177. dici-amo-ci: io siamo, noi sono, tu è, egli sei – nuove grammatiche per nuovi sentire e nuovi agire

Raccontare quello che ci forma. Tendere le braccia verso tutto ciò che abbiamo avuto, che abbiamo, che avremo; aprire le mani per dare-ricevere.
Una mappa di noi stessi per comprendere come sia anche la mappa del mondo.
Un gioco da fare da soli. O in compagnia tra persone di profonda fiducia reciproca.
Un elenco che aiuta  nei momenti difficili. E anche nei momenti facili.
E’ sempre il tempo di un grazie-prego, della consapevolezza delle connessioni.
Io siamo. Noi sono. Tu è. Egli sei. Nuove grammatiche per nuovi sentire e nuovi agire.
Adesso. Adesso. Adesso.

Tu lo sai chi sono io? Io lo so chi sei tu?
Giochiamo all’amore, giochiamo a conoscerci.
Mi racconti tutto ciò da cui ti senti formato?

Non c’è noia tra noi. Se lo spazio di casa ci sembra piccolo, i racconti sono grandi. Quelli delle vite, poi, sono immensi.

La casa dove sono nata e dove ho vissuto fino a 5 anni insieme ai genitori, i nonni, lo zio e la zia.
I giorni di pioggia quando la mamma decideva di fare la pizza e il  profumo del condimento di quella al pomodoro.
La pentolina di plastica con cui a tre anni giocavo immaginando cucine fantastiche con terra foglie e aria e che si sciolse quando la misi sul piano della stufa a legna che era accesa.
I giornaletti di Topolino che sfogliavo senza ancora saper leggere e mi incantavo alle avventure delle scoperte archeologiche fatte da Paperon de’ Paperoni o da Topolino.

Ora tocca a te, poi continuo io. Una volta per uno.

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Cose che mi hanno emozionato?
Tante. Ogni cosa che imparavo era come un mattone che costruisce una casa.
I libri delle scuole elementari, le loro copertine colorate. Il sussidiario che già mi faceva soggezione solo per il nome, ma dentro le sue pagine trovavo il mondo e lo accarezzavo.
Le carte geografiche dell’Italia, dell’Europa e del Mondo appese alle pareti delle aule.

E tu?

 

 

Ok, adesso io?
Le vacanze al mare durante l’adolescenza, a casa degli zii.
Platone. Pirandello. Leopardi. Dante. E come faccio a dirteli tutti?
Abbiamo tempo, dici?
Ah, sì, certo, adesso. Adesso.
Ti va di stringermi la mano, per favore?
Di abbracciarmi?
Ti racconto che ho bisogno di una persona, anche di una sola persona di cui aver completa fiducia.
Ho lacrime che non trovano la strada per uscire.
Qualcuna è scesa quando ho visto la fila dei camion che trasportavano feretri. La pietas. La fragilità. Il silenzio. Il timore. La preghiera.
La zia morta qualche giorno fa e portata al cimitero senza funerale. Soffriva di cuore da tempo, se ne è andata in un silenzio ancora più grande di quello del suo cuore che si è fermato.
Mio padre, il mio babbo che coltivava l’orto; e poi,mentre noi eravamo al mare, lui costruiva le case e veniva a trovarci il sabato e la domenica.

Adesso, sì, abbiamo tempo. Tanto, incredibile quanto tempo si dispiega.

E tu? Adesso tocca a te.

 

 

Ora tocca a me?
La sala parrocchiale piena di cartelloni che raffiguravano storie educative, tipo la strada per l’inferno tutta rose e fiori e quella per il paradiso tutta nuda rocce e rovi e spine. Non mi piaceva, io dicevo alla catechista che se volevamo bene a Gesù la strada era piena di fiori, era quella per il paradiso piena di fiori.
Le sartine che venivano a cucire a casa e i miei vestiti li disegnavo io.
L’inizio dello studio della psicologia e della filosofia in secondo magistrale.
T. S. Eliot e il suo “Assassinio nella cattedrale”, stupendo.

E tu?

 

Io adesso?
Mille cose. Gli impressionisti. Tutte le madonne con Bambino. Le raffigurazioni bibliche ed evangeliche della Creazione, dell’Arca di Noè, della Torre di Babele, dell’Annunciazione, della Natività, della Deposizione, della Resurrezione.
La Danse  e Icaro di Matisse, che incanti.

E tu?

 

 

Ora tocca a me?
La pasta col tonno, i maccheroni con le noci che si fanno a Natale, i carciofi.
E di ogni cosa potrei dirti tante cose, tanti giorni, tante occasioni.
Ballare. I ritmi latini. I balli in piazza per le feste del paese con mio padre e con mia sorella.
Accipicchia quanto siamo ricchi!
La fede nuziale che ho venduto dopo la separazione e con i soldi ricavati ci ho fatto … vieni qui vicino, te lo dico in un orecchio …

Tu, tu, dimmi di te.

 

Ora racconto io?
Adesso, in questi giorni, un’immagine che amo, così protettiva; ha qualcosa che non so dire, te la mostro.

421px-Lippo_memmi,_madonna_della_misericordia,_Chapel_of_the_Corporal,_Duomo,_OrvietoLa chiamano Madonna della Misericordia, mi è sempre piaciuto questo  manto, guardo quelle persone, e guardo Lei, e sì, c’è molto che non so dire.
Questa è dipinta sulla parete di destra della Cappella del Corporale del duomo di Orvieto. E’ di Lippo Lemmi, 1320 circa.

Oh, guarda fuori della finestra! Sta nevicando e un forte vento trasporta i fiocchi di neve che,  per le raffiche, sembrano diventare pennellate bianche. Un turbinio. Adesso. Una magia. Ci piace. Speriamo non faccia danni alle gemme, ai fiori degli alberi da frutto. La neve, mi piace la neve, al suo tempo, d’inverno. Ricordo la lunga camminata notturna in mezzo a un mondo bianco illuminato dalla luna, mi sembrava ci fosse felicità, in me c’era.
E mi piace la pioggia, quella che non fa danni. Quante belle passeggiate sotto la pioggia!

E poi la parola “mentre”, una parola femminile. Le femmine – mi diverto a chiamare anche così noi donne, come quando ero bambina- sanno fare tante cose contemporaneamente. E poi è una parola che amo a  prescindere da tutto, mi piace proprio tanto quello che significa.
E mentre accadono miliardi di cose nel mondo, accadiamo anche noi che ci raccontiamo e ci conosciamo un po’ di più; e mentre accadono i nostri racconti, accadono anche miliardi di cose nel mondo e che ci formano.

Un’altra persona cara a me vicina, un parente acquisito se ne è andato in questo momento; un malore ieri sera e poco fa, nel sonno, ci ha lasciati.
Abbracciami.

E tu?
Continua tu.

 

Io adesso?
Che posso dire …
Ci sono tante lacrime nel mio cuore che vogliono uscire, forse con te ci riesco.
Ci sono tanti sorrisi nel mio cuore che vogliono uscire, forse con te ci riesco.

Un manto blu sono le tue mani.

Adesso c’è il sole. Le gemme sono salve.
Adesso c’è neve e sole, le differenze chiedono voce e riconoscimento.

E questa poesia. Perché bisogna avere attenzione e premura e cura.
Prima. Non dopo.
Questi giorni sono difficili. Li immagino come la terra dissodata dall’aratro.
E poi immagino i semi e le piante che crescono.
Ah, ci regalavamo bustine di semi con le amiche.

 

LA FALCIATRICE

La falciatrice si bloccò, due volte; inginocchiandomi trovai
un porcospino imprigionato tra le lame,
ucciso. Era vissuto nell’erba alta del prato.

L’avevo già visto e gli avevo pure dato da mangiare, una volta.
Adesso avevo irrimediabilmente distrutto il suo mondo /discreto.
La sua sepoltura non mi fu di nessun aiuto:

al mattino io mi risvegliai e lui no.
Il primo giorno dopo una morte, la nuova assenza
resta sempre lì – uguale;

dovremmo essere l’uno dell’altro attento,
e gentili anche, finché ci resta un po’ di tempo

(PHILIP LARKIN)

 

Camminiamo esuli, tenendoci per mano nel cuore.

 

Ora tocca te, dimmi.

 

 

177. dici-amo-ci: io siamo, noi sono, tu è, egli sei – nuove grammatiche per nuovi sentire e nuovi agireultima modifica: 2020-03-24T11:28:38+01:00da mara.alunni