ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO

Quell'estratto algebrico


Quando un tempo, a Balbec, Albertine mi aspettava sotto i portici di Incarville e saltava nella mia auto, non soltanto non s'era ancora "ispessita" ma per il troppo moto, s'era eccessivamente assottigliata, magra, imbruttita da uno sgraziato cappello che lasciava spuntare solo la punta d'un naso senza grazia e, di lato, due guance bianche come vermi bianchi, ritrovavo ben poco di lei: abbastanza, comunque, perché al salto che faceva nella mia auto io sapessi che era lei, che era stata puntuale all'appuntamento e non era andata altrove; e questo è quanto basta; quel che si ama è troppo nel passato, consiste troppo nel tempo perduto assieme, perché si abbia bisogno di tutta la donna; si vuole soltanto esser sicuri che sia lei, non sbagliarsi circa l'identità, ben altrimenti importante che non la bellezza per quanti amano; le guance possono incavarsi, il corpo smagrire, persino per chi all'inizio è stato più orgoglioso, davanti agli altri, del proprio dominio su una beltà, quel pezzetto di profilo, quel segno in cui si riassume la personalità permanente d'una donna, quell'estratto algebrico, quella costante, è quanto basta perché un uomo atteso nella migliore società, e che a sua volta l'amava, non disponga d'una sola delle sue serate, perché passa il suo tempo a pettinare e a spettinare fino all'ora di prender sonno la donna che ama, o anche solo a restarle accanto, per essere con lei, o perché lei sia con lui, o perché, semplicemente, non sia con qualcun altro.

Marcel Proust, Albertine scomparsa I

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori