ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO

Le rose di Elstir


"Ecco, guardate un po' qua, mi disse la Padrona, mostrandomi delle grandi e magnifiche rose di Elstir il cui smagliante scarlatto e il cui rigonfio candore risaltavano tuttavia con un rilievo un po' troppo cremoso sulla giardiniera dov'erano posate. Credete che ce la farebbe ancora a dare una simile zampata? È piuttosto forte, non vi pare? E poi, è bello come materia, sarebbe divertente da palpare. Non vi so dire come era divertente vedergliele dipingere. Si sentiva quanto l'interessasse cercare quell'effetto". E lo sguardo della Padrona si fissò, sognante, su quel dono dell'artista in cui era racchiusa, oltre al suo grande talento, la loro lunga amicizia, viva, ormai, solo in questi ricordi che lui gliene aveva lasciati; dietro i fiori che, un tempo, Elstir aveva colti per lei, le sembrava di rivedere la bella mano che li aveva dipinti, in una mattinata, nella loro freschezza, tanto che, le une sulla tavola, l'altro appoggiato a una poltrona della sala da pranzo, erano potuti apparire faccia a faccia, per la colazione della Padrona, le rose ancora vive e il loro ritratto parzialmente fedele. Solo parzialmente, perché Elstir non poteva guardare un fiore senza trapiantarlo subito in quel giardino interiore dove sempre siamo costretti a restare. Aveva mostrato, in quell'acquerello, l'apparizione delle rose che aveva viste, e che senza di lui non si sarebbero mai conosciute; cosicché si può dire che fosse una nuova varietà di cui il pittore, come un ingegnoso floricoltore, aveva arricchito la famiglia delle Rose".

M. Proust, Sodoma e Gomorra II

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori