ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO

Il fascino immateriale e intimo delle nostre ombre


Per qualche momento le detti persino il braccio, e mi sembrava che l'anello che il suo braccio formava sotto il mio unisse in un solo essere le nostre due persone e saldasse l'uno all'altro i nostri due destini. Ai nostri piedi, le nostre ombre parallele, poi ravvicinate e congiunte, creavano un disegno incantevole. Mi sembrava già meraviglioso, certo, quando eravamo a casa, che Albertine abitasse con me, che fosse lei a stendersi sul mio letto. Ma che, davanti al lago del Bois che tanto amavo, ai piedi degli alberi, fosse proprio la sua ombra, l'ombra pura e semplificata della sua gamba, del suo busto, quella che toccò al sole di dipingere a inchiostro a fianco della mia sulla sabbia del viale, ne costituiva una sorta d'esportazione all'esterno, in piena natura. E assaporavo un fascino più immateriale, sì, ma non meno intimo che nell'avvicinamento, nella fusione dei nostri corpi, in quella delle nostre ombre.

Marcel Proust, La Prigioniera

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori