107. fare la guida

Fare la guida potrebbe significare, in generale, iniziare e finire un percorso insieme a qualcun altro a cui si sta spiegando qualcosa, ma…

snoopy esploratore

Un quadro, un romanzo, una statua, un palazzo, un giardino … e sono lì, davanti a qualcosa e a un gruppo di persone che aspettano che io racconti quel “qualcosa”.
E ognuno di noi ha una storia personale che subito si intreccia con ogni parola che dico, compresa io con le parole che in quel momento scelgo di dire.
Le persone che ascoltano parlano anch’esse nel loro rispettoso silenzio, con le loro posture, i loro abiti, a volte con qualche domanda. Nulla è per caso. Ho visto silenziose e pudiche lacrime scendere sulle guance da un cuore toccato da una mia parola o dal dettaglio di un quadro, o un aprirsi di spalle prima chiuse come ali ripiegate, oppure un impercettibile alzarsi della testa insieme all’apparire di un lieve sorriso. Sono momenti preziosi di passaggi di informazioni, cioè di nozioni, idee, rappresentazioni: una forma di istruzione, di educazione e cultura.
C’è da scegliere cosa raccontare. Oltre gli autori, le tecniche, lo stile, l’epoca, c’è da dire anche il pensiero-modello-di mondo che ha prodotto quella narrazione. Se io fossi in India, in Centro e Sud America, in Africa, non vorrei solo sapere misure tecniche pennellate stile, vorrei anche sapere cosa ha prodotto tutto questo, i pensieri gli sguardi di singoli e comunità così diversi da ciò di cui ho avuto esperienza.
Quindi mi tocca: mi faccio carico di rivedere la storia del mondo in cui vivo, e di capire cosa io per prima ho filtrato per me stessa e di allargare gli orizzonti che io o il caso o le coincidenze hanno a me ristretto.
Perché qui vicino a me ho delle vite, non si possono prendere in giro le vite: questo è un momento che non si ripeterà più, né per queste vite né per la mia.
Ogni parola allora esce come il risultato-filigrana del cesello di un gioielliere, per lo meno mi impegno a fare che sia così.

Ma sono curiosa, le vite mi affascinano, la singola storia di un uomo di una donna a me appare come l’incarnazione di un sacro che colgo anche nei più piccoli gesti: un sacro già in atto, un sacro che cerca di uscire da scorze di resistenza, un sacro a volte in azione e che scompare poco dopo.

E allora penso che  si possa “fare la guida” di ogni cosa, con il senso profondo che ha il narrare e, attraverso la narrazione e la guida, guardare osservare conoscere le diversità.
Vorrei fare la guida di un albero, per esempio: un albero è come una casa, come un regale palazzo che ospita numerosi abitanti, e di tutto ciò parlare.
La guida di un prato.
La guida di un paesaggio, mi piacerebbe fare la guida di un paesaggio (ricordo il mio “passeggiarte” di tanti tanti anni fa, un progetto e una parola inventata da me, in sordina, diffusa senza clamori mediatici e che adesso viaggia nel mondo).
La guida dei gesti di cura.
La guida dei momenti prima di addormentarsi.
La guida dei primi momenti in cui ci siamo appena svegliati.
“Fare la guida” è conoscere ciò di cui si sta parlando, conoscere al volo chi si ha di fronte, conoscere se stessi e le relazioni che intercorrono tra tutto ciò.

E poi “fare la guida”, per me, della mia vita.
“Fare la guida” come forma di conoscenza, come forma di tenerezza.                                                                                                                                                                                                                        IMG_20190510_172637_leggeroIMG_20190510_172654_leggeroIMG_20190510_172703_leggero

http://www.treccani.it/vocabolario/guida/

https://www.etimo.it/?cmd=id&id=8361&md=1b6884df6988d604a8fa78137fd79715

https://www.etimo.it/?cmd=id&id=8359&md=623fc74ded37f26f84179c090e23f20b

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http://www.orvietonews.it/cultura/2019/05/20/la-fruizione-dell-arte-come-occasione-autentica-di-catechesi-70308.html?fbclid=IwAR2sGmRfOZ7cRPD7RnBVwGqsHXFEDfwS9NHjRNpDfRa3IE4IG_k_qyDwB_A

Snoopy esploratore 2

Derek Walcott, The bounty, fonte web

Le frasi di un patois radicato in questo pendio di creta
che soffiano tra i germogli del cedro; la terra s’incrina come se fosse un vecchio secchio del carbone, con manici, morceaux-chaudière,
e una secca musica comincia: le zucche-cicala delle maracas,
l’argenteo bagliore dei bangio, i violini che graffiano l’aria,
il cedro silenzioso che si staglia contro l’azzurra siccità,
l’ultimo barlume di una lingua che trasmuta nelle foglie fiammanti
lungo l’Atlantico cobalto che presto quel mutare spegnerà.
Le cose erano fatte bene: il legno in cui crede il carpentiere,
il fornaio che col suo remo estrae pagnotte dall’argilla,
odore, forma e suono escono dalla fragranza della terra,
con la frase «Era così, ma non parliamo più a quel modo»,
finché si radica nella lingua un silenzio fatto con le nostre mani.
Il silenzio degli hotel bianchi, le maniche increspate di una costa
che porta un menù tradotto nella parlata delle isole
che valletti e camerieri ripudiano. «Non è più così».
Quell’albero che conosco geme quando s’inclina
per compiacere il vento. Sulle prime, per via del suo ansimare,
pensavo che la terra tremasse all’ombra delle acacie spinose,
ma avevo posato il piede sopra un tronco, e i suoi lamenti
venivano dalle radici sottoterra; se come noi ansima il suolo
allora i morti, perfino nel silenzio, forse ancora respirano.
*
Il sentire del villaggio nella calura del pomeriggio, un torpore
che tramortisce i polli, che fa desiderare ai sassi di nascondersi
dal sole delle due, quando andare di porta in porta
è una spedizione, quando la palma e il mandorlo chinano il capo
in polverosa consunzione, e vecchie ubriache siedono su canoe rotte,
troppo stanche per mendicare, e i ragazzi hanno quello sguardo fiacco
che dice niente, né «Fatti forza» né «Benvenuto». Nessun rumore
dal mare, l’orizzonte abbaglia: a tutto questo hai fatto il callo,
ma qualche volta qualcos’altro penetra e le secche lo avvistano:
«Se si esclude quell’enorme nuvola che naviga sopra una fregata,
ici pas ni un rien» dicono, non c’è niente qui. Nada
è la strada dalle ombre affilate e gli ambulanti quieti
come il loro igname, e strano a dirsi le torrette di Granada
sono nada al confronto di questo bianco vuoto ribollente, dei calcinati
castelli di pietra nell’estate, o dei piccioni che esplodono in stormi
sopra San Marco, nada vicino alla garzetta dal passo lungo,
al confronto della tranquilla ronda della fregata nella baia
abbagliante, e dei frangenti che si spaccano sulle rocce.
È solo la tua immaginazione che alla fine l’accende
al tramonto in quella mezz’ora colore del rimpianto,
quando la risacca, più vecchia della tua mano, scrive:
«Non è niente, ma è questo niente che la fa grande».

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107. fare la guidaultima modifica: 2019-05-21T16:00:33+02:00da mara.alunni