CRISANTEMI NERI
(tradotto dal Sanscrito da E. POWYS MATHERS)
Roma, primi anni del Duemila, Regalo di Gabriele P., il Mago –
Lui ha Offerto la Sua Splendida Luce nel Cammino di molte Persone.
Da poco era finita una lunga storia d’amore con una Sua compagna e, parlandomene con amore dolore e tristezza, mi regalò un foglio su cui era dattiloscritto questo testo. Fu l’unica volta che vidi Gabriele triste, e questo sentimento Lo rese ai miei occhi ancor più prezioso, completo.
Fu capace di ritornare ancora ad amare, come lo era stato prima, quando, dopo la fine di una Storia, aveva iniziato una nuova relazione con la compagna con cui si era appena concluso il rapporto. Pochi amori, meno delle dita di una mano:
era molto serio “E “disponibile a rimettersi in gioco nel piano dell’Umano.
Ringrazio Gabriele, il Mago, per il Suo modo di essere uomo, di essere persona e di essere medico.
La Sua Capacità Maieutica era il paradigma dialogico di ogni Incontro. Lo ringrazio per il Suo immenso sapere, per le Sue infinite esperienze e conoscenze. Lo ringrazio per ciò che ha seminato
nel mio cuore, nella mia anima, nel mio corpo, nel mio spirito.
Lui ha saputo amare la Vita, le Persone, la Terra.
Dopo avermi regalato il foglio con questo splendido testo e aver atteso che lo leggessi, mi chiese cosa avevo letto, e gli risposi: “Tristezza, nostalgia … il modo in cui quest’uomo si rende conto “ora” di come fossero belle la sua amata e la vita… e bellezza, e tanta fisicità.” Mi chiese ancora: “Cosa vuoi portare con te?” Gli risposi, un po’ titubante perché non volevo essere scortese verso il Suo dolore: “La bellezza, e tutta la fisicità che trabocca da ogni riga.”
Lui sorrise.
E poi parlammo ancora, approfondendo il concetto del “continuum” come gli avevo chiesto, sotto il portico della sua casa immersa nella campagna laziale.
Era maggio inoltrato, i giochi di luce e di ombra regalati dagli alberi ci fecero silenziosa e chiacchierina compagnia. Un inno al Potente Presente, da cui sicuramente Gabriele era stato incaricato di esserne l’Evocativo Rappresentante. Un Mago, appunto.
Ora
se vedo nell’anima mia la bella dai seni simili a cedri,
tutta color dell’oro, col volto quali le stelle notturne,
che la illuminano; col corpo rischiarato dalla fiamma,
ferito dalla sfolgorante lancia d’amore,
la mia prima, in ragione dei suoi giovani anni,
allora il mio cuore è sepolto vivo nella neve.
Ora
se la mia fanciulla dagli occhi di loto tornasse da me
stanca del dolce peso del giovane amore,
ancore la darei a queste assetate braccia gemelle
e dalla sua bocca berrei il greve vino,
come un’ape vacillante, pirata che svolazza con grazia,
ruba il miele al nenufaro.
Ora
se la vedessi giacere tutta occhi grandi
e per collirio il margine della sua guancia
allungato fino all’orecchio luminoso, e col pallido fianco
sofferente per la febbre della mia lontananza,
allora il mio amore per lei sarebbe ghirlande di fiori, e la notte
un’amante dai neri capelli sul seno del giorno.
Ora
i miei occhi stupiti di non più vedere, creano, creano
volti della mia fanciulla perduta. O riccioli d’oro
che sfiorate guance come piccole foglie di magnolia.
O candida, morbida pelle, dove …
le mie povere labbra abbandonate hanno scritto eccellenti
stanze di baci, e non ne scriveranno più.
Ora
la morte mi manda il tremolio di palpebre incipriate
su occhi folli e la pietà del suo gracile corpo
rotto per la stanchezza della gioia;
i piccoli fiori rossi del seno saranno il mio conforto
movendosi sopra i veli, e per il mio dolore
umide labbra di corallo che un tempo io dissi mie.
Ora
chiacchieravano nei due bazar della debolezza
di colei che fu sì forte nell’amarmi, e piccoli uomini
che comprano e vendono per danaro, poiché sono schiavi,
increspano il grasso intorno agli occhi; eppure
nessun principe della città del mare l’ha presa,
per portarla al suo tetro letto. Piccola solitaria,
tu ti stringi a me come una veste fanciulla mia.
Ora
amo occhi neri e lunghi che accarezzano come seta,
sempre, sempre occhi tristi e ridenti,
le cui palpebre danno un’ombra così dolce quando si chiudono
da far pensare a un nuovo e bello sguardo di lei.
Amo una fresca bocca, sì, una bocca profumata,
e ondulati capelli, sottili come fumo,
e dita leggere, e riso di verdi gemme.
Ora
ricordo che mi rispondesti così piano,
quand’eravamo un’anima sola, con la mano nei miei capelli,
e al ricordo che ardeva s’arrotondavano le tue labbra vicine:
ho veduto le sacerdotesse di Rati fare all’amore al calar della luna
e poi in una sala coperta di tappeti, con una lucente lampada d’oro,
stendersi noncuranti in un angolo per dormire.
Ora
ascolto i passi e le parole dei saggi venir dalle torri
dove pensarono a lungo in gioventù. E io ascoltando,
non ritrovai il sale dei mormorii della mia fanciulla,
sussurro di colori confusi, quando giacevamo prossimi al sonno;
piccole sagge parole e piccole argute parole,
gaie come l’acqua, dolci del miele dell’ardore.
Ora
ricordo che amavo cipressi e rose, chiare
le grandi montagne azzurre e le piccole colline grigie,
il fragore del mare. E un giorno
vidi strani occhi e mani simili a farfalle;
per me al mattino le allodole si levavano dai timi
e i bimbi andavano a bagnarsi nei ruscelli.
Ora
so di aver assaporato il caldo aroma della vita
levando alte le coppe verdi e d’oro alla grande festa
e per un tempo minimo e dimenticato
ebbi proprio in mezzo agli occhi, e veniva dalla mia fanciulla,
il più candido raggio d’eterna luce …