Una cosa, per altro, finì per rendere la pena del mio cuore acuta come era stata nel primo istante e come bisogna pur confessare che non era più. Fu il rileggere una frase della lettera di Albertine. Abbiamo un bell'amare le persone: la sofferenza di perderle quando, nel nostro isolamento, non abbiamo più davanti a noi colei alla quale la nostra mente dà, in una certa misura, la forma che vuole, questa sofferenza è sopportabile, e diversa da quella - meno umana, meno nostra, e imprevista e bizzarra come un incidente nella sfera morale e nella regione del cuore - che ha per causa meno direttamente le persone in quanto tali che non il modo in cui abbiamo appreso che non le vedremo più. Albertine, io potevo pensarci piangendo dolcemente, accettando di non vederla più, stasera come ieri; ma rileggere "la mia decisione è irrevocabile" era un'altra cosa, era come prendere una medicina pericolosa che m'avrebbe provocato una crisi cardiaca a cui non si può sopravvivere. C'è nelle cose, negli avvenimenti, nelle lettere di rottura, una rischiosità particolare che amplifica e snatura lo stesso dolore che le persone possono provocare in noi. Ma quella sofferenza fu di breve durata. Ero, malgrado tutto, così sicuro che l'abilità di Saint-Loup avrebbe avuto successo, e il ritorno di Albertine mi sembrò una cosa così certa, che mi chiesi se fosse, da parte mia, ragionevole augurarmelo. Nondimeno me ne rallegravo.
Marcel Proust, Albertine scomparsa I
Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori