ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO

Il sonno, l'oblio, il ricordo


Ma la sera, se riuscivo ad addormentarmi, era come se il ricordo di Albertine fosse stato la medicina che m'aveva procurato il sonno e il cui effetto, cessando, m'avrebbe risvegliato. Dormendo, pensavo senza sosta ad Albertine. Era un suo sonno speciale, che mi dava lei e nel quale, del resto, non sarei stato più libero che da sveglio di pensare a qualcos'altro. Il sonno, il suo ricordo erano le sostanze che ci fanno prendere insieme, mescolate fra loro, per dormire. Desto, d'altronde, la mia sofferenza andava aumentando di giorno in giorno anziché diminuire. Non che l'oblio non compisse la sua opera, ma proprio così favoriva l'idealizzazione dell'immagine rimpianta, e dunque l'assimilazione della mia sofferenza iniziale ad altre sofferenze analoghe che la rafforzavano. E tuttavia, questa immagine era ancora sopportabile. Ma se, di colpo, pensavo alla sua camera con il letto vuoto, al suo piano, alla sua automobile, perdevo qualsiasi forza, chiudevo gli occhi, abbandonavo la testa sulla spalla sinistra come uno che sta per svenire. Quasi altrettanto male mi faceva il rumore delle porte, perché non era lei ad aprirle.

Marcel Proust, Albertine scomparsa I

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori