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Critical review: Impulsi sinestetici liberi SCULTURA TRIANGOLARE


Di Barbara Augenti Impulsi sinestetici liberi  SCULTURA TRIANGOLARE di Carlo Marchetti in Sala 3 “Gekotempo” di Carlo Marchetti.

Scultura triangolare. Nell'opera Scultura triangolare 2018 dell’artista Carlo Marchetti abbiamo un incontro di filosofia antropologica con tutta la potenza simbolica dell’uomo-artista intento a (ri)creare se stesso. Va, infatti, innanzitutto detto che è una scultura triangolare composta di legno e sabbia, perché l'opera non si può disgiungere dal suo legame interattivo con la materia che le dà vita e dalla forma che la fa esprimere. E se, da una parte, il  triangolo porta in sé l'essenza del numero come emblema dell'unione dei numeri che lo precedono e ci ricorda come sia intimamente legato al concetto stesso di creatività, con il lato verticale che riproduce un aspetto, quello orizzontale che ne riproduce un altro e l'ipotenusa che diventa la loro progenie - nuova forma scaturita dalla combinazione degli altri due - anche i materiali di cui la scultura è composta ci raccontano una storia di creazione e rigenerazione. Il simbolismo del legno è quello dell’energia solare in ascesa, di crescita e nutrimento e dell'inizio della vita mentre la sabbia è figlia dell’opera incessante dei movimenti del vento e del mare, aria e acqua intente in una metamorfosi di frantumazione, erosione finalizzate alla ricostituzione e all'assunzione di forme e colorazioni nuove.

Marchetti, difatti, compie attivamente un’azione dialettica con i materiali scelti, assegnando ad essi – entrambi vivi – una parte dinamica e tutt'altro che marginale nella finalità della scultura, proponendo uno scambio altruistico di vita con vita.

Nella stessa scelta di rappresentare il profilo umano, l'artista vuole raggiungere la dimensione più fedele ed intimamente caratterizzante (pensiamo alla circumductio umbrae ed al mito legato di Dibutade legato ad essa, che narra come la giovane, per tenere impressa la figura dell'amato in partenza per la guerra, ne avesse ricalcato proprio la sagoma proiettata dall'ombra sul muro) ma al contempo, anche, la più nascosta del nostro volto e la meno familiare allo sguardo. E sceglie di riprodurla optando per una versione della sola metà di un sé umano che sembra inseguirsi in una giostra viva di oscurità e nitidezza.

Con questa scultura, l’uomo-artista che crea l’arte creando se stesso, diventa autore di un processo che non può ultimarsi e che pertanto supera la sua stessa finitezza – come lui stesso spiega, tra l'altro, il profilo è anche l'unica forma di ritratto che si può disegnare senza interruzione, con un solo tratto in una linea continua - ma si rivela anche come la creazione che sopravvive al suo ruolo di artefice mortale. “Che opera d’arte è l’uomo – sembra volersi chiedere l’artista – (…) E tuttavia, per me, cos’è questa quintessenza di polvere?” si chiede Amleto (Atto II, scena 2); ma a differenza del personaggio shakespeariano, Marchetti sembra avere la risposta. E ce la offre mostrando l’uomo come un’opera già viva che, autonomamente, entra nelle mani dell’artista ma, al contempo, considerando anche quest'opera come la figlia che trova la propria nascita proprio grazie a quelle stesse mani. Ed il tutto in una stretta correlazione, indissolubilmente inarrestabile, con il processo dell’esistenza stessa.

Barabara Augenti

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