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Mattina verso le otto e trenta.
Sto nuotando.
Da alcuni giorni grazie a dio riesco a seguire questo rituale che volerà via da me non appena saranno finite le ferie.
Niente di grave.
Avrò un’altra possibilità il prossimo anno per bramare tutto questo, visto che si desidera sempre ciò che non abbiamo.
E quindi sperimentare quella sensazione di freddo iniziale non appena ti immergi.
Quel brivido improvviso lungo la schiena.
Accorgerti che ti abbandona dolcemente e si trasforma in “freschezza”.
E i movimenti della nuotata che diventano morbidi e sciolti.
La mente che si distrae dalla fatica e si lascia condizionare da quello che si propone alla vista.
E così salta agli occhi la ritmica sinuosità del fondale sabbioso, il volteggiare delle bollicine d’aria create dalle bracciate, il banco di mormore fermo immobile che a raccontarlo si passa per bugiardi.
E quell’orata solitaria che nuota in disparte in questo mare sempre più devastato dall’uomo.
E infine, la sensazione dirompente di felicità che va per logica a braccetto col sentirsi così fortunati.
Ma questa mattina c’è stato un altro pensiero che si è insinuato nella mia mente.
Ho riflettuto su tutte quelle circostanze in cui vale la regola “chi ha il pane non ha i denti”.
Ed ho pensato a tutte quelle persone che snobbano la fortuna e la relativa prospettiva di felicità che viene loro concessa gratuitamente dalla vita.
Come nascere nelle vicinanze del mare ad esempio.
E allora, con un impeto inatteso, sono salite a galla alcune parole che avevo letto in un bellissimo post qui su Libero, dove una madre descriveva la nascita del proprio figlio dicendo che quel giorno lei la felicità aveva deciso di andarsela a prendere.
Ecco.
Io ho provato esattamente la medesima sensazione: di esser fortemente andato a prendermi quella felicità che stavo vivendo.

 

Yersinia Pestis

Si aggira per le strade percorse dall’uomo come un killer storico di professione.

Le vittime sono a milioni ed unite da un sottile filo rosso che trascende ogni logica.

Il movente pare essere il Castigo.

E per comodità si dice sia un Castigo divino.

Non è l’ennesima riflessione sul caro amico COVID19 o sulla peste, come si potrebbe evincere leggendo il titolo.

Mi riferisco piuttosto ad un altro male oscuro.

Il pettegolezzo.

Nell’irrefrenabile spinta di non poche persone a volersi sentire Dio, e quindi a concedersi il diritto di giudicare sommariamente coloro che hanno attorno, il pettegolezzo dispiega le sue ali e piomba come un falco sulle sue vittime.

Allo stesso modo delle cavallette… non lo ferma nessuno.

Non teme le stagioni.

Tantomeno le epoche storiche.

Nessun timore riguardo l’approvigionamento di cibo, visto che si nutre della superficialità e della svogliatezza degli esseri umani.

Svogliatezza nella ricerca del vero, nell’attesa della conoscenza del prossimo, nel volgere lo sguardo all’interno di se stessi.

Accontentarsi di vedere l’albero e non la foresta.

Mi chiedo perché tutte queste persone con la verità sempre pronta in tasca, non si soffermino a riflettere su tutti gli evntuali danni che possono fare, prima di sputare sentenze.

Avranno pur loro un cervello.

Se solo provassero a cercarlo…

I wish you are free

Oggi come ieri. Come secoli fa. La parola Libertà è sempre stata protagonista della storia dell’uomo. Sangue versato e vite spezzate per ottenerla. E sacrificio per mantenerla.

I nemici da combattere nel tempo sono cambiati, fino a diventare sfuggenti e camaleontici come accade ai giorni nostri. Ed esattamente come in un gioco di prestigio la Libertà ci viene sfilata da sotto il naso con la mano sinistra mentre veniamo indotti a guardare cosa sta facendo la mano destra. Ai malpensanti dico subito che qualsiasi riferimento politico è totalmente escluso. Qui si tratta di poteri ben più oscuri e raffinati che scavalcano con nonchalance chi si dedica alla “pratica del governo”.

Nell’epoca in cui l’homo sapiens impegna gran parte del proprio tempo a tener la testa china di circa quindici gradi in avanti per adorare lo schermo di uno smartphone o di un tablet, la Libertà viene facilmente barattata, forse addirittura svenduta, in cambio di una parvenza di “accesso gratuito al parco giochi virtuale”.

E ci ritroviamo ad esser protagonisti dell’odierno paradosso che ci vede più soli che mai nel periodo storico dove comunicare non è mai stato così semplice. Abbiamo purtroppo consegnato a Mangiafuoco anche il nostro Tempo oltre che la nostra Libertà, costretti a sostituire i pensieri meditanti con un’emoticon. E con essi anche il diritto ad i nostri silenzi che si nutrono di sorrisi, lacrime, paure e trionfi.

Emozione daltonica (The final cut)

“Gli orologi ed il loro monotono ticchettio persero d’importanza. Il tempo diventò per loro due una dimensione totalmente privata che mal si sincronizzava con quello di tutte le altre vite che gravitavano attorno.

Riempivano gli istanti in maniera imponente e quasi irriverente nei confronti degli dei, senza regole da rispettare.

Come quando, incuranti dei loro due thé aromatizzati che stavano inesorabilmente tornando a temperatura ambiente, si studiarono le mani centimetro per centimetro improvvisandosi lettori occulti di tutte quelle linee che ne solcavano il palmo.

Era già notte quando si gettarono nuovamente in mezzo a quell’infinità di anime che popolavano la piazza e camminavano a passi concitati per arrivare chissà dove in preda a chissà quale ansia.

Nella loro personale dimensione invece tutto era pacato e lontano anni luce da qualsiasi aggressività.

E con la stessa pacatezza si avviarono nuovamente verso quella stazione ferroviaria che li aveva visti la mattina incontrarsi per la prima volta.

Ci fu per entrambi la consapevolezza ovvia e quasi destabilizzante che quegli attimi così intensi ed anomali in cui si erano riconosciuti all’istante, non si sarebbero ripetuti mai più…

Ripensarono alla loro giornata e a tutte le sensazioni di benessere che avevano vissuto.

All’arrivo del treno si strinsero in un abbraccio fortissimo, dove lui la sollevò da terra per ben due volte.

Nessun bacio.

E andava bene così.

Per quelli e per tutto il resto ci sarebbe stato il tempo necessario.

Con quei suoi diciassette anni sapeva inevitabilmente ancora poco della vita che viveva.

E ancora minori erano le sue certezze, se non per una cosa: che quella giornata avrebbe fatto per sempre parte di lui.”

Emozione daltonica (part two)

“Si sorrisero con lo sguardo prima ancora che con le labbra. E quando riuscirono ad essere abbastanza vicini per salutarsi, lo fecero in modo goffo ed impacciato, tradendo senza alcun pentimento tutta l’emozione che stavano vivendo.

Ma si ripresero subito.

Iniziarono a camminare fianco a fianco e quando lei, dopo pochi attimi, ruppe gli indugi prendendolo a braccetto, per lui fu quasi naturale distendere quel gomito e cercarle la mano.

Era un gesto semplice ed innocente, ma allo stesso tempo potente e decisivo.

Il cielo quel giorno gli regalò il sole.

E fu quasi una benedizione in quel mese di Novembre dove Giove Pluvio l’aveva fatta da padrone.

Non erano ancora le nove del mattino e quel mostro di megalopoli stava facendo fatica a svegliarsi, offrendo loro strade dal silenzio surreale ove riecheggiavano solo le parole che in maniera incessante si scambiavano l’un l’altra.

In quelle due brevi vite avevano letto storie e visto serie tv in cui i protagonisti si sentivano speciali ed immuni al mondo attorno, dove “camminavano tre metri sopra il cielo” e adesso… stava succedendo a loro.

Persero d’importanza i programmi che avevano. Che fossero una colazione in centro o la visita al parco,  una corsa in metropolitana o la visita al Duomo. Perché si resero ben presto conto che l’essenziale era solo che rimanessero vicini, che potessero sussurrarsi ogni tanto qualche parolina all’orecchio annusandosi a vicenda o semplicemente che rimanessero in silenzio per godersi quella sensazione di pienezza guardandosi semplicemente negli occhi.

Si bearono di tutte quelle sensazioni… senza aspettativa alcuna.”

                                                                                                (continua)

Emozione daltonica

La storia che seguirà si è materializzata dal nulla nella mia mente in una mattina di pioggia incessante guardando un mare che ruggiva senza sosta. L’ho trascritta subito, prima che svanisse tra il vento di scirocco.

“E di certo lui non poteva aspettarsi che si sarebbero riconosciuti in maniera così immediata in mezzo a tutta quella folla appena scesa dal suo stesso treno. Una folla che, con aliena indifferenza e frenesia, lo sfiorava e lo avvolgeva con movenze nevrotiche. Solo in un futuro prossimo sarebbe riuscito a realizzare che, in realtà, si erano riconosciuti da subito nell’anima non appena incontrati in quello spazio virtuale dove quell’inspiegabile empatia aveva immediatamente regnato sovrana mentre si scambiavano pezzi di vita.

E ancora di più fu evidente quando ascoltarono al telefono le loro voci, strappando ore alla stanchezza e alla notte per consegnarsi entrambi all’alba, senza segni di stanchezza.

Ma più di tutto fu l’esperienza così nuova, per lui e per i suoi diciassette anni, di potersi tuffare negli occhi di lei senza provare il minimo imbarazzo nel sostenere quello sguardo. Senza sentirsi giudicato, ma piuttosto vivendo una sensazione di libertà assoluta che mai aveva sperimentato prima.

Quegli occhi di un colore così indefinito… O meglio, indefinito solo per lui che, a causa di una patologia congenita, vedeva i colori del mondo in maniera del tutto diversa da coloro che quello stesso mondo abitavano.”

 

A.A.A. Uomini Cercasi

Il 25 di novenbre si celebrerà la “Giornata mondiale contro la violenza sulle donne”.

Ed il giorno dopo?

Tornerà tutto come prima?

Ricominceremo la conta di questo bollettino di guerra che vede una vittima ogni tre giorni e decine di abusi quotidiani?

E gli uomini?

Dove sono?

Quelli bravi intendo. Quelli che non “toccherebbero una donna nemmeno con un fiore”.

Dov’erano il 25 novembre?

Quelle piazze e quelle strade, oltre che di donne, dovrebbero esser state piene anche di uomini, di tutti quei maschi che si dicono estrenei alla violenza ma al tempo stesso non muovono un dito contro chi quella violenza la perpetra ogni giorno.

Con la vostra omertà vi state schierando a difesa di chi è dalla parte del torto.

E se difendete gli indifendibili, allora siete esattamente come loro.

Perché sei qui Morpheus

Sentii distrattamente un’intervista alla tv mentre perparavo la cena.
Un medico di cui non ricordo il nome  veniva intervistato riguardo il sonno.
Fu da quella sera che mi appassionai all’argomento, probabilmente perché ancora avvolto da mistero.
Sì perché è giusto sapere che gli studiosi del sonno vengono visti dalla scienza medica come figli di un dio minore. E ad oggi in tutto il mondo non esiste ancora uno studio a larghe intese volto a capire perché sia necessario dormire.
Gli unici ad aver approfondito l’argomento sono i rappresentanti dell’esercito americano, ma il loro intento è volto soprattutto a trovare metodi che rendano efficienti i soldati anche con poche ore di sonno alle spalle.
Ma questo a noi non interessa.
Noi vogliamo sapere perché non si sia ancora capito come mai ogni sera “muoriamo” per “risorgere” la mattina dopo e sentirci meglio di quando ci siamo coricati.
Di certo non si ha neccessità di addormentarsi solo per riposare, dato che basterebbe sedersi o coricarsi perché questo avvenga.
Altrettanto vero è che (come dicevano gli antichi greci) “i sogni son figli del sonno” e che si sogna per gran parte della notte e non solo nella fase R.E.M. come si è pensato a lungo. La quantità di tempo in cui si sogna diminuisce man mano che ci depriviamo di ore di sonno, magari per lavorare più a lungo o per divertimento. E in questi casi diventa anche più difficile ricordarli.
Sappiamo che abbiamo bisogno del sonno e che se proviamo a resistergli alla lunga ne saremo vinti.
Sappiamo che nella fasi di sonno R.E.M. (detto anche ad onde lente) il nostro cervello è attivo come quando siamo svegli, ma i nostri muscoli volontari risultano paralizzati.
Gli studi si sono rivolti anche al mondo animale per dipanare la matassadi dubbi di quello umano. Tutti i mammiferi e tutti i volatili dormono.
I delfini dormono con metà del cervello vigile, stessa cosa fanno i germani che si trovano a capo e in coda ad una fila durante le ore di sonno.
Ma se pensiamo agli animali i misteri al tempo stesso si infittiscono, dato che quando si dorme si rimane per lungo tempo immobili e quindi si diventa facili prede.
Perché allora la natura ha elaborato il sonno?
“Se non ha alcuna funzione vitale”, ha detto lo studioso Allan
Rechtschaffen, “allora il sonno è il più grosso errore che l’evoluzione abbia mai fatto”.
Un’idea che ci detta il buon senso (e che le ultime teorie sembrano avallare) è che il sonno sia necessario al cervello.
Non è forse vero che ci si sente meglio dopo una nottata di riposo?
Ad Harvard sono stati fatti alcuni esperimenti su studenti volontari: si è scoperto che nel sonno il cervello cerca di affidare alla memoria a lungo termine le cose apprese durante la veglia.
Si è inoltre scoperto che verrebbero eliminate le connessioni tra sinapsi non necessarie, come se il sonno ci aiutasse a ricordare ciò che è importante e a dimenticare quello che non lo è.
Altri studi non ancora confermati indicano un rafforzamento delle difese immunitarie ed un aiuto a combattere le malattie infettive.
Discorso inverso quando dormiamo poco e male.
Sappiamo che se veniamo privati del sonno alla fine muoriamo.
Ma non si sa ancore il perché, visto che non vi è alcuna traccia manifesta che possa giustificare il decesso. Niente organi danneggiati. Si ha come la sensazione che si sia morti per sfinimento.
William Dement, uno degli scopritori della fase Rem,  dopo 50 anni di ricerca sul sonno, alla domanda perché dormiamo? risponde: “Per quanto ne so l’unica ragione scientificamente provata per cui abbiamo bisogno di dormire è che ci viene sonno”.

Assenza di vento

Mi capita di rado.
Ma già mi sento fortunato che accada.
Mi riferisco a quell’istante in cui
molte nebbie si dipanano.
E per una frazione di tempo assolutamente incalcolabile
riesco a scorgere frammenti del libro del destino.
Un libro che si trova appena sotto il filo del mare
e che in quel segmento di tempo vede le acque
farsi sempre più calme
e alla fine immobili.
Perfettamente trasparenti.
Poi,
di nuovo la tempesta.

Senza più peso

Oggi era una di quelle giornate
da lasciar andare via.
Già lo stavo capendo dalla nottata,
ricca d’inspiegabili tormenti e sogni pieni d’ansia.
In barba ad ogni logica e ad ogni pensiero razionale,
quella sensazione si è dimostrata fondata.
Tutto il giorno con le parole di Mannarino nella testa:

“… me ne vado, disse, per la strada,
come un autobus senza fermata.
Con le sedie vuote e tutto il resto,
verso il deposito mi appresto.
Senza tutto il resto….
Pazienza, del resto!”

Ed oggi è stata proprio una giornata così,
una di quelle da mettersi alle spalle.
E dietro le spalle finalmente me la trovo.