ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO

Saniette


Sentendo che riusciva spesso noioso, che non gli si dava ascolto, anziché rallentare, come avrebbe fatto Cottard, e imporre l'attenzione con un piglio autorevole, non soltanto cercava di farsi perdonare con il tono scherzoso l'andamento troppo serio della sua conversazione, ma accelerava il discorso, semplificava, ricorreva ad abbreviazioni, per sembrare meno prolisso, in maggior dimestichezza con gli argomenti di cui parlava, e riusciva soltanto, rendendoli incomprensibili, ad apparire interminabilmente verboso. (...) La sicurezza di Saniette non si imponeva, si sentiva che nascondeva troppa timidezza, che un niente sarebbe bastato a metterla in fuga. Il poveretto, che gli amici avevano sempre rimproverato perché si fidava troppo poco di se stesso, e che vedeva, in effetti, persone da lui giustamente ritenute di livello assai inferiore aggiudicarsi con facilità i successi che gli sfuggivano, non cominciava più una storia senza sorridere della sua lepidezza, temendo che un'espressione non mettesse abbastanza in risalto il valore della mercanzia. A volte, facendo credito alla comicità ch'egli stesso sembrava trovare in quanto stava per dire, gli si accordava il favore d'un silenzio generale. Ma il racconto non faceva ridere nessuno. Un invitato benevolo concedeva qualche volta a Saniette l'incoraggiamento privato, quasi segreto, d'un sorriso d'approvazione, facendoglielo pervenire furtivamente, senza dare nell'occhio, come si fa scivolare un biglietto. Ma nessuno giungeva sino ad assumersi la responsabilità d'una risata. Finita e caduta la storia, Saniette restava a lungo, desolato, a sorridere da solo a se stesso, come assaporandovi per proprio conto il diletto che fingeva di trovare sufficiente e che gli altri non avevano provato.

M. Proust, Sodoma e Gomorra II

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori