ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO

Swann non era più geloso di Odette


Spesso, Swann tornava dalle sue visite poco prima di pranzo. Era il momento, le sei di sera, in cui un tempo si sentiva tanto infelice; ma adesso non si chiedeva più cosa stesse facendo Odette, e poco gli interessava se avesse ospiti o fosse uscita. A volte ricordava che un giorno, molti anni prima, aveva tentato di leggere attraverso la busta una lettera di Odette a Forcheville. Ma quel ricordo non gli dava nessun piacere e, anziché approfondire la vergogna che ne provava, preferiva indulgere a una piccola smorfia con l'angolo della bocca, completata all'occorrenza da un cenno del capo che significava: "Cosa me ne importa?". Certo, egli pensava adesso che l'ipotesi a quei tempi spesso contemplata, secondo la quale erano solo le immagini della sua gelosia a contaminare la vita, in realtà innocente, di Odette, che tale ipotesi (in fin dei conti benefica, giacché, fin tanto ch'era durata la sua malattia amorosa, aveva attenuato le sue sofferenze facendogliele apparire immaginarie) non era esatta, che era stata la sua gelosia a vedere giusto, e che se Odette l'aveva amato più di quanto egli avesse creduto, l'aveva anche ingannato di più. Allora, mentre soffriva tanto, aveva giurato a se stesso che, non appena avesse finito di amarla e non avesse più temuto di irritarla o di farle credere che l'amava troppo, si sarebbe concesso la soddisfazione di appurare con Odette, per semplice amore della verità e quasi per uno scrupolo storico, se Forcheville era o non era a letto con lei il giorno nel quale lui, Swann, aveva suonato e bussato alla finestra senza che gli venisse aperto e Odette, poi, aveva scritto a Forcheville che a bussare era stato un suo zio. Ma questo problema così interessante, per il cui chiarimento Swann aspettava solo la fine della propria gelosia, aveva perso ai suoi occhi qualsiasi interesse proprio quando egli aveva smesso d'essere geloso. Non immediatamente, però. Già non provava più alcuna gelosia nei confronti di Odette, e anche il giorno di quel suo vano bussare, nel pomeriggio, alla porta della palazzina di rue La Pérouse, la smuoveva dentro di lui. Era come se la gelosia, un po' simile, in questo, a quelle malattie che sembrano avere la loro sede, la loro fonte di contagio non tanto in certe persone, quanto in certi luoghi, in certe case, avesse per oggetto, più che la stessa Odette, quel giorno, quell'ora d'un passato perduto in cui Swann aveva bussato a tutti gli ingressi della palazzina. Si sarebbe detto che quel giorno, quell'ora, ed essi soltanto, avessero fissato le poche residue particelle dell'antica personalità amorosa di Swann, e che solo là, ormai, gli avvenisse di ritrovarle. Da molto tempo non gli importava nulla che Odette l'avesse tradito, e lo tradisse ancora. Eppure, per anni, aveva continuato a cercare i vecchi domestici di Odette, tanto aveva resistito in lui la curiosità dolorosa di sapere se quel giorno così remoto, alle sei, Odette era a letto con Forcheville. Poi la curiosità stessa era scomparsa, senza per altro far cessare le sue indagini. Continuava a sforzarsi di scoprire qualcosa che non lo interessava più, perché il suo io di una volta, giunto all'estrema decrepitezza, agiva ancora meccanicamente, sulla base di preoccupazioni a tal punto abolite che Swann non riusciva neanche più a raffigurarsi quell'angoscia, pure un tempo così forte da non lasciargli immaginare, allora, che se ne sarebbe mai liberato, e da fargli credere che solo la morte di colei che amava (quella morte che - come dimostrerà più avanti, in questo libro, una crudele controprova - non diminuisce affatto le sofferenze della gelosia) fosse capace di spianargli la strada, completamente sbarrata, della vita.

M. Proust, Intorno a Madame Swann

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Jeremy Irons nel film Un amore di Swann