Intelletto e cuore

“Mademoiselle Albertine se n’è andata!” Come si spinge più in là della psicologia, la sofferenza, in fatto di psicologia! Un attimo prima, analizzandomi, avevo creduto che questo separarsi senza rivedersi fosse precisamente ciò che desideravo, e confrontando la mediocrità dei piaceri offertimi da Albertine con la ricchezza dei desideri che mi impediva di realizzare, avevo concluso, trovandomi sottile, che non volevo più vederla, che non l’amavo più. Ma quelle parole: “Mademoiselle Albertine se n’è andata” avevano prodotto nel mio cuore una sofferenza tale, che sentivo di non potervi resistere oltre. Così, quel che avevo creduto non essere niente per me era, molto semplicemente, tutta la mia vita.

[…]

Sì, poco fa, prima che entrasse Françoise, avevo creduto di non trascurare nulla, da analista meticoloso; avevo creduto di conoscere perfettamente il fondo del mio cuore. Ma la nostra intelligenza, per grande che sia, non può cogliere gli elementi che lo compongono, e che rimangono insospettati finché, dallo stato volatile in cui si mantengono per la maggior parte del tempo, un fenomeno capace di isolarli non li abbia sottoposti a un principio di solidificazione. Mi ero ingannato credendo di veder chiaro nel mio cuore. Ma la conoscenza che non m’era venuta dalle più fini percezioni dell’intelletto, ecco che me l’aveva data, dura, lampante, strana, come un sale cristallizzato, la brusca reazione del dolore.

Marcel Proust, Albertine scomparsa I

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori