ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO

Madame de Guermantes


Al declino della vita Madame de Guermantes aveva sentito risvegliarsi in lei nuove curiosità. Il gran mondo non aveva più niente da rivelarle. L'idea di occuparvi il primo posto era per lei non meno evidente dell'altezza del cielo azzurro sopra la terra. Non riteneva di dover affermare la propria posizione, che giudicava incrollabile. In compenso, leggendo, andando a teatro, avrebbe voluto godere di un prolungamento di quelle letture, di quegli spettacoli; come un tempo, nel piccolo, stretto giardino dove si beveva l'aranciata, tutto quanto c'era di più squisito nel gran mondo veniva familiarmente, fra le brezze profumate della sera e le nubi di polline, a coltivare in lei il gusto del gran mondo, così un diverso appetito le faceva adesso desiderare di sapere le ragioni di questa o quella polemica letteraria, di conoscere gli autori, di frequentare le attrici. Il suo spirito affaticato reclamava una nuova alimentazione. Si avvicinò, per conoscere gli uni e le altre, a donne con cui un tempo non avrebbe mai accettato di scambiarsi biglietti da visita, e che facevano valere la propria intimità con questo o quel direttore di rivista per accaparrarsi la duchessa. La prima attrice invitata credette d'essere la sola in un ambiente straordinario, che parve più mediocre alla seconda quando vide chi l'aveva preceduta. La duchessa, poiché certe sere riceveva dei sovrani, credeva che niente, nella sua posizione, fosse cambiato. In realtà, lei, la sola d'un sangue davvero senza mescolanze, lei che, nata Guermantes, poteva firmarsi: "Guermantes-Guermantes", quando non si firmava: "La duchessa di Guermantes", lei che persino alle sue cognate appariva come qualcosa di più prezioso, una sorta di Mosè salvato dalle acque, di Cristo fuggito in Egitto, di Luigi XVII scampato al Temple, la purezza della purezza, adesso, obbedendo indubbiamente a quel bisogno ereditario di nutrimento spirituale che aveva provocato la decadenza sociale di Madame de Villeparisis, era diventata anche lei una Madame de Villeparisis, nel cui salotto le donne snob temevano di incontrare la tale o il talaltro e di cui i giovani, constatando il fatto compiuto senza conoscere i precedenti, pensavano che fosse una Guermantes di qualità meno pregiata, di un'annata inferiore, una Guermantes declassata.

[…]

Verso il tardi, prostrata dal minimo sforzo, Madame de Guermantes diceva una gran quantità sciocchezze. Molto spesso, certo, e parecchie volte anche nel corso di quel ricevimento, ridiventava la donna che avevo conosciuta, e parlava con spirito delle cose mondane. Ma accanto a ciò succedeva assai di frequente che quel suo eloquio brillante sotto uno sguardo incantevole, che per tanti anni aveva tenuto sotto il suo scettro spirituale gli uomini più eminenti di Parigi, scintillasse ancora ma, per così dire, a vuoto. Quando veniva il momento di lanciare una battuta, si interrompeva per lo stesso numero di secondi d'una volta, dava l'impressione di esitare, di costruire, ma la battuta che lanciava non valeva nulla. Quanto poche erano, d'altronde, le persone che se ne accorgevano! La continuità del procedimento li persuadeva della sopravvivenza dello spirito, come succede a chi, superstiziosamente affezionato a una certa pasticceria, continua a ordinare i dolci alla stessa ditta senza accorgersi che sono diventati pessimi. Già durante la guerra la duchessa aveva dato segnali di questo indebolimento. Se qualcuno pronunciava la parola cultura, lei lo interrompeva, sorrideva, accendeva il suo incantevole sguardo e lanciava: "KKKKultur",* il che faceva ridere gli amici cui sembrava di riconoscervi lo spirito Guermantes. E certo era lo stesso modulo, la stessa intonazione, lo stesso sorriso che avevano affascinato Bergotte, il quale, del resto, aveva conservato anche lui i suoi giri di frase, le sue interiezioni, i suoi puntini di sospensione, i suoi epiteti di prima, ma per non dire più nulla. Ma i nuovi arrivati si stupivano, e a volte, se non erano capitati in un giorno in cui era divertente e "nel pieno possesso dei suoi mezzi", dicevano: "Quanto è stupida!".

Marcel Proust, Il Tempo ritrovato

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

*In una lettera a Paul Souday, il critico letterario del "Temps", Proust si lamenta dell'uso, imposto dalla propaganda di guerra, di scrivere, in riferimento alla Germania, colossale e cultura col "k".