Dopo essere stato devastato dai demoni, mi rendo conto ancor di più di quanto preziosa sia la grazia di Dio

Immagine della Chiesa di Dio Onnipotente

di Xu Qiang, da una regione autonoma dell’interno della Mongolia

Mi chiamo Xu Qiang. Una volta lavoravo come appaltatore ingegneristico: ogni anno ero a capo di team formati da numerose persone per progetti ingegneristici e guadagnavo cifre considerevoli. Agli occhi dei miei colleghi, possedevo una famiglia perfetta, una carriera assicurata e prospettive illimitate: dovevano pensare che fossi la persona più fortunata al mondo. Tuttavia, mentre godevo di uno stile di vita materialistico, provavo sempre un inspiegabile senso di vuoto. Questa sensazione era particolarmente accentuata durante i miei sforzi costanti di aggiudicarmi i progetti: dovevo ingraziarmi i responsabili dei dipartimenti più importanti, sforzandomi di capire le loro intenzioni attraverso il linguaggio corporeo, e dovevo sempre applicare la giusta dose di ossequiosità e adulazione per ottenere ciò che volevo; se non avessi fatto così, non avrei guadagnato un soldo. Oltre a tutto questo, dovevo avere a che fare con le trame che i miei colleghi ordivano gli uni a danni degli altri, con il loro essere costantemente sul chi va là e con i loro calcoli. Tutto ciò mi mandava in pezzi il cervello ancor di più… Per queste ragioni, mi sentivo molto demoralizzato e oltremodo sfinito; mi sembrava di essere diventato un burattino, una macchina per far soldi, e avevo perso del tutto la mia dignità e integrità. È andata avanti in questo modo fino al 1999, quando ho accettato l’opera di Dio Onnipotente degli ultimi giorni. Sono stato profondamente toccato dal senso di liberazione portatomi dalla vita della Chiesa e dalla semplicità e onestà dei miei fratelli e sorelle. Desideravo davvero vivere la vita della Chiesa, condividendo con i miei fratelli e sorelle in merito alla parola di Dio e parlando tra noi delle nostre esperienze individuali e della nostra conoscenza delle parole di Dio. Erano momenti, quelli, che avevo davvero molto a cuore. Continuando a leggere i discorsi di Dio e partecipando alle riunioni, sono arrivato a comprendere molte verità, e la mia anima ne ha tratto profondo sollievo. In particolare, mi rendeva contento aver finalmente trovato il vero cammino verso la vita e la vera felicità. Avevo il cuore colmo di gratitudine verso Dio: se non fosse stato Dio a salvarmi dal mare di sofferenza del mondo, non avrei mai avuto nella vita qualcosa da attendere ansiosamente. In seguito, ho cominciato a diffondere attivamente il Vangelo, entrando in contatto felicemente e instancabilmente con le persone che stavano cercando la vera via, e rendendo possibile anche a loro udire la voce di Dio e ottenere la salvezza di Dio Onnipotente.Tuttavia, nella nazione atea che è la Cina, i cittadini non godono di alcuna democrazia né di diritti umani, e coloro che credono in Dio e Lo adorano sono particolarmente soggetti a subire la coercizione e la persecuzione del governo del Partito Comunista Cinese. Per via della mia fede in Dio, anche io sono stato sequestrato dal governo del PCC, ho subito la sua tortura crudele e disumana, e ho passato quasi due anni di vita infernale in una delle sue prigioni… Dopo aver sperimentato quel difficile e doloroso periodo della mia vita, ho visto chiaramente l’essenza demoniaca della frenetica resistenza che il governo del PCC oppone a Dio e il suo odio per la verità, e ho apprezzato ancor più profondamente il fatto che le parole di Dio sono la verità. Le Sue parole potevano essere la mia vita e mi avrebbero indicato la strada. Se non fosse stato per la guida costante delle parole di Dio, che mi hanno dato forza e fede, forse oggi non sarei ancora vivo. Non dimenticherò mai, per il resto della mia vita, la grazia della salvezza di Dio!

Era la mattina del 18 dicembre 2005, e io mi trovavo in una riunione con i miei fratelli e sorelle. Improvvisamente, dalla porta è arrivato il violento rumore di qualcosa che andava in frantumi. Prima ancora che avessimo tempo di pensare, più di dieci agenti di polizia hanno fatto irruzione: ognuno di loro aveva uno sguardo torvo e assassino negli occhi. Dalle forze di polizia che erano state mobilitate, sembrava di essere nella scena di un film in cui viene catturato un fuggiasco davvero inafferrabile. Senza dare alcuna spiegazione, i poliziotti ci hanno tolto le scarpe per impedirci di fuggire, poi ci hanno sfilato le cinture e le hanno usate per legarci le mani dietro la schiena. Ci hanno privato di tutti i nostri effetti personali, inclusi telefoni cellulari, orologi da polso, soldi, e così via. Poi ci hanno ordinato brutalmente di allinearci lungo il muro e inginocchiarci, e se qualcuno di noi era lento a muoversi, ci spintonavano e ci prendevano a calci, facendoci inginocchiare con la forza. Dopodiché, hanno fatto una meticolosa perquisizione, ribaltando i mobili e rovistando in tutta la casa; in poco tempo il disordine era totale. Dopo aver assistito a tutto ciò, ho chiesto con rabbia: “Non abbiamo infranto alcuna legge. Perché ci arrestate?” Con mio enorme stupore, un agente è venuto in fretta verso di me, mi ha buttato a terra con un pugno e ha gridato: “Stiamo arrestando voi credenti in Dio! Non riusciremo a dormire tranquilli finché non avremo rastrellato fino all’ultimo di voi!” Quell’esplosione di rabbia mi ha sbalordito tanto da zittirmi, ma mi ha anche fatto riflettere: era Dio che il governo del PCC odiava più di ogni altra cosa, quindi come avrebbe potuto lasciar andare i credenti? Ero stato così cieco e ingenuo! In quel momento, ho iniziato a pregare Dio in silenzio, implorandoLo di proteggerci perché potessimo restare saldi nella nostra testimonianza e non Lo tradissimo. Non molto tempo dopo, l’agente che ci sorvegliava mi ha interrogato: “Chi ti ha detto di predicare ovunque la tua religione? Chi è il tuo capo?” Io ho risposto: “Diffondiamo il Vangelo in maniera del tutto volontaria”. Lui ha imprecato: “Stronzate! Non tentare di negare i tuoi reati, ragazzo, altrimenti ti faccio vedere io come stanno le cose!” Proprio allora ho udito una poliziotta gridare da un’altra stanza: “Portatemi un ago! Provaci soltanto a nasconderti da me…” Ho sentito subito il cuore in gola, poiché in quel momento mi sono reso conto che mancava una giovane sorella: aveva cercato di nascondersi per evitare di essere catturata dalla polizia, ma era stata scoperta. La poliziotta l’ha afferrata e ha iniziato a conficcarle un ago nella carne viva sotto le unghie delle mani e nelle piante dei piedi, ed è arrivata persino a strapparle brutalmente i capelli una ciocca alla volta. Alla fine, hanno lasciato lì la nostra giovane sorella, che a quel punto aveva perso i sensi, hanno preso tutti noi in custodia insieme a tutti i beni che avevano razziato, e ci hanno portato via in fretta.

Quando era circa mezzogiorno, la polizia ci aveva sottoposti a fermo in commissariato, dove presto hanno cominciato a interrogarci separatamente. Incaricato di pormi le domande era un agente massiccio e forzuto e, non appena sono entrato nella stanza degli interrogatori, mi ha subito gridato di inginocchiarmi. Ho replicato: “Io adoro solamente Dio; solo il Signore dei cieli, della terra e di tutte le cose merita che ci si genufletta. Mi rifiuto nella maniera più assoluta di inginocchiarmi davanti a te!” Non appena ha udito queste parole, l’agente mi ha puntato un dito contro tuonando: “Dovresti sapere che qui dentro anche il re dell’inferno deve rigare dritto! Chi cazzo ti credi di essere? Se non ti facciamo soffrire un po’, non saprai chi è che comanda! Ora inginocchiati, dannazione!” Così urlando, mi ha dato un calcio che mi ha spedito a terra. Poi ha cominciato a interrogarmi: “Dimmi sinceramente: sei il capo della Chiesa, non è così? Dove tieni i tuoi libri di Chiesa?” In preda alla confusione, non sapevo come rispondere, così mi sono limitato a implorare ripetutamente Dio perché mi desse la saggezza con la quale affrontare quel malvagio poliziotto. Dopo aver pregato, mi sono sentito più calmo e ristorato, e ho pensato tra me e me: “Morirei piuttosto che vendere i miei fratelli e sorelle. Non posso tradire Dio!” Quindi, ho detto all’agente: “Non so nulla di quello che mi stai chiedendo. Perciò cosa vuoi che ti dica?” Appena ho pronunciato queste parole, quel malvagio poliziotto mi ha colpito alla testa con violenza; subito dopo mi ha pestato a suon di calci e pugni. Sono stato picchiato con tanta violenza da vedere le stelle; la testa ha preso a girarmi e a farmi così male che mi sentivo come se il cranio si fosse spaccato. Sono capitombolato sul pavimento a faccia in avanti. Dopodiché, il poliziotto ha sollevato in una mano il taccuino sul Vangelo che mi avevano trovato addosso e mi ha detto minacciosamente: “Ecco, vedi? Abbiamo le prove, non serve a un cazzo rifiutarsi di parlare. Dillo! Sei il capo della Chiesa, vero? Se non lo fossi, non avresti questi appunti!” Vedendo che non parlavo, ha provato con un approccio differente, insistendo: “Non essere cocciuto; forza, collabora con noi. Dicci quello che sai e potrai andartene domani”. Proprio in quel momento, Dio mi ha illuminato, facendomi ricordare un passo dei Suoi discorsi: “Quando Dio e Satana combattono nel regno dello spirito, in che modo dovresti soddisfare Dio e in che modo dovresti restare saldo nella tua testimonianza di fede verso di Lui? Dovresti sapere che tutto ciò che ti accade è una grande prova, ed è quello il momento in cui Dio ha bisogno che tu renda testimonianza. Dal di fuori, potrebbe non sembrare un grosso problema, ma, quando succedono, queste cose mostrano se ami o meno Dio. Se Lo ami, sarai in grado di rimanere saldo nella tua testimonianza di fede a Dio” (“Solo amare Dio vuol dire credere veramente in Dio” in “La Parola appare nella carne”). Le parole di Dio mi hanno permesso di vedere chiaramente che quella battaglia riguardava il mondo spirituale. Non potevo cedere agli inganni di Satana, e dovevo assolutamente rimanere saldo nel testimoniare Dio. Indipendentemente da quante cosiddette prove avessero in mano, non potevo rivelare alcuna informazione che riguardasse la Chiesa. Ciò era una testimonianza del mio amore per Dio e della devozione che sono tenuto a mantenere al cospetto di Dio. Subito dopo ho pregato e, a poco a poco, mi sono tranquillizzato. Per quanto l’agente mi torturasse, non ho detto mai una sola parola. Alla fine, il malvagio poliziotto era così esasperato che se n’è andato sbattendo la porta.

Un po’ di tempo dopo, un agente sulla trentina è entrato nella stanza e mi ha aiutato lentamente ad alzarmi dal pavimento e a prendere posto su una sedia. Mi ha dato persino un bicchiere d’acqua, poi ha detto: “Tieni, fratello; bevi un po’ d’acqua. Hai sofferto”. Ero sbalordito: cosa stava succedendo? Come poteva qualcuno, in un posto come quello, chiamarmi “fratello”? Prima che avessi tempo di rifletterci su ulteriormente, l’agente ha ripreso: “Fratello, di questi tempi dobbiamo vivere secondo prospettive un po’ più realistiche ed essere totalmente flessibili. Con una persona come te, non possono far altro che picchiarti a morte. A dire la verità, anche io una volta credevo in Dio, quindi so che la fede è una buona cosa; ma soffrire così tanto a causa della fede, per non parlare del rischio di perdere la vita, semplicemente non vale la pena! Se tu vieni condannato, questo apporrà un marchio d’infamia su tutta la tua famiglia. Suppongo che entrambi i tuoi genitori siano ancora in vita, è così? Ebbene, se trascorrerai degli anni in prigione, per quando uscirai saranno ormai morti. Cosa penseranno di te i tuoi familiari?” L’attaccamento emotivo che provavo per mia madre e mio padre era più profondo che verso qualunque altra persona, per questo ogni singola parola di quell’agente mi ha penetrato profondamente. Mentre immagini dei miei genitori anziani si affastellavano nella mia mente, d’improvviso ho sentito un’ondata di oscurità e debolezza attraversarmi, e ho pensato: “È vero; se vengo condannato alla reclusione, cosa faranno allora mamma e papà? Chi si prenderà cura di loro?” Quel pensiero mi ha fatto affiorare le lacrime, e non sono riuscito a fermarle. Il poliziotto ha colto la palla al balzo e ha cercato di persuadermi e allettarmi ulteriormente dicendo: “Perciò dovresti fare del tuo meglio per collaborare con loro; se lo fai, domani sarai rilasciato”. Sentirgli dire ciò mi ha risvegliato di colpo, e queste chiare parole hanno lampeggiato nella mia mente: “Non devi assolutamente essere un Giuda che tradisce Dio! C’è mancato davvero poco! Questo subdolo poliziotto è stato mandato da Satana in persona per indurmi a tradire Dio”. In quel momento, inoltre, le parole di Dio mi hanno fatto da guida: “Soltanto con la lealtà puoi rivolgere una controaccusa alle astuzie del diavolo” (Capitolo 10 di “Parole di Dio all’intero universo” in “La Parola appare nella carne”). Mi sono reso conto che tutto ciò che il poliziotto aveva detto era un raggiro del diavolo; voleva approfittare degli attaccamenti emotivi della mia carne per spingermi a tradire Dio. Non potevo assolutamente cadere nell’inganno di Satana. Al che ho pregato Dio in silenzio, avendo fede che ciò che riguardava i miei genitori dovesse deciderlo Lui e fosse completamente nelle Sue mani. Affidandoli al grande potere di Dio, mi sono deciso a rimanere saldo nel testimoniare Dio. Con risolutezza, ho detto all’uomo: “Ti sono grato per le tue buone intenzioni e apprezzo la tua gentilezza. Tuttavia, non so nulla degli affari della Chiesa”. Vedendo che il suo stratagemma non aveva funzionato, quel malvagio poliziotto di colpo si è mostrato per quello che era veramente ed è andato su tutte le furie. Puntandomi un dito contro, ha gridato con disprezzo: “E allora resta qui ad aspettare di morire!” e se n’è andato. All’incirca alle due del pomeriggio, sono venuti tre o quattro poliziotti. Mi hanno sollevato dalla sedia e mi hanno trascinato per il colletto fino alla porta della stanza, dove mi hanno appeso alla trave con le manette. Infine, hanno commentato in tono derisorio: “Ecco, prenditi tutto il tempo che ti serve e ‘divertiti’”, poi se ne sono andati. Non arrivavo a toccare il pavimento con tutti e due i piedi contemporaneamente: se lo toccavo con un piede, ero costretto a sollevare l’altro. A causa dei miei movimenti corporei, le manette mi hanno lacerato la carne: il dolore era lancinante. Quasi un’ora più tardi, i malvagi poliziotti sono tornati dopo essersi rifocillati di cibo e bevande. Con ghigno sinistro, mi hanno chiesto come mi sentissi. A causa del dolore, i miei pantaloni di cotone e la mia camicia erano ormai inzuppati di sudore e, quando mi hanno tirato giù, le mie mani erano entrambe gonfie come pagnotte di pane e completamente insensibili. Era una banda di poliziotti veramente feroci e spietati. Li odiavo dal profondo dell’anima, e avevo anche ottenuto una chiara visione della malvagità e della crudeltà del governo del PCC. Erano un branco di demoni che resistevano a Dio e Lo odiavano, e il mio disprezzo verso quel malvagio partito aumentava rapidamente.

Quella sera, poco dopo le sette, i malvagi agenti hanno sbattuto me e quattro delle mie sorelle in un’auto della polizia per trasferirci altrove. Le mie sorelle erano tutte pallide; a quanto pareva, anche loro avevano subito le mie stesse crudeltà. Ci siamo fatti coraggio a vicenda scambiandoci sguardi decisi e colmi di significato. Quando siamo arrivati al centro di detenzione, i malvagi poliziotti hanno fatto uscire le mie quattro sorelle dal veicolo, mentre a me è stato ordinato di restare in auto, e subito ci siamo rimessi in viaggio. Quando ho chiesto loro dove mi stessero portando, uno degli agenti ha detto con un sorriso cospiratorio: “Anche se non hai ancora rivelato alcuna informazione, sappiamo comunque che non sei un pesce piccolo all’interno della Chiesa. Non volevamo essere cattivi ospiti, così abbiamo pensato di portarti fuori per uno ‘spuntino di mezzanotte’”. Sapendo che quel branco di perfidi poliziotti non nutriva alcuna buona intenzione, non ho osato abbassare la guardia neanche per un istante. Ho continuato a supplicare Dio in silenzio perché mi desse forza e mi cautelasse dal tradirLo. Subito dopo, sono stato condotto presso la Brigata per la Sicurezza Nazionale. Sono stato accolto da due bruti tarchiati che mi hanno condotto in una stanza per gli interrogatori. Ho provato un brivido lungo la schiena alla vista di tutti gli strumenti di tortura disseminati sul pavimento come tigri fameliche e silenziose. Proprio allora, uno dei malvagi poliziotti si è rivolto a me con brutalità: “Ho sentito dire che sei parecchio testardo. Be’, noi adoriamo annientare testarde vecchie carcasse come te!” Non appena ha pronunciato queste parole, due poliziotti malvagi sono scattati in avanti, gridando mentre correvano, e mi hanno afferrato per le orecchie tirando con tutta la loro forza. Sotto la scarsa illuminazione, ho visto un paio di facce ostili e perverse, e il mio cuore ha preso a battere all’impazzata. In quel momento, ho udito un altro poliziotto malvagio ridere sguaiatamente e dire: “Sei stato veramente sfortunato oggi a incontrarmi. Ecco, cominciamo col farti una doccia”. Dopo che ha detto questo, mi hanno tenuto fermo e mi hanno strappato via fino all’ultimo brandello dei vestiti. Sono rimasto lì completamente nudo sul pavimento gelido, scosso da brividi in tutto il corpo e battendo i denti. Il malvagio poliziotto ha afferrato un tubo, lo ha puntato dritto verso di me e ha aperto il rubinetto. L’istante successivo venivo sferzato da un getto penetrante di acqua gelida. Il dolore era insopportabile, come se un coltello mi stesse scuoiando vivo; sembrava proprio che tutto il sangue che mi scorreva in corpo si stesse coagulando. Un attimo dopo, avevo perso del tutto la sensibilità. Mentre mi sommergevano d’acqua, i malvagi poliziotti hanno continuato a minacciarmi: “Se ci tieni a te stesso, allora sbrigati a parlare; in caso contrario, non vivrai abbastanza da vedere sorgere il sole domani!” Costringendomi a sopportare quella tortura, ho abbassato la testa e non ho detto nulla. Uno dei poliziotti malvagi ha digrignato i denti e ha detto che mi avrebbe scaldato, intendendo che mi avrebbe somministrato scariche di elettricità. A quel punto, mi avevano torturato tanto che non mi restava un briciolo di energia in corpo. Sentendomi come se la morte si avvicinasse a poco a poco, ho fatto disperatamente appello a Dio: “Dio! Io sono troppo insignificante per essere in grado di fare qualcosa per Te, ma oggi voglio umliare Satana attraverso la mia morte. Tutto ciò che chiedo è che Tu protegga il mio cuore così che non si allontani mai da Te, e così che io non Ti tradisca”. I poliziotti mi hanno aperto la bocca con la forza e vi hanno infilato uno straccio umido, all’estremità opposta del quale era collegato un cavo elettrico. Hanno attaccato un capo del cavo al mio orecchio, poi l’agente che teneva in mano l’interruttore lo ha acceso. Di colpo ho sentito tutto il sangue che avevo in corpo schizzare in alto; sembrava che la testa stesse per esplodermi. Era così doloroso che sentivo i bulbi oculari sul punto di scoppiare, ogni singolo nervo del mio corpo era in preda a spasmi e avevo la sensazione che stesse per spezzarsi. Alla vista della mia atroce sofferenza, quel branco di malvagi poliziotti rideva fragorosamente. L’istante successivo ho perso i sensi. Ma, subito dopo, mi hanno fatto rinvenire vuotandomi addosso un secchio d’acqua fredda. Quando sono rinvenuto, avevo ancora lo straccio in bocca. Un agente ha sghignazzato malignamente e mi ha chiesto: “Che sapore ha? Se vuoi dire qualcosa, basta che tu annuisca”. Proprio allora, ho ricordato un passo della parola di Dio: “Quando gli esseri umani sono pronti a sacrificare la propria vita, tutto diventa insignificante e nessuno può avere la meglio su di loro. Che cosa potrebbe essere più importante della vita? Perciò Satana diviene incapace di agire ulteriormente negli esseri umani, non c’è più nulla che possa fare all’uomo” (Capitolo 36 di “Interpretazione dei misteri delle ‘Parole di Dio all’intero universo’” in “La Parola appare nella carne”). Le parole di Dio hanno rafforzato la mia determinazione a scegliere di rendere testimonianza invece di piegarmi a Satana. Ho pensato: “Fatemi pure quello che volete. In fondo, non ho che quest’unica vita, il peggio che possa capitarmi è morire; ma non crediate neppure per un istante che otterrete da me una sola parola!” Non ho risposto all’agente; mi sono limitato a chiudere gli occhi, rifiutandomi di guardarlo. Questo ha fatto infuriare il malvagio poliziotto, che mi ha somministrato un’altra scossa elettrica, solo che questa volta l’intensità era ancor più alta di prima. In silenzio, ho gridato: “Dio! Salvami! Non posso sopportare oltre!” Proprio allora una vivida immagine della crocifissione del Signore Gesù si è materializzata davanti ai miei occhi: i feroci soldati che piantavano un chiodo di quindici centimetri nel palmo del Signore, perforando la pelle, perforando l’osso… La sofferenza del Signore Gesù mi ha provocato nel cuore un dolore senza fine, e non ho potuto evitare di scoppiare a piangere. Dentro di me, ho rivolto a Dio una preghiera: “Dio! Tu sei santo; Tu sei senza peccato. Eppure, per portare la salvezza all’umanità Ti sei consegnato nelle mani di quei furfanti e hai lasciato che Ti inchiodassero sulla croce e prosciugassero fino all’ultima goccia del Tuo sangue perché noi uomini fossimo redenti. Dio, io sono una persona estremamente corrotta, un oggetto che andrebbe distrutto. Ho accettato la Tua salvezza e ho avuto la fortuna di sperimentare la Tua opera, per questo dovrei offrirmi a Te. Dio, io so senza alcun dubbio che Tu sei al mio fianco, in questo momento, e che mi accompagni nella mia sofferenza. Mi hai sempre amato e hai sempre investito energia in me. Sono intenzionato a dare tutto me stesso per soddisfarTi, affinché Tu non debba mai più soffrire o preoccuparti per me”. Proprio allora, i due malvagi poliziotti hanno interrotto le scariche elettriche. Quando ho visto che Dio mi era stato solidale nella mia debolezza, il mio cuore si è colmato di gratitudine nei Suoi confronti! Dopodiché, nonostante gli agenti continuassero a farmi del male, non ho sentito più alcun dolore. Sapendo che Dio mi proteggeva e Si era fatto carico della mia sofferenza per me, mi sono sentito profondamente commosso dal Suo amore, tanto da non riuscire a smettere di piangere. Più tardi, un poliziotto è venuto dentro, mi ha dato un’occhiata e ha detto a quei due agenti malvagi: “Può bastare; lo avete picchiato fino a farlo svenire e non sta parlando. Sono certo che non sa nulla”. Solo allora hanno smesso di torturarmi. Sapevo che tutto ciò era parte delle portentose orchestrazioni e disposizioni di Dio; Dio non aveva permesso che quel branco di demoni mi togliesse la vita, e aveva fatto sì che qualcuno entrasse lì dentro per fermarli. Ero sinceramente grato per l’amore di Dio.

Scoraggiati, i malvagi poliziotti non mi hanno interrogato oltre e, intorno a mezzanotte, mi hanno portato al centro di detenzione. Una guardia mi ha scortato fino a una cella al cui interno erano già presenti più di trenta criminali. Mentre apriva la porta per farmi entrare, l’ho udita ridacchiare con malignità e dare istruzioni al prigioniero responsabile della cella: “Tra un po’, abbassate la voce; non fate troppo rumore”. Il capo dei prigionieri mi ha squadrato da capo a piedi, facendo un sorrisetto, e ha risposto alla guardia: “Nessun problema!” Prima che avessi il tempo di reagire, l’espressione del capo dei prigionieri si è oscurata e ha ordinato agli altri in tono basso e minaccioso: “Alla solita maniera, fratelli. Prendetelo!” Tutti i prigionieri si sono tirati su a sedere e mi hanno fissato come una tigre guarda la propria preda, provocandomi un brivido lungo la schiena. Nell’istante in cui il capo dei prigionieri ha fatto un cenno con la mano, tutti si sono stretti intorno a me come un branco di lupi feroci. Tenendomi giù, mi hanno strappato tutti i vestiti e hanno cominciato a colpirmi con tutta la loro forza con le suole piatte delle scarpe. Lo hanno fatto con tanta violenza che alla fine ho perso i sensi. Non ho ripreso conoscenza fino alle sei del mattino successivo. Mi sono accorto di essere stato spinto in un angolo; ogni parte del mio corpo era così tremendamente gonfia che non riuscivo a indossare alcun vestito. E così ho giaciuto per sei giorni consecutivi su un pancaccio con il corpo malridotto e ricoperto di lividi. Inoltre, l’interno della mia bocca era stato lesionato dalle scariche elettriche inflittemi da quei poliziotti malvagi, al punto che l’intero tessuto era diventato necrotico e il dolore era così lancinante che non riuscivo neppure a mandar giù un boccone di cibo. Temendo che la mia morte potesse causar loro dei problemi, le guardie hanno mandato a turno gli altri prigionieri a darmi della zuppa di verdure da mangiare.

Non appena le mie ferite hanno iniziato minimamente a guarire, i poliziotti malvagi hanno istigato i prigionieri a riprendere i loro maltrattamenti e abusi. Ogni mattina sul presto, mi facevano ripetere a memoria il regolamento della prigione; se non lo facevo bene, mi picchiavano. Mi obbligavano anche pulire la cella e a occuparmi del bucato dei prigionieri facoltosi. Se commettevo il minimo errore, venivo preso a pugni e a calci. Sapevano che credevo in Dio, perciò spesso pronunciavano appositamente in mia presenza bestemmie contro Dio per il puro gusto di infastidirmi; mi umiliavano anche, dicendo cose come: “Non è vero che le persone che credono in Dio non provano dolore quando vengono picchiate? E potete anche lavorare senza avvertire la stanchezza, non è così? Non vi importa di soffrire, giusto?” Per tormentarmi, mi obbligavano a svuotare la latrina a mani nude, cosa così disgustosa da provocarmi conati di vomito; mi facevano anche lavare le piastrelle del pavimento con il mio spazzolino da denti, e poi lanciavano nella latrina i miei panini cotti al vapore. Quando la guardia veniva a ispezionare la cella per verificarne la pulizia, si toglieva le scarpe e camminava descrivendo un cerchio con indosso un paio di calzini bianchi. Se al termine dell’operazione vi trovava sopra la minima traccia di sporco, mi picchiava… Affrontando queste continue torture sia da parte dei malvagi poliziotti che dei prigionieri, mi sentivo totalmente fiaccato e alquanto depresso. Ho cominciato a pensare che sarebbe stato meglio morire che continuare a vivere in quel modo. Mentre ero immerso nell’abisso della debolezza e della sofferenza, le parole di Dio mi hanno fatto dono della fede e della motivazione per continuare a vivere. Ho ricordato che Dio aveva detto: “Forse vi ricordate tutti di queste parole: ‘Perché la nostra momentanea, leggera afflizione ci produce un sempre più grande, smisurato peso eterno di gloria’. In passato, avete tutti udito questa espressione, ma nessuno ne ha capito il vero significato. Oggi, conoscete bene il significato reale di queste parole. Esse sono ciò che Dio compirà negli ultimi giorni, e saranno adempiute in coloro che sono crudelmente attaccati dal gran dragone rosso, nella terra in cui si trova. Il gran dragone rosso perseguita Dio ed è nemico di Dio, così in questa terra, coloro che credono in Dio sono sottoposti all’umiliazione e alla persecuzione. Ecco perché queste parole diventeranno realtà nel vostro gruppo di persone” (“Il lavoro di Dio è così semplice come crede l’uomo?” in “La Parola appare nella carne”). Le parole di Dio mi hanno insegnato che essere capace di sopportare umiliazione e tortura per via della mia fede era un segno che Dio aveva fatto un’eccezione e mi aveva glorificato: era per me un grande onore! Tuttavia, ero vigliacco ed ero privo di spina dorsale dal punto di vista morale; solo per aver sofferto un po’ di dolore fisico e aver subito una leggera umiliazione, avevo perso la mia fede in Dio e non ero disposto a rimanere saldo nella mia testimonianza per ripagare l’amore di Dio attraverso la sofferenza. Dio aveva pagato un prezzo così alto per salvarmi, come potevo ripagarLo in quel modo? Come potevo andare contro la mia coscienza in tale maniera e rispondere con tanta negatività? Non lo avrei fatto! Non sarei stato uno smidollato privo di spina dorsale, nella maniera più assoluta; così come non potevo assolutamente gettare disonore sul nome di Dio! Al che, mi sono affrettato a pregare Dio: “Dio, Ti ringrazio per avermi illuminato e fatto capire il significato della sofferenza. Per il Tuo onore, ho intenzione di sopportarne ogni forma possibile; desidero soddisfarTi anche se volesse dire trascorrere il resto della mia vita in prigione. Tutto ciò che chiedo è che Tu rimanga con me, mi illumini e mi guidi, e mi renda capace di testimoniarTi in maniera salda e possente attraverso la tortura inflittami da Satana”. Dopo aver pregato mi sono sentito completamente rinvigorito e dotato del coraggio di affrontare quell’ambiente ostile.

Un paio di settimane dopo, i poliziotti malvagi sono tornati a interrogarmi, dicendomi che non era ancora troppo tardi per collaborare con loro, e minacciando di rendermi le cose molto più difficili nei giorni a venire se mi fossi rifiutato. Dopo aver subito qualche seduta di feroce tortura, avevo già da tempo scorto la loro essenza demoniaca e li odiavo con tutto me stesso. Perciò non aveva importanza quanto mi tentassero, mi minacciassero o cercassero di spaventarmi: la mia fede non vacillava neanche un po’. Successivamente, hanno cominciato a interrogarmi ogni due settimane finché, alla fine, vedendo che davvero non avrebbero ottenuto da me alcuna informazione, mi hanno condannato a due anni di rieducazione attraverso il lavoro con l’accusa di “aver disturbato l’ordine pubblico” e “aver preso parte a riunioni illegali”.

Il 24 febbraio del 2006 sono stato mandato in un campo di lavoro. A causa della mia fede in Dio, ero stato etichettato come “reo politico”, e le guardie carcerarie mi hanno assegnato alla più dura, stancante e pericolosa fornace di mattoni per svolgere il mio lavoro di rieducazione. Il mio compito era quello di estrarre i mattoni cotti dai forni, all’interno dei quali la temperatura era di almeno 300 gradi Celsius (corrispondenti a 572 Fahrenheit). Al mattino, la temperatura era al minimo, ma si trattava lo stesso di oltre 100 Celsius (212 Fahrenheit). Nonostante dovessimo lavorare con temperature simili, le guardie non ci equipaggiavano di alcun abbigliamento termoresistente. Gli elmetti di sicurezza che indossavamo si sarebbero sciolti dopo appena un paio di minuti nell’area dei forni; per evitare di ustionarci, dovevamo trattenere il respiro mentre correvamo dentro e poi di nuovo fuori il più velocemente possibile. Poiché non avevamo stivali termoresistenti, quando entravamo nell’area dei forni, dovevamo stare ritti alternatamente ora su un piede ora sull’altro; se non facevamo attenzione, le bruciature ci riempivano i piedi di vesciche. I nuovi prigionieri non erano abituati a tutto ciò: dopo essere entrati, non riuscivano a resistere per più di cinque secondi prima di correre di nuovo fuori. Per questo, il nostro caposquadra ha fatto in modo che ogni capogruppo fosse armato di un tubo in PVC riempito di sabbia, con cui veniva colpito chiunque corresse fuori. Sebbene si trattasse di un tipo di tubi non abbastanza duro da fratturare un osso, erano comunque in grado di provocare gravi ematomi superficiali. I detenuti li hanno soprannominati “baci a fior di pelle”. Quando entravamo nell’area dei forni, non osavamo respirare; fare un respiro era come inalare fuoco dalle narici. Dopo aver estratto alcuni mattoni, dovevamo ritirare fuori in fretta le carriole e, se una delle gomme delle ruote scoppiava, non solo venivamo puniti, ma la nostra condanna sarebbe stata prolungata, con l’aggiunta alla lista delle imputazioni di “distruzione di attrezzatura di produzione e resistenza alla rieducazione”. In quanto detenuti, il nostro incarico era di riempire 115 carriole di mattoni grandi e 95 di mattoni piccoli al giorno. Con quelle temperature, era un compito impossibile da portare a termine, ma le guardie non ti chiedevano mai per quale ragione non ci fossi riuscito: ti chiedevano semplicemente perché nutrissi sentimenti di ostilità nei confronti del lavoro. Poiché lavorare con quel calore mi faceva sudare moltissimo, ho finito col soffrire di una grave carenza di potassio. Qualche volta sono caduto a terra privo di sensi, e così dovevano sollevarmi in cima al muro della fornace perché mi rinfrescassi per alcuni minuti. Quando rinvenivo, mi facevano bere un bicchiere di acqua salata e mi obbligavano a riprendere il lavoro. Quello è stato per me il primo assaggio di cosa volesse dire raggiungere il mio limite, di quanto insopportabilmente difficile fosse, e di cosa si provasse a voler morire piuttosto che continuare a vivere. In quel posto, non importava a nessuno che vivessi o morissi; al caposquadra interessava solamente se il tuo gruppo portava a termine il proprio lavoro oppure no. Se lo faceva, lui non diceva nulla; in caso contrario, lo stesso non diceva nulla, ma indicava semplicemente la porta della fornace e poi se ne andava. Allora, il capogruppo chiamava tutti quelli che non avevano terminato il loro lavoro, li faceva restare nell’area dei forni e lì venivano picchiati; quando cadevano a terra, venivano ustionati così gravemente dal suolo rovente che comparivano ovunque vesciche sulla loro pelle. Per di più, dovevano riempire altre venti carriole di mattoni ogni giorno, e non potevano fermarsi finché non gridavano implorando pietà. Trovandomi in un simile ambiente, mi sentivo davvero debole; solo pochi giorni di tortura sembravano un viaggio all’inferno. In effetti, nella mia percezione quei due anni sono stati un periodo davvero lungo. Per tutto il tempo, non sapevo come ce l’avrei fatta, e temevo di essere picchiato a morte dai poliziotti malvagi o di subire ustioni letali nel calore estremo. Più riflettevo sulle mie prospettive e più mi sentivo in trappola; avevo davvero la sensazione di non farcela più in quella prigione demoniaca, così pensavo alla morte: ogni giorno, da quel momento in poi, cercavo opportunità di “essere liberato”.

Infine, un giorno, si è presentata la mia occasione. Mentre passava un camion pieno di mattoni, mi ci sono tuffato sotto a faccia in avanti. Ma le ruote del veicolo si sono arrestate di colpo a pochi centimetri da me: come si è poi constatato, il camion si era rotto. Alcuni detenuti mi hanno tirato via, e il capo delle guardie ha detto che mi stavo rifiutando di accettare la disciplina e non avevo intenzione di abbandonare le mie vecchie abitudini. Allora, ha cominciato a punirmi. Mi hanno infilato nella camicia, sul davanti, un manganello elettrico che sprizzava scintille: faceva così male che sono caduto a terra in preda a violente convulsioni. Dopodiché, mi hanno ammanettato a un palo del telefono con le braccia dietro la schiena e mi hanno colpito spietatamente con dei manganelli elettrici. Dopo cena, sono stato sottoposto a una punizione pubblica allo scopo di rieducare e “correggere” la mia ideologia… Quella sofferenza e quel tormento senza fine mi hanno condotto a un senso estremo di terrore, disperazione e impotenza. Proprio quando ero alle prese con il dubbio di come avrei potuto continuare a vivere, un passo delle parole di Dio mi è affiorato alla mente: “Per quanto Dio ti affini, tu continui a essere pieno di fiducia e non smetti mai di confidare in Lui. Fai quello che l’uomo dovrebbe fare. Questo è ciò che Dio richiede, e il cuore dell’uomo dovrebbe saper ritornare pienamente a Lui e volgersi a Lui in ogni singolo istante. Questi è un vincitore. Coloro che Dio definisce vincitori sono quelli che possono ancora testimoniare, conservare la fiducia e la propria devozione a Lui quando sono influenzati e assediati da Satana, ossia quando si trovano nelle forze dell’oscurità. Se sei ancora capace di conservare un cuore puro e un amore sincero per Dio a prescindere da tutto, sei testimone innanzi a Lui, e questo è ciò che Egli definisce essere un vincitore” (“Dovresti preservare la tua devozione per Dio” in “La Parola appare nella carne”). Le parole di Dio hanno portato un raggio di luce e calore nel mio cuore, proprio quando ero vicinissimo ad abbandonare ogni speranza. Era vero: in ultima istanza, Dio voleva creare un gruppo di vincitori che fossero in grado di mantenere viva la loro fede e la loro devozione a Lui in condizioni estreme, di vivere secondo le Sue parole e, infine, di testimoniare con forza e potenza Dio davanti a Satana. La ragione per cui Satana si era servito di ogni mezzo possibile per torturarmi e ferirmi era il suo desiderio di approfittare della mia debolezza, attaccandomi mentre ero abbattuto e obbligandomi a tradire Dio; ma io non potevo diventare un simbolo dell’umiliazione di Dio! L’amore di Dio nei miei confronti era così reale e concreto; quando ero allo stremo delle forze e anelavo alla morte, Dio continuava a sorvegliarmi in segreto, proteggendomi e mantenendomi in vita. Non importava quanto fossi infiacchito: Lui non aveva mai avuto la benché minima intenzione di abbandonarmi; il Suo amore per me era rimasto costante sin dall’inizio, e Lui continuava a illuminarmi, a guidarmi e ad aiutarmi a trovare una via d’uscita dal dolore. Non potevo assolutamente deludere Dio o ferire i Suoi sentimenti. Ero riconoscente per la guida di Dio: mi aveva nuovamente permesso di non farmi ingannare dai raggiri di Satana e di tornare alla vita dall’orlo della morte. Non ho potuto evitare di cantare un inno: “Offrirò a Dio il mio amore e la mia lealtà e porterò a termine la mia missione di glorificarLo. Sono deciso a rimanere saldo nel testimoniare Dio e a non arrendermi mai a Satana. Oh, potrò anche rompermi la testa e versare sangue, ma la tempra del popolo di Dio non può andare perduta. Il mio cuore ha accolto l’incarico di Dio; io decido di umiliare il diavolo Satana. Dolore e patimenti sono predestinati da Dio; io sopporterò le umiliazioni per esserGli fedele. Non indurrò mai più Dio a versare lacrime o a preoccuparSi” (“Desidero vedere il giorno della gloria di Dio” in “Seguire l’Agnello e cantare dei canti nuovi”).

Dopo essermi sottomesso e diventato intenzionato a sopportare ogni sofferenza allo scopo di soddisfare Dio, Egli ha aperto per me una via d’uscita: siccome il caposquadra era analfabeta, ha cominciato a farsi aiutare da me a compilare i suoi rapporti e, da quel momento in avanti, non ho dovuto più lavorare così tanto all’estrazione dei mattoni dai forni. Un po’ di tempo dopo, una sorella anziana della Chiesa è venuta a farmi visita. Mi ha stretto una mano tra le sue e mi ha detto in lacrime: “Ragazzo, hai sofferto. I tuoi fratelli e sorelle sono molto preoccupati per te, e tutti preghiamo per te ogni giorno. Devi essere forte e non inchinarti al cospetto di Satana. Devi rimanere saldo e testimoniare Dio. Aspettiamo tutti che tu torni a casa”. In quel freddo e spietato inferno umano, fatta eccezione per le parole di conforto di Dio, non avevo udito una parola di consolazione da parte di nessuno. Sentire quelle parole gentili da parte dei miei fratelli e sorelle, parole che molto tempo prima udivo spesso, mi ha dato enorme conforto e incoraggiamento. Dopo quel giorno, mi sono sentito incoraggiato dall’amore di Dio per lungo tempo; mi sentivo molto più rilassato, e procedevo deciso mentre lavoravo. Di tutto il mio tempo in prigione, quelli sono stati i giorni trascorsi più velocemente, e questo soprattutto nei miei ultimi quattro mesi. Ero sempre al primo posto nella lista, resa nota ogni mese, contenente i nomi dei detenuti le cui condanne erano state ridotte. Nei mesi precedenti, in quella lista di nomi erano sempre stati inclusi soltanto i capi dei prigionieri e i capigruppo; detenuti sprovvisti di soldi o potere erano stati esclusi. Per un cristiano come me, etichettato come “reo politico” dal governo del PCC, era ancora meno verosimile pensare di poter godere del privilegio di entrare a far parte di quella lista. Per questo, gli altri prigionieri mi circondavano e mi chiedevano sempre: “Perché lo hai fatto?” Ogni volta che ciò accadeva, ringraziavo Dio nel mio cuore, poiché sapevo che era una conseguenza della Sua grande misericordia nei miei confronti; era stato l’amore di Dio a darmi la forza.

Il 7 settembre del 2009 sono stato rilasciato in libertà condizionata. Poco dopo, sono ritornato alla Chiesa e ho ripreso la mia vita lì, unendomi di nuovo alle fila di coloro che diffondono il Vangelo. Dopo aver attraversato quel periodo così difficile, ero più determinato e maturo rispetto a prima, e avevo ancor più a cuore l’opportunità di compiere il mio dovere. Poiché avevo visto il vero volto della resistenza a Dio da parte del governo del PCC e la sua crudeltà nei confronti delle persone, avevo una percezione ancor più profonda di quanto preziosa sia la salvezza di Dio. Se Dio non fosse venuto di persona, se non Si fosse incarnato per compiere l’opera di portare la salvezza all’umanità, tutti coloro che vivono sotto il dominio di Satana ne verrebbero devastati e divorati. Da quel momento in poi, ogni volta che mi sono trovato a compiere il mio dovere, il mio atteggiamento è stato ben diverso da come era stato in passato; sentivo che l’opera di diffusione del Vangelo e di salvezza delle anime delle persone era di estrema importanza, e desideravo donare tutta la mia lealtà e investire tutte le mie energie, per il resto della mia vita, nel portare più persone al cospetto di Dio. Volevo rendere possibile anche a loro destarsi dalla cortina di confusione e inganno di quel governo ateo, accettare il nutrimento di vita da parte di Dio e ottenere la Sua salvezza. Se guardo indietro a quei due interminabili anni di reclusione, so che Satana ha tentato invano di usare la sua tirannica prevaricazione per spingermi a tradire Dio. A ogni modo, Dio ha usato quell’ambiente ostile per incrementare la mia fede, la mia lealtà e la mia sottomissione a Lui, purificando i miei sentimenti contaminati riguardo al mio amore per Lui, e permettendomi di rendermi conto della saggezza e dell’onnipotenza di Dio e di ottenere una profonda riconoscenza nei confronti del fatto che Dio è la salvezza dell’umanità, e che Egli è amore! Dal mio cuore si è sprigionata infinita adorazione e lode nei confronti di Dio!

Fonte: La Chiesa di Dio Onnipotente

Dopo essere stato devastato dai demoni, mi rendo conto ancor di più di quanto preziosa sia la grazia di Dioultima modifica: 2019-12-13T16:12:18+01:00da rina8000
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