ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO

Elstir, il Narratore e il portale della chiesa di Balbec


Lo sforzo compiuto da Elstir per spogliarsi, di fronte alla realtà, di tutte le nozioni della sua intelligenza, era tanto più ammirevole in quanto l’intelligenza di quell’uomo che, prima di mettersi a dipingere, si faceva ignorante e tutto dimenticava per onestà (giacché ciò che sappiamo non ci appartiene), era sorretta da una cultura straordinaria. Siccome gli avevo confessato la mia delusione davanti alla chiesa di Balbec: "Come, esclamò, vi ha deluso il portale? ma è la più bella Bibbia istoriata che il popolo abbia mai potuto leggere. Quella Vergine, e tutti i bassorilievi che ne raccontano la vita, è l’espressione più tenera, più ispirata, del lungo poema d’adorazione e di lodi che il Medioevo verrà componendo in gloria della Madonna. Se sapeste, oltre alla più minuziosa esattezza nel tradurre il testo sacro, quali ingegnose delicatezze ha avuto il vecchio scultore, quanti pensieri profondi, che deliziosa poesia! L’idea del grande velo dentro il quale gli Angeli trasportano il corpo della Vergine, troppo sacro perché essi osino toccarlo direttamente (gli dissi che il medesimo soggetto era trattato a Saint-André-des-Champs; del portale di questa chiesa Elstir aveva visto alcune fotografie, ma mi fece notare come la sollecitudine dei piccoli contadini che corrono tutti insieme intorno alla Vergine fosse ben diversa dalla gravità dei due grandi angeli quasi italiani, così slanciati, così dolci); l’angelo che porta via l’anima della Vergine per riunirla al suo corpo; nell’incontro della Vergine con Elisabetta, il gesto di quest’ultima che, toccando il seno di Maria, si meraviglia del suo gonfiore; e il braccio bendato della levatrice che non aveva voluto credere, senza toccare con mano, all’Immacolata Concezione; e la cintura gettata dalla Vergine a san Tommaso per dargli la prova della sua resurrezione; quel velo, ancora, che la Vergine si strappa dal seno per velare la nudità del figlio, da un fianco del quale la Chiesa raccoglie il sangue, liquore dell’Eucarestia, mentre dall’altra parte la Sinagoga, il cui regno è finito, ha gli occhi bendati, impugna uno scettro semispezzato e si lascia sfuggire, assieme alla corona che le cade dalla testa, le tavole dell’antica Legge; e l’uomo che, nell’ora del Giudizio universale, aiutando la giovane sposa a uscire dalla tomba, le prende la mano e se la preme sul cuore per rassicurarla e dimostrarle che batte veramente, non è anche questa un’idea piuttosto graziosa, piuttosto felice? E l’angelo che rimuove il sole e la luna diventati ormai inutili, perché sta scritto che la Luce della Croce sarà sette volte più potente della luce degli astri; e quello che immerge la mano nell’acqua del bagno di Gesù per vedere se è abbastanza calda; e quello che esce dalle nuvole per posare la sua corona sulla fronte della Vergine; e tutti quelli che, sporgendosi dall’alto dei cieli fra le balaustre della Gerusalemme celeste, alzano il braccio in segno di spavento o di gioia alla vista dei supplizi dei malvagi e della beatitudine degli eletti! Perché ci sono tutti i cerchi del cielo, c’è tutto un gigantesco poema teologico e simbolico, là dentro. È pazzesco, è divino, è mille volte superiore a tutto ciò che vedrete in Italia, dove, del resto, questo timpano è stato letteralmente copiato da scultori assai meno geniali. Capite bene, infatti, che è tutta questione di genio. Non ci sono state epoche in cui tutti avessero genio, queste sono semplici fandonie, sarebbe più stupefacente dell’età dell’oro. Il tipo che ha scolpito quella facciata, potete scommetterci, non era meno formidabile, aveva idee non meno profonde della gente che voi, adesso, ammirate di più. Ve lo farei vedere, se ci andassimo insieme. Certi passi della liturgia dell’Assunzione sono stati tradotti, lì, con una sottigliezza che un Redon non ha saputo eguagliare". Eppure, quando i miei occhi pieni di desiderio si erano aperti davanti alla facciata, ciò che avevo visto non era la vasta scena celeste di cui mi stava parlando Elstir, non era il gigantesco poema teologico che, me ne rendevo conto, era stato scritto in quel luogo. Accennai alle grandi statue di santi che, montate su trampoli, formano una sorta di viale. "Parte dall’inizio dei tempi per giungere a Gesù Cristo, osservò Elstir. Da una parte sono i suoi antenati secondo lo spirito, dall’altra i re di Giuda, suoi antenati secondo la carne. Tutti i secoli sono presenti, lì. E se aveste guardato con maggior attenzione quelli che vi sono parsi dei trampoli, avreste potuto dare un nome a chi ci sta sopra. Sotto i piedi di Mosè avreste riconosciuto il vitello d’oro, sotto i piedi d’Abramo l’ariete, sotto quelli di Giuseppe il demone che consiglia la moglie di Putifarre". Gli dissi, anche, che m’ero aspettato di trovare un monumento quasi persiano e che proprio questa era stata certo una delle cause del mio disinganno. "Ma no, ribatté, c’è parecchio di vero. Certe parti sono decisamente orientali; un capitello riproduce un soggetto persiano con un’esattezza di cui la persistenza delle tradizioni orientali non può dare una spiegazione sufficiente. Lo scultore dev’essersi ispirato a un cofanetto portato con sé da qualche navigatore". E più tardi, in effetti, mi avrebbe mostrato la fotografia di un capitello in cui vidi dei dragoni quasi cinesi che si divoravano l’un l’altro; ma a Balbec quel pezzetto di scultura mi era sfuggito mimetizzandosi nel grande complesso monumentale, che non assomigliava a quanto avevano visto i miei occhi sentendo l’espressione: “chiesa quasi persiana”. Le gioie intellettuali assaporate in quell’atelier non mi impedivano affatto di avvertire, benché ne fossimo circondati come nostro malgrado, le tiepide vernici, la scintillante penombra della stanza e, in fondo alla finestrella incorniciata di caprifoglio, nel viale affatto campestre, la resistente secchezza della terra bruciata dal sole, velata soltanto dalla trasparenza delle lontananze e dall’ombra degli alberi. Forse, l’inconscio benessere procuratomi da quel giorno d’estate veniva ad accrescere, come un affluente, la gioia che mi ispirava la vista del Porto di Carquethuit. Elstir mi era parso modesto, ma capii d’essermi sbagliato sorprendendo sul suo viso una sfumatura di tristezza quando, in una frase di ringraziamento, pronunciai la parola “gloria”. Chi crede che le proprie opere siano destinate a durare – ed era il caso di Elstir – prende l’abitudine di situarle in un’epoca nella quale egli stesso non sarà più che polvere. E così, costringendolo a riflettere sul nulla, l’idea della gloria lo rattrista, perché inseparabile dall’idea della morte.

M. Proust, Nomi di paesi: il paese

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

 «Et quand vous me parlez des cathédrales, je ne peux pas ne pas être ému d’une intuition qui vous permet de deviner ce que je n’ai jamais dit à personne et que j’écris ici pour la première fois: c’est que j’avais voulu donner à chaque partie de mon livre le titre: Porche, Vitreaux de l’abside, etc..., pour répondre d’avance à la critique stupide qu’on me fait de manquer de construction dans des livres où je vous montrerai que le seul mérite est dans la solidité des moindres parties».

Marcel Proust

(Proust e le cattedrali)