Come Elstir voleva vedere incarnata davanti ai propri occhi, in sua moglie, la bellezza veneziana tante volte dipinta nei suoi quadri, io davo a me stesso la scusa d'essere attratto da un certo egoismo estetico verso le belle donne che potevano farmi soffrire, e avevo un certo sentimento di idolatria per le future Gilberte, le future duchesse di Guermantes, le future Albertine che avrei potuto incontrare e che, mi sembrava, avrebbero potuto ispirarmi, come uno scultore che s'aggira fra bei marmi antichi. Avrei dovuto pensare, tuttavia, che anteriore a ciascuna era il mio sentimento del mistero in cui esse erano immerse, e che dunque, più che chiedere a Gilberte di farmi conoscere delle fanciulle, avrei fatto meglio ad andare là dove niente ci avvicina a loro, dove fra loro e noi sentiamo qualcosa di invalicabile, dove a pochi passi di distanza, sulla spiaggia, ai bagni, si sente che l'impossibile ci separa da loro. È così che il mio sentimento del mistero aveva potuto applicarsi via via a Gilberte, alla duchessa di Guermantes, ad Albertine, a tante altre. Certamente l'ignoto, e quasi l'inconoscibile, era diventato il noto, il familiare, indifferente o doloroso, ma aveva conservato qualcosa di ciò che era stato il suo fascino.
Marcel Proust, Il Tempo ritrovato
Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori