Viva la sposa autarchica di Martina Franca. Una ragazza di quarant’anni si sposa in chiesa, nella bella chiesa di San Martino del bellissimo borgo pugliese, nei giorni del festival della Valle d’Itria; fa addobbare la chiesa di fiori, spende una cifra per il ricevimento nuziale, arriva in auto vestita da sposa e aspetta invano il suo sposo; ha deciso di convolare a nozze all’insaputa del suo prescelto o nonostante il suo parere contrario. Poi quando il parroco la invita a lasciare la Chiesa per evidente vizio di procedura, non può celebrare con lo sposo contumace, lei decide di sfogare nel mare di Puglia la sua solitudine di sposa faidate, autoreferenziale, solitaria. E il naufragar è salato in questo mare… Una storia surreale, per certi versi romantica, che colpisce in modo particolare me che scrissi anni fa La sposa invisibile. Stavolta invisibile è lo sposo, che esiste ma non ha mai detto di si alla sposa, si dice anzi che sia già impegnato. La storia si può interpretare in tre modi diversi. Il primo è che l’amore di coppia è fondato su un elementare principio: la reciprocità. Mancando quella prima condizione, manca di conseguenza tutto il resto. Certo, l’amore è asimmetrico, a volte si ama senza essere (del tutto) ricambiati ma non si può prescindere dal consenso, almeno iniziale. Ci sono persone rimaste sole tutta la vita perché non sono riuscite a dimenticare o rimpiazzare il loro amore perduto. Esistono poi gli amori ideali, all’insaputa dell’amato o senza il suo consenso. Ma gli amori ideali non pretendono di convertirsi in realtà ad ogni costo. Restano nella sfera ideale, come l’amore di Dante per Beatrice e di Leopardi per Silvia, e si sublimano in ispirazione poetica. Diventano invece persecutori, paranoici e anche aggressivi quando pretendono amore anche se non sono ricambiati. I casi peggiori viaggiano tra lo stalking e la violenza, fino a uccidere la persona amata. In questo caso pugliese l’amore autarchico non infierisce sulla persona amata; si limita alla scena virtuale, alle nozze unilaterali e incompiute. Qui si accede a un secondo livello. Ed è quel fenomeno sociale, ormai diffuso da più di trent’anni, tra il Giappone e gli Stati Uniti, che è la sologamia. A differenza della sposa pugliese, le nozze qui non prevedono la presenza neppure virtuale – in cartonato o in ologramma – di uno sposo reale; è un consapevole matrimonio solo con se stessi. Una pratica più diffusa tra le donne, in misura minore dagli uomini; di chi sente il bisogno di celebrare il suo statuto di singolo, sposandosi con se stesso. Un amore narcisistico che nel mio libro dedicato all’Amore necessario ho catalogato attraverso la formula Io amo Io. Certo, un matrimonio così non ha bisogno di una chiesa e di un sacerdote, e nemmeno di un ricevimento, ma è in totale autarchia, è solipsismo nuziale, autosufficienza amorosa, una forma nuova di onanismo nuziale. È il sintomo più vistoso della solitudine contemporanea, la perdita dei confini tra il virtuale e il reale, l’individuo assoluto che non ha bisogno di nessuno e si marita con se stesso, in selfie, pur sapendo che la scelta non produce autogravidanza, al più ricorre a uteri in affitto e fecondazioni artificiali. Del resto, la nostra società prevede l’esistenza della famiglia mononucleare, che non allude alla mononucleosi ma vuol dire che il singolo fa famiglia da solo; da non confondere con la famiglia monoparentale, dove c’è un solo genitore ma ci sono figli, magari frutto di precedenti unioni. A me sembra assurdo e del tutto improprio definire famiglia qualcosa che ne è la negazione, perché priva di un noi. Chiamatelo come sempre è stato, celibato; la donna che non si sposa, da noi in Puglia, è chiamata vacantina, alludendo alla vacatio maritale; non si è sposata, è rimasta signorina. A proposito, qui si accede al terzo livello, si lascia il nostro tempo e si entra invece nel nostro luogo. Il matrimonio resta nel sud, anche in tempi di single e di matrimoni di breve durata, il culmine della vita personale e sociale, il principale investimento famigliare e la principale industria, con un indotto pazzesco. Nozze che costano un occhio della testa, ricevimenti che dissanguano famiglie, feste che durano tantissimo, in proporzione più dei matrimoni che celebrano. Non a caso, in Puglia vengono a sposarsi anche pascià e sultani, perché la festa nuziale da loro dura a lungo, per giorni. Dodici ore filate tra attese, messa, lancio del riso, servizio fotografico, pranzo infinito, ballo, trenino, presepe familiare e amicale al completo; sfibrano anche i più volenterosi sposi e i più eroici invitati. E li conducono già durante il ricevimento a delineare separazioni e rotture tra i clan familiari. Il matrimonio al sud, in Puglia, è un test psico-attitudinale di convivenza nella lunga durata che comporta pazienza, resistenza, recita ad oltranza, capacità di sopportare il caldo e altre avversità: è davvero una scuola di alta formazione al sacrificio per mettere su famiglia. In passato ho raccontato che in una interminabile festa nuziale, corse come una invocazione diffusa, il paragone tra nozze e funerali e la preferenza per questi ultimi: le celebrazioni funebri durano meno, non devi farti l’abito per la cerimonia, non devi dissanguarti coi regali e i ricevimenti; il morto non dà bomboniere e muore una volta sola, invece gli sposi a volte si risposano; ai funerali puoi partecipare anche restando in disparte, dopo la messa devi solo sobbarcati una breve passeggiata detta corteo funebre; e non c’è il disc jockey. Insomma, capite, se si arriva a rivalutare perfino i funerali, c’è qualcosa di perverso e di insopportabile in quelle cerimonie nuziali. Nozze, voce imperfetta del verbo nuocere. Si aggiunga che in Puglia il lancio del riso è considerato troppo lieve, da noi il riso va di solito con patate e cozze; ma il lancio di riso patate e cozze colpirebbe molto più pesantemente gli sposi e i loro accoliti, detti testimoni, lasciandoli felici e contusi. Invece la sposa autarchica di Martina Franca ha sognato di sposarsi anche senza sposo e senza invitati, pur prevedendo in astratto entrambi. Si è sobbarcata gli oneri nuziali e ha risparmiato al mondo e allo sposo presunto quella terribile giornata nuziale nel caldo torrido di luglio. Dite quel che volete, ma considero questa scelta il più grande dono d’amore che la sposa ha fatto al suo sposo riluttante e ai suoi cari…
Marcello Veneziani.