La forma del Tempo

Ora, la ricreazione tramite la memoria di impressioni che poi sarebbe stato necessario approfondire, chiarire, trasformare in equivalenti di intelligenza, non era forse una delle condizioni, quasi l’essenza stessa dell’opera d’arte quale l’avevo concepita poco fa nella biblioteca? Ah! se avessi avuto ancora le forze ancora intatte della sera che avevo evocata vedendo François le Champi! Era quella sera – la sera dell’abdicazione di mia madre – che era cominciato, insieme alla morte lenta della nonna, il declino della mia volontà, della mia salute. Tutto si era deciso nel momento in cui, non sopportando più d’aspettare l’indomani per posare le labbra sul viso di mia madre, avevo preso la mia risoluzione, ero saltato dal letto ed ero andato, in camicia da notte, a installarmi davanti alla finestra da cui entrava la luce della luna finché non avessi sentito andar via il signor Swann. I miei genitori l’avevano accompagnato, avevo sentito il cancelletto del giardino aprirsi, suonare, richiudersi…

Di colpo, allora, pensai che qualora avessi avuto ancora la forza di portare a compimento la mia opera, quel ricevimento che oggi stesso – come nel passato, a Combray, certi giorni che avevano influito sulla mia vita – mi aveva dato al tempo stesso l’idea della mia opera e il timore di non poterla realizzare, sicuramente le avrebbe impresso innanzitutto la forma che avevo presentita una volta nella chiesa di Combray e che di solito ci rimane invisibile, quella del Tempo.

Marcel Proust, Il Tempo ritrovato

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori