatta – dice di una storia che è cominciata male (con l’omicidio di Giulia Cecchettin) e sta finendo peggio. Dio solo sa quanti sono quelli che sperano di vedere nella lista dei suicidi in carcere il nome di Filippo Turetta.