La nostalgia si addice a quel che è stato, riguarda il passato. Qualcuno anni fa parlò perfino di nostalgia dell’avvenire ma il significato era trasparente: costruire il futuro sulle tracce di un mitico passato. La nostalgia del presente fu invece il titolo d’una famosa poesia di Borges, dove il desiderio combaciava con la realtà. Al di là di Borges, la nostalgia del presente appare quasi uno scippo di vitalità alla pienezza del tempo in atto, un’emorragia vitale o una schizofrenia mentale, il contrario del carpe diem. È il sentore di non vivere abbastanza il presente, di non trattenere alcuna traccia di quel che sta accadendo, come se finisse prima che se ne prenda pieno possesso. E dunque indica il timore e il dolore di veder sfiorire le situazioni presenti. La fotografia è una forma tecno-pratica di nostalgia del presente: immortalare il momento o il luogo, cioè fermarlo, depositarlo nella sacca della nostalgia, l’archivio. Il vintage è invece la nostalgia applicata agli oggetti. La poesia nasce da un sentimento di nostalgia preventiva: mentre vivi un’esperienza, un incontro, una presenza, prefiguri il suo svanire, avverti il presagio della sua assenza. E da quel sentimento di perdita sorge la poesia, che è il tentativo estremo di eternizzare o tesaurizzare quel momento, quel luogo, quell’incontro e di farlo vivere in un altrove, oltre il tempo e lo spazio. Salvare nei cieli della poesia quel che finisce in terra, dissipato nei giorni. La poesia è la dimora della nostalgia, intima e cosmica; la poesia sorge sull’amore perduto o caduco, sul presagio doloroso di una mancanza, passata, presente o ventura. La nostalgia è il sentimento originario che ha mosso l’arte, il pensiero e la grande letteratura di ogni tempo: si pensi all’Odissea, il poema della nostalgia. Il filosofo della nostalgia è Plotino che nel nome di Platone eresse un pensiero incentrato sul conato dell’anima a ricongiungersi all’Uno da cui è sgorgata. Ma il termine nostalgia, benché evocante due parole antiche – nostos e algos – è recente e non sorge in ambito filosofico-letterario bensì medico-scientifico. Indicava infatti una malattia diagnosticata poco più di tre secoli fa e riguardava i soldati svizzeri che pativano la lontananza dalla loro valle, la loro patria. Quel sentimento di lontananza spaziale, che in seguito fu ribattezzata apodalgia, coi romantici si tramutò in lontananza temporale. Non più distanza spaziale che implica la presenza pur remota di ciò che si anela a rivedere; ma distanza temporale, riferita a un tempo trascorso; dunque sentimento disperato che non può essere esaudito. Il suo più acuto sensore fu Marcel Proust, il suo capolavoro riassume il senso della nostalgia: alla ricerca del tempo perduto. Il suo prologo in cielo, ossia la sua versione metafisica, è il paradiso perduto, che è poi l’unico paradiso da noi conosciuto, secondo Borges. Da Omero a Kavafis, da Saffo a Pasolini, la nostalgia è l’anima della poesia. L’uomo è un animale nostalgico, non sa vivere solo del presente. Vive tra l’attesa ponderata del futuro (Kant) e la nostalgia delle origini (Plotino, Vico, Mircea Eliade). La follia odierna pretende di abolire la nostalgia e negare il passato. Questo da un verso implica la cancellazione della memoria storica ma dall’altro comporta la velleità utopica di proiettare la condizione di allora nel momento presente. L’infanzia e la giovinezza sono le fonti della nostalgia? Aboliamo la nostalgia e viviamo nell’illusione del puer aeternus, figurandoci come bambini permanenti, sempre giovani. La sindrome di Peter Pan nega la nostalgia perché rifiuta di considerare il tempo che passa. La nostalgia, invece, accoglie il principio di realtà: quella condizione, quell’atmosfera è passata, è trascorsa da storia a mito. La separazione dal presente rende sacro quel passato. Il fascino della nostalgia è lì: evoca un evento o uno stato irripetibile e irrevocabile. Non puoi rifarlo né puoi cancellarlo. Come i classici, le grandi imprese, gli amori perduti. L’arte che ne scaturisce sublima quella mancanza, e il desiderio esala fino alle stelle (de-sidera). Per il bambino perenne, invece, il desiderio va esaudito e così cessa l’arte, nata dalla nostalgia che è il dono della mancanza. Analoga pretesa hanno i movimenti nostalgici che vogliono ripristinare un passato concluso. Il passato lo puoi amare e onorare ma non puoi riportarlo in vita. È morto e può vivere solo nel mito. La nostalgia è un nobile sentimento intimo e universale ma non può essere un programma storico-politico. La storia è una freccia, la nostalgia è invece una curva; la pietà del ritorno che si curva a raccogliere il tempo versato. La nostalgia riconosce il fascino dell’inattuale, irriducibile all’attualità. Ma è ingenuo idealizzare il passato . La superiorità ontologica del passato sul presente è un’illusione ottica che nasce da due motivi: il rimpianto bioepico della nostra infanzia/giovinezza e l’occhio magico della nostalgia che è selettiva e conserva del passato solo le cose amate. Ci sono temperamenti più inclini alla nostalgia e altri più protesi alle novità. Ci sono i migranti di prua che amano vedere lo scafo che solca nuove onde e punta nuove terre, appena intraviste, e ci sono i migranti di poppa che amano vedere il paesaggio originario che si perde alla vista e la scia sul mare è il suo estremo cordone ombelicale. Beato chi ama ambedue, le origini e l’approdo, divino chi le combacia. La nostalgia è il canto, e l’incanto, di un tempo che passa al mito. Il passato che vive e non passa si chiama invece Tradizione, che è patrimonio trasmesso, eredità perpetuata, perennità che continua nel corso del tempo. Ci sono giorni e sere soprattutto in cui avverti il peso ottuso della vita andata. Il male, il nulla, il falso, il poco, il mio, il futile, il labile, sono i sette colori di quest’iride spettrale che va dal nero al bianco, ingrigendo la vita. Senza la luce della nostalgia scema la policromia del mondo. È la nostalgia a dare colore al passato. C’è un proficuo esercizio d’amore per animare la nostalgia nell’intimità. Chiudete gli occhi e concentratevi a ricordare ad una ad una le voci delle persone più care e assenti. Passatele in rassegna, lentamente, fino a sentirle risuonare nella memoria e nel cuore, associandole allo sguardo, l’ultimo sguardo di loro che vi è rimasto impresso benché remoto e ormai sfocato. Per dare più forza a quell’esercizio ripartite dalla memoria della vostra voce che li chiama. Li vedrete apparire e sentirete la loro voce che vi parla e il loro sguardo che vi guarda. Questa è l’arte di procurarsi i sogni, di rianimare il passato e di con-vocare gli assenti in un simposio di nostalgia. Un esercizio difficile e delicato, come risalire la corrente, sfidando le rapide impetuose che invece trascinano verso il basso, nella valle dell’oblio. La pietà della vita è protesa a risalire la corrente del tempo. La nostalgia è quel dolore dolcissimo che pervade l’anima per una lontananza che sentiamo vicina e per un’assenza che sentiamo presente.
Marcello Veneziani