Il duca di Guermantes

Il vecchio duca di Guermantes non usciva più, perché passava le sue giornate e le sue serate da lei. Ma oggi era venuto un momento per vedere lei, malgrado il fastidio di incontrare la moglie. Non mi ero accorto di lui, e certo non lo avrei riconosciuto se non me lo avessero indicato chiaramente. Non era più che un rudere, ma superbo, anzi meno ancora d’un rudere: quella bella cosa romantica che può essere una roccia nella tempesta. Sferzato da ogni parte dalle ondate di sofferenza, di collera del soffrire, di inarrestabile marea della morte che lo circondavano, il suo volto, sgretolato come un masso, serbava lo stile, la linea che avevo sempre ammirati; era corroso come una di quelle belle teste antiche in estrema rovina, ma di cui siamo estremamente felici di poter ornare il nostro studio. Sembrava semplicemente appartenere, rispetto a una volta, a un’epoca più antica, non solo a causa di ciò che aveva preso di ruvido e di rotto nella sua materia un tempo più brillante, ma perché all’espressione penetrante e vivace era succeduta, plasmata dalla malattia, un’involontaria, inconsapevole espressione di lotta contro la morte, resistenza, difficoltà di vivere. Le arterie, perduta ogni elasticità, avevano dato al viso, un tempo disteso, una durezza scultorea. E, senza che il duca se ne rendesse conto, svelava nella nuca, nella guancia, nella fronte aspetti in cui l’essere, come costretto ad aggrapparsi accanitamente a ciascun minuto, sembrava travolto da una tragica raffica, mentre le ciocche bianche della sua stupenda capigliatura, fattasi meno folta, schiaffeggiavano con la loro schiuma l’invaso promontorio del volto. E come quei riflessi strani, unici, che solo l’approssimarsi della tempesta in cui tutto verrà sommerso dà alle rocce rimaste sino a quel momento d’un altro colore, capii che il grigio plumbeo delle guance logore e irrigidite, il grigio quasi bianco e increspato delle ciocche sollevate, la fievole luce ancora concessa agli occhi che vedevano appena, erano colori non già irreali, semmai, al contrario, sin troppo reali, ma fantastici, e attinti alla tavolozza, inimitabile nelle sue nerezze spaventose e profetiche, della vecchiaia, della vicinanza della morte.

Marcel Proust, Il Tempo ritrovato

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

La duchessa e il duca di Guermantes all’Opéra

Nel bel mezzo della rappresentazione, entrò, tutta avvolta in mussole bianche, la duchessa di Guermantes. Andò dritto verso sua cugina, fece una profonda riverenza a un giovanotto biondo seduto in prima fila e, volgendosi verso i mostri marini e sacri che galleggiavano nel fondo dell’antro, indirizzò a quei semidei del Jockey Club un saluto familiare da vecchia amica, allusivo alla quotidianità dei rapporti che aveva con loro da una quindicina d’anni. Avvertivo, ma senza riuscire a decifrarlo, il mistero dello sguardo sorridente dedicato agli amici, nel lampo azzurrato che l’accendeva mentre abbandonava all’uno o all’altro la propria mano e che forse, se avessi potuto scomporre il prisma, analizzarne le cristallizzazioni, m’avrebbe rivelato l’essenza della vita sconosciuta che ne traspariva in quel momento. Il duca di Guermantes seguiva la moglie con i riflessi festosi del suo monocolo, lo scintillio della sua dentatura, il candore del suo garofano o del suo sparato plissé, di fronte ai quali, come per lasciare più ampio margine al loro riverbero, sembravano ritrarsi le sopracciglia, le labbra, il frac. (…) La duchessa sembrava aver indovinato che la cugina, le cui “esagerazioni” (…) erano oggetto – a quanto si diceva – del suo scherno, avrebbe indossato quella sera una di quelle toilettes che, secondo lei, la rendevano simile a una figura “in maschera”, e aver deciso di darle una lezione di gusto. Invece dei meravigliosi, teneri piumaggi che dalla testa scendevano giù per il collo della principessa, invece della reticella di conchiglie e perle posata sui capelli, la duchessa aveva in capo una semplice aigrette, la quale, sovrastando il suo naso arcuato e i suoi occhi a fior di testa, pareva davvero quella di un uccello. (…) Ma benché le due toilettes fossero così diverse l’una dall’altra, quando la principessa ebbe ceduto alla cugina la sedia occupata sino a quel momento, si videro le due dame scambiarsi, voltandosi l’una verso l’altra, occhiate di reciproca ammirazione.

M. Proust, La parte di Guermantes I

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori