La cosa peggiore che può capitare al padre di uno o più adolescenti è leggere un vademecum, tra le migliaia che si trovano in rete, su come essere un buon genitore rafforzando la propria relazione con la prole. In genere sono strutturati come una lista di buoni consigli, in genere servono solo a ricordare i difetti sche si hanno e gli errori che si sono commessi. Però è vero che si basano, prevalentemente, su una letteratura scientifica corposa, a sua volta fondata su dati raccolti tra decine di famiglie ed è da da queste ricerche, da questi dati che bisogna partire.
Uno studio effettuato dalla Penn University, ad esempio, ha provato a stimare l’impatto della maggiore o minore intimità tra genitori e figli adolescenti: basata su 388 ragazzi da 202 famiglie, ha misurato la loro condizione psicologica in tre momenti diversi tra i 12 e i 20 anni, differenziando i soggetti sulla base del rapporto costruito col padre e con la madre, ricostruito dai ricercatori con una serie di domande su quanto andassero da loro a chiedere consiglio, quanto si confidassero, quanto li mettessero a parte delle loro questioni personali. Risultato: una maggiore intimità col padre produce un minor rischio di sintomi depressivi attraverso tutta l’adolescenza, una maggiore con la madre lo produce verso la metà di questo periodo delicato, intorno ai 15 anni; una maggiore intimità col padre crea meno preoccupazioni in merito al peso corporeo sia nei ragazzi sia nelle ragazze per gran parte dell’adolescenza, mentre l’intimità con la madre svolge questo ruolo prevalentemente nei primi anni e quasi solo nei ragazzi In generale la letteratura scientifica tende a coincidere: nelle famiglie con due genitori un maggior coinvolgimento del padre - non solo nella modalità tipica di una volta, quella normativa - migliora i risultati accademici dei figli, ne aumenta l’autostima e, più in generale, li fa stare meglio. Ma è vero anche che a pesare sulla salute mentale dei ragazzi e sulle loro capacità di raggiungere gli obiettivi che si prefiggono, pesano tanti di quegli elementi da rendere difficile legare i miglioramenti esclusivamente alla solidità emotiva della figura paterna: lo status socioeconomico di partenza, per esempio, ha un ruolo centrale. Il rapporto più corposo sul benessere dei ragazzi in età scolare viene realizzato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e si basa su dati raccolti in 44 Paesi, dai quali emerge che il 20% più povero del campione ha maggiori difficoltà a risolvere i problemi, a raggiungere i risultati che desidera, denuncia una situazione di salute fisica e mentale peggiore e si sente più solo. I ragazzini che provengono da famiglie meno danarose, peraltro, tendono più degli altri ad un utilizzo “problematico” dei social network. Avere un padre e averlo presente può essere utile (ovviamente), ma non è detto che sia l’elemento fondante nello sviluppo di quei bambini che saranno gli adolescenti e poi gli adulti di domani. Più in generale, si nota in una ricerca realizzata dall’università di Halle-Wittenberg, in Germania, quello che conta di più è il clima familiare. Ancora una volta si ricade nell’impalpabilità delle relazioni, laddove il tentativo di misurare cosa è bene e cosa è male si scontra col vissuto di ciascun nucleo famigliare, comunque sia composto e di qualsiasi genere siano i suoi protagonisti, che vi sia un padre o no, che vi sia solo il padre, che il padre sia lontano, che siano due o che ci siano due madri. E qua si torna ai decaloghi, che spiegheranno per filo e per segno come essere un padre (o una madre) ideale; proveranno a tracciare un confine tra nuova genitorialità ed eccesso di confidenza; indicheranno - banalmente, correttamente - la via dell’ascolto e della pazienza. Ma ogni famiglia ha il suo calderone di limiti, parole ed errori. Così come ogni adolescente è una persona a sé. E come lo è, naturalmente, ogni padre.
Simone Spetia