ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO

A cinquant'anni una nuova specie di bellezza


Avendo perduto i tratti in cui era scolpita, se non la giovinezza, almeno la bellezza, le donne avevano cercato se, con il viso che era loro rimasto, non fosse possibile farsene un'altra. Spostandone il centro, se non di gravità, almeno di prospettiva, componendogli intorno i lineamenti secondo un altro carattere, inauguravano a cinquant'anni una nuova specie di bellezza, così come si intraprende all'ultimo momento un nuovo mestiere o come a una terra che non vale più nulla per la vigna fanno produrre barbabietole. Attorno a quei nuovi lineamenti si faceva fiorire una nuova giovinezza. Le sole a non potersi giovare di queste trasformazioni erano le donne troppo belle, o quelle troppo brutte. Le prime, scolpite come un marmo dalle linee troppo definitive perché vi si possa cambiare alcunché, si sgretolavano come statue. Le seconde, se avevano qualcosa di deforme nel volto, godevano persino, rispetto alle belle, di qualche vantaggio. Innanzitutto, erano le sole che si riconoscessero immediatamente. Si sapeva che a Parigi non esistevano due bocche simili, e la loro me le rendeva riconoscibili a quel ricevimento dove non riconoscevo più nessuno. E poi non sembrava nemmeno che fossero invecchiate. La vecchiaia è qualcosa d'umano; loro erano dei mostri, e il loro aspetto non appariva più "cambiato" di quello d'una balena.

Marcel Proust, Il Tempo ritrovato

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori