Oggi il Signore ci parla direttamente, non fa uso di parabole, alza gli occhi ed esclama: "beati voi quando..." e se leggiamo attentamente il testo, vedremo che alle beatitudine non corrisponde una descrizione di gioia, anzi di povertà, fame e pianto. Ovviamente il Signore non vuole dirci che siamo beati quando soffriamo, ma beati quando nonostante quelle situazioni, riusciamo a riconoscere il regno di Dio, la sazietà e la gioia che provengono da Lui. È come se il Signore ci invitasse a fare un passo in più di consapevolezza, ovvero credere che in qualunque circostanza la mano di Dio non si allontanerà mai dalla nostra, e ogni fatica non sarà mai vissuta nella solitudine, bensì con un Dio che ha cura di noi.
La tendenza in cui si può cedere è il "guai" con cui ci avverte Gesù, ossia cercare la ricompensa, la consolazione, non perché sia sbagliato e se il Signore ce ne parla, è perché conosce pienamente l'animo umano, ma in quanto è temporanea, limitata nel tempo e lascia quel sapore di "finito" che non tiene libero il cuore dell'uomo, ma lo rende dipendente.
Dio ci ha creato per una libertà che si manifesta proprio nella fatica, nella povertà e alzando gli occhi al cielo, abbiamo il dono di incrociare lo sguardo del Signore e provare quella pienezza e forza di Dio che Egli desidera per tutti noi.
Siamo creati per essere beati, per renderci conto che la nostra beatitudine è nel Signore, attraverso tutto ciò che siamo e facciamo e per credere o tornare a credere in un Dio che vuole solamente dirci: figlia/o la mia benedizione sia sempre su di te, non temere, perché non ti lascerò. Davvero di cuore beati noi!