La mia decisione è irrevocabile

Una cosa, per altro, finì per rendere la pena del mio cuore acuta come era stata nel primo istante e come bisogna pur confessare che non era più. Fu il rileggere una frase della lettera di Albertine. Abbiamo un bell’amare le persone: la sofferenza di perderle quando, nel nostro isolamento, non abbiamo più davanti a noi colei alla quale la nostra mente dà, in una certa misura, la forma che vuole, questa sofferenza è sopportabile, e diversa da quella – meno umana, meno nostra, e imprevista e bizzarra come un incidente nella sfera morale e nella regione del cuore – che ha per causa meno direttamente le persone in quanto tali che non il modo in cui abbiamo appreso che non le vedremo più. Albertine, io potevo pensarci piangendo dolcemente, accettando di non vederla più, stasera come ieri; ma rileggere “la mia decisione è irrevocabile” era un’altra cosa, era come prendere una medicina pericolosa che m’avrebbe provocato una crisi cardiaca a cui non si può sopravvivere. C’è nelle cose, negli avvenimenti, nelle lettere di rottura, una rischiosità particolare che amplifica e snatura lo stesso dolore che le persone possono provocare in noi. Ma quella sofferenza fu di breve durata. Ero, malgrado tutto, così sicuro che l’abilità di Saint-Loup avrebbe avuto successo, e il ritorno di Albertine mi sembrò una cosa così certa, che mi chiesi se fosse, da parte mia, ragionevole augurarmelo. Nondimeno me ne rallegravo.

Marcel Proust, Albertine scomparsa I

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

È una fede invisibile a sostenere l’edificio

In realtà è la nostra previsione, la nostra speranza di avvenimenti felici, a colmarci d’una gioia che attribuiamo ad altre cause, e che cessa per lasciarci ripiombare nel dolore non appena smettiamo d’esser sicuri della realizzazione del nostro desiderio. È sempre una fede invisibile a sostenere l’edificio, il mondo del nostro sentire, che senza il suo sostegno vacilla. Abbiamo visto come essa costituisca per noi il valore o la nullità degli esseri, l’ebbrezza o la noia di vederli. Allo stesso modo, essa fonda la possibilità di sopportare un dolore che ci sembra mediocre semplicemente perché siamo convinti che gli verrà messa fine, oppure il suo ingrandirsi repentino sino a far sì che una presenza valga altrettanto, a volte persino di più della nostra vita.

Marcel Proust, Albertine scomparsa I

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Quell’estratto algebrico

Quando un tempo, a Balbec, Albertine mi aspettava sotto i portici di Incarville e saltava nella mia auto, non soltanto non s’era ancora “ispessita” ma per il troppo moto, s’era eccessivamente assottigliata, magra, imbruttita da uno sgraziato cappello che lasciava spuntare solo la punta d’un naso senza grazia e, di lato, due guance bianche come vermi bianchi, ritrovavo ben poco di lei: abbastanza, comunque, perché al salto che faceva nella mia auto io sapessi che era lei, che era stata puntuale all’appuntamento e non era andata altrove; e questo è quanto basta; quel che si ama è troppo nel passato, consiste troppo nel tempo perduto assieme, perché si abbia bisogno di tutta la donna; si vuole soltanto esser sicuri che sia lei, non sbagliarsi circa l’identità, ben altrimenti importante che non la bellezza per quanti amano; le guance possono incavarsi, il corpo smagrire, persino per chi all’inizio è stato più orgoglioso, davanti agli altri, del proprio dominio su una beltà, quel pezzetto di profilo, quel segno in cui si riassume la personalità permanente d’una donna, quell’estratto algebrico, quella costante, è quanto basta perché un uomo atteso nella migliore società, e che a sua volta l’amava, non disponga d’una sola delle sue serate, perché passa il suo tempo a pettinare e a spettinare fino all’ora di prender sonno la donna che ama, o anche solo a restarle accanto, per essere con lei, o perché lei sia con lui, o perché, semplicemente, non sia con qualcun altro.

Marcel Proust, Albertine scomparsa I

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori