(di Mauretta Capuano) – ROMA, 26 FEB – JEAN-BAPTISTE DEL AMO, IL FIGLIO DELL’UOMO (NERI POZZA, PP 216, EURO 18). Un romanzo che mette a disagio, che disturba, con un linguaggio duro, aspro. Ne ‘Il figlio dell’uomo’ lo scrittore francese Jean-Baptiste Del Amo racconta la violenza che si trasmette di generazione in generazione, che ha l’eco della tragedia antica. La storia è ambientata nell’oscuro ventre di una montagna dove un uomo, tornato in famiglia dopo anni di assenza, porta moglie e figlio.
Tutti i personaggi sono senza nome. “Come lettore sono sensibile ai libri che mi maltrattano, che richiedono da parte mia uno sforzo di lettura. Quando scrivo cerco di uscire dalla mia confort-zone e di confrontarmi con le mie ossessioni e paure. Sento un’esigenza di verità e schiettezza, anche nel linguaggio” dice all’ANSA Del Amo, in Italia per l’uscita del libro, pubblicato da Neri Pozza, con cui il 25 febbraio sarà al festival Testo, a Firenze.
Vincitore a 26 anni del Gouncourt per l’opera prima con ‘Un’educazione libertina’, lo scrittore, che ora ha 41 anni, concede a questa storia tremenda un’apertura nella figura di una bambina che viene protetta dal fratellino, dopo la morte della loro madre in uno straziante parto. “La storia parla della trasmissione della violenza in particolar modo nel patriarcato.
Quindi della violenza che si trasmette dai padri ai figli e che si ripete da una generazione a un’altra. La comparsa della bambina rappresenta la possibilità che si ponga fine a tutto questo. Da una parte volevo che il libro avesse un finale tragico, senza ambiguità, perché in qualche maniera condanno il figlio a sottrarsi al padre utilizzando le sue stesse armi e ripetendo i suoi stessi gesti. Però volevo anche che ci fosse una possibilità di speranza. Chi legge può immaginare che ci sia un’altra fine possibile a questa vicenda. Io la risposta alle mie domande di partenza non la ho trovata. L’unica cosa che posso fare è lasciare dei libri che sollevano interrogativi” spiega Del Amo.
Perché i personaggi non hanno un nome? “Ho cercato dei nomi per loro però mi sono reso conto che non funzionava. Nominarli mi sembrava una specie di tentativo di rinchiuderli dentro una determinata realtà. Sono personaggi di un ceto sociale modesto, operaio, ma hanno la pretesa di essere universali e per fare questo li ho portati verso la mitologia. Non avere un nome consente loro di accedere a una situazione più grande, che li sacralizza in un certo senso. E poi ho voluto voltare le spalle a ogni psicologia per non rischiare di dover giustificare le scelte e le azioni di questi personaggi”.
Del Amo ha voluto mettere chi legge “nella stessa condizione del figlio che non capisce perché questo padre prima scompaia, poi ritorni e perché questa madre accetti tutto questo e anche che lui trascini la famiglia su queste montagne”. Montagne in cui quest’uomo viveva in una casa tetra con il padre impazzito.
“Chi legge si ritrova anche lui abbastanza smarrito difronte alle azioni di questi personaggi. Questo significa uno sguardo esterno. Io dedico molta attenzione ai corpi, al loro modo di muoversi e stare nello spazio, al loro modo di parlare” dice l’autore di ‘Regno animale’ che in questo nuovo romanzo torna ai temi della sua scrittura come il confronto tra il mondo infantile e la brutalità di quello adulto e l’ineluttabilità degli eventi.
“Capita spesso che nei miei romanzi la scena del parto sia tremenda. Anche la mia visione della maternità e della paternità lo è. Non so spiegare perché. L’idea di dare la vita, di accettare questa responsabilità, di condannare un altro essere a vivere e dunque a soffrire è qualcosa di affascinante e tremendo. Gli uomini e gli animali formano questa grande comunità del vivente e hanno tutti dei corpi che sono alle prese con la nascita, la morte, la sofferenza. ‘Il figlio dell’uomo’ è un condensato di tutto questo”.
Del Amo è anche consapevole di correre “il rischio di dare in pasto al lettore un testo troppo aspro, con dei personaggi distanti da noi”, ma a compensare è l’elemento naturale.
“La natura è una sorta di contrappunto che offro all’assenza di psicologia e suggerisce delle cose sull’interiorità dei personaggi. Così questa località montana dove il padre trascina la moglie e il figlio protegge e minaccia nello stesso tempo”, sottolinea Del Amo che è nato a Tolosa dove ha vissuto fino a 18 anni e ora vive in campagna, nei dintorni di Tours, in un vecchio casale che sta restaurando.
“Per me è importante vivere in mezzo alla natura, nutre il mio immaginario ed è molto presente in quello che scrivo” dice.
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>>>ANSA/Del Amo, mi piacciono i libri che mettono a disagio
>>>ANSA/Del Amo, mi piacciono i libri che mettono a disagioultima modifica: 2023-02-26T14:22:08+01:00da