Era una gran dama. Per atavismo, il suo animo era colmo della frivolezza tipica delle esistenze di corte, con tutto ciò che esse hanno di superficiale e rigido. (...) Con me fu più che gentile perché, amico di Robert, non appartenevo al mondo di Robert. La sua bontà s'accompagnava a una sorta di finta timidezza, uno speciale, intermittente ritrarsi della voce, dello sguardo, del pensiero, ch'ella sembrava richiamare a sé come uno strascico indiscreto per non occupare troppo spazio, per tenersi ben dritta, pur nella disinvolta scioltezza, come prescrive la buona educazione. Buona educazione che, per altro, non bisogna prendere troppo alla lettera, giacché parecchie di queste dame scivolano facilmente nella dissolutezza dei costumi senza mai perdere la correttezza quasi infantile delle maniere. Infastidiva un po', nella conversazione di Madame de Marsantes, che immancabilmente, quando il discorso cadeva su un plebeo, per esempio Bergotte, Elstir, lei dicesse, spiccando bene la parola, sottolineandola, e salmodiandola su due toni diversi secondo una modulazione caratteristica dei Guermantes: "Ho avuto l'onore, il grande onore di incontrare il signor Bergotte, di conoscere il signor Elstir", o per fare sfoggio della sua umiltà, o indulgendo al gusto, che aveva anche il signor di Guermantes, di ripristinare forme desuete, in segno di protesta contro l'abitudine, imposta dalla maleducazione corrente, di non dichiararsi mai abbastanza "onorati".
[...]
Avrebbe voluto, per Robert, una moglie smisuratamente ricca. Essere una gran dama vuol dire impersonare la gran dama, cioè, fra l'altro, calarsi nella parte della semplicità. È una parte che esige un prezzo elevatissimo, anche perché la semplicità seduce solo a patto che gli altri sappiano che potreste non essere semplici, insomma che siete molto ricchi.
M. Proust, La parte di Guermantes I
Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori
David Richardon, Madame de Marsantes
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