I PAZIENTI GUARITI DA CORONAVIRUS POSSONO PERDERE FINO AL 30% DELLA CAPACITÀ POLMONARE

I PAZIENTI GUARITI DA CORONAVIRUS POSSONO PERDERE FINO AL 30% DELLA CAPACITÀ POLMONARE

Coronavirus: i pazienti guariti possono perdere fino al 30% della capacità polmonare

Secondo uno studio condotto dai medici di Hong Kong hanno scoperto come alcuni pazienti, che hanno superato la malattia del coronavirus , mostrino una capacità polmonare ridotta.

Alcuni pazienti già guariti dal Covid-19 hanno mostrato una ridotta funzionalità polmonare e presentano, ora, problemi nella respirazione, soprattutto quando camminano velocemente. A rivelarlo è uno studio riportato giovedì dall’Hong Kong Hospital Authority e riportato dal South China Morning Post. Il direttore medico dell’Autorità Center for Infectious Diseases presso il Princess Margaret Hospital, Owen Tsang Tak-yin, ha rivelato come durante il periodo di ”follow up” di 12 pazienti dimessi, tre di loro non erano in grado di realizzare attività precedentemente svolte. “Rantolano se accelerano il passo“, ha spiegato Tsang, aggiungendo che dopo il recupero “alcuni pazienti possono avere una riduzione della capacità polmonare compresa tra il 20% e il 30%“.

Tsang ha, inoltre, sottolineato come gli effetti a lungo termine della malattia potrebbe lasciare tracce come la fibrosi polmonare, ovvero un indurimento dei tessuti polmonari che ne impedisce il corretto funzionamento. Il medico ha sottolineato come saranno organizzate sessioni di fisioterapia per rafforzare i polmoni di questi pazienti. Tsang ha anche raccomandato, ai soggetti guariti dal Coronavirus, di dedicarsi ad esercizi che possano aiutare le funzioni cardiovascolari, come il nuoto, per aiutare gli organi a riprendersi gradualmente.

Questa settimana, la National Health Commission cinese ha dichiarato come il paese asiatico abbia superato il picco dell’epidemia di Coronavirus, anche se la situazione è ancora in evoluzione. Un altro aspetto da tenere presente sono le ricadute. Quanti, dopo il Coronavirus potrebbero subire una polmonite? Ad oggi appare chiaro che solo una piccola parte della popolazione colpita presenta ricadute dopo la guarigione, come spiegato da Francesco Blasi, ordinario di malattie respiratorie all’UniMI e direttore del Dipartimento di Medicina Interna e di Pneumologia del Policlinico di Milano a Il Giornale. Nei soggetti anziani continua l’esperto, il danno al polmone si risolve più difficilmente e spesso occorrono farmaci ed e ossigeno. In questi casi le possibilità di un ritorno della polmonite è intorno al 10-15% nei due anni successivi. In ogni caso nessuno può prevedere con certezza cosa accadrà ai soggetti guariti, per la mancanza di una letteratura scientifica. Solo tra sei-otto mesi cominceranno ad essere pubblicati i primi studi sulle conseguenze di questa polmonite massiva provocata dal Coronavirus.

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i farmaci che potranno aiutarci contro il coronavirus

Contro i batteri ci sono gli antibiotici. Ma per i virus, purtroppo, solo in qualche caso esistono farmaci mirati, disponibili dopo anni di ricerche. Così, per affrontare l’infezione da coronavirus e soprattutto la polmonite e gli altri quadri che si manifestano nelle forme più severe, si stanno cercando soluzioni “attingendo” a farmaci già disponibili o in sperimentazione. L’Italia, in questo senso, è all’avanguardia. Ecco perché.

Il caso di Remdesivir

Al momento non esiste un trattamento che abbia dato risultati tali da poter essere considerato indicato per questa infezione. Ci si muove utilizzando farmaci come la clorochina o l’associazione di inibitori delle proteasi, che in pratica impediscono ai virus di “ricostruirsi” dopo essersi replicati, già utilizzati nel trattamento dell’infezione da HIV. Ovviamente comunque non si tratta di farmaci mirati per questo virus, che non ha le proteasi “identiche” rispetto a quelle dell’HIV.

Tra le buone notizie, in Italia parte una sperimentazione su un farmaco chiamato Remdesivir, già impiegato in alcuni pazienti, uno dei pochi per cui sussista un’evidenza sperimentale di possibile efficacia, almeno in modelli di laboratorio, nei confronti dei coronavirus. Saranno coinvolti inizialmente cinque ospedali, ma l’idea è quella di allargare le strutture interessate dallo studio.

Secondo Massimo Galli – Past President SIMIT (Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali) e Direttore Divisione Clinica di Malattie Infettive AO- Polo Univ. Luigi Sacco:  “Nella situazione di totale carenza di farmaci, l’impiego di Remdesivir compassionevole ha dato una possibile speranza per l’identificazione di una terapia che potesse avere un’efficacia anche nei pazienti con infezione da nuovo coronavirus (Sars 2 corononavirus)”.

“È evidente che nei pazienti da Sars 2 coronavirus non è facile poter determinare il grado di efficacia di questo farmaco in contesto di uso compassionevole e quindi sarà estremamente importante disporre dei dati di protocolli di sperimentazione clinica che si stanno avviando in queste ore. In modo particolare, questi due protocolli potranno vedere in due bracci con diversa durata di terapia l’efficacia di Remdesivir in pazienti con polmonite da coronavirus associata a compromissione della funzionalità respiratoria e pazienti con polmonite da coronavirus ma non ancora associata a una alterazione della saturazione di ossigeno rilevante. Questa possibilità ci consentirà di poter determinare con ragionevole sicurezza la validità dell’approccio terapeutico anche nei pazienti con minor compromissione in relazione a quello che si può definire lo standard of care e cioè le altre opzioni terapeutiche che stiamo utilizzando”.

È il primo protocollo di ricerca controllato che viene posto in atto per la determinazione dell’efficacia di un farmaco di questa specifica condizione clinica.

L’anti-artrite che viene donato

Nelle forme più severe di infezione da coronavirus, poi, si può avere una fortissima infiammazione capace di risultare alla fine la vera causa dell’aggravamento e del diffondersi della polmonite, con i maggior danni.

A mediare queste infiammazioni sono le citochina, particolari composti che le sostengono. In Cina, proprio per frenare questa evoluzione (quindi in casi specifici) è stato registrato a tempo di record per questa indicazione tocilizumab, un anticorpo monoclonale messo a punto da Roche e approvato da qualche tempo per la cura dell’artrite reumatoide.

Il medicinale agisce non sul virus ma su una citochina, chiamata Interleuchina-6 o IL-6, inibendo il recettore specifico di questa citochina. La buona notizia è che Roche, l’azienda che produce tocilizumab, ha deciso di rispondere innanzitutto al bisogno più urgente indotto dalla pandemia: la necessità di disporre di farmaci utili a contrastare l’aggravamento delle condizioni di salute dei pazienti positivi al virus SARS-CoV-2.

Il gruppo si impegna a fornire gratuitamente per il periodo dell’emergenza, tocilizumab a tutte le Regioni che ne facciano richiesta, fatte salve le scorte necessarie a consentire la continuità terapeutica ai pazienti affetti da patologie per cui il prodotto è autorizzato. Il farmaco, attualmente impiegato per il trattamento dell’artrite reumatoide, non è indicato per il trattamento della polmonite da Covid-19, ma la comunità scientifica sta dimostrando interesse al suo utilizzo dopo l’inserimento nelle linee guida cinesi.