Creato da sfogliatellaaa il 14/09/2007

Lo zingarello

Il blog dei trasfertisti

 

 

Sopra e Sotto (seconda parte)

Post n°18 pubblicato il 01 Novembre 2007 da mimo_cucienz

Sotto

Il tizio con i mocassini guarda verso di me. I raggi del sole coperti dall’auto non mi accecano come al solito e riesco a distinguere nitidamente l’espressione che si dipinge sul suo volto. Da quando sono qua sotto non mi è più capitato di vedere le emozioni degli altri manifestarsi con così tanta eloquenza su un viso. Mi sono quasi dimenticato quanto può essere affascinante.

Gli occhi del tizio sembrano due palle tanto sono aperti. C’è terrore in essi. Aspetto che mi dica qualcosa. Mi sento un po’ a disagio. Ammetto che vedere una persona nella mia posizione possa sembrare alquanto insolito, ma non è mia intenzione turbare così profondamente chi sta sopra. In fondo, se sono sceso qua sotto è proprio perché la fuori cominciavo a sentirmi eccessivamente turbato.

Tuttavia, a quanto pare signor mocassino sembra non voler più uscire dal suo stato di catalessi. Forse è meglio rompere il ghiaccio, se non altro per scuoterlo un po’ e ricordargli che ha ancora una vita da vivere. Devo dirgli qualcosa, ma cosa? È un sacco di tempo che non parlo con qualcuno. Non vorrei peggiorare la situazione e spaventarlo a tal punto da trovarmelo tramortito proprio sopra di me. Dico la prima e unica cosa che mi viene in mente.

-Ha perso qualcosa?- apro la mano per mostrargli le chiavi.

Aspetto un istante. Sembra aver funzionato. Almeno credo. Di sicuro la sua espressione è cambiata. Se sia un bene o un male non lo so.

 

Sopra

Fino a questo momento, se qualcuno mi avesse chiesto di fare un esempio di qualcosa di insensato, avrei tirato fuori quella bella storiella che usano raccontare le ragazze quando devono scaricare il fidanzato. Robe del tipo “ti voglio un sacco bene, con te mi trovo benissimo ed è per questo che forse è meglio se rimaniamo solo amici”. Sono amico di un sacco di ragazze, io. Dell’ultima in particolar modo.

Adesso però, quel tizio sotto il tombino merita di diritto la palma come cosa più insensata alla quale potessi assistere.

“So-sono le mie chiavi?” chiedo. I suoi occhi azzurrissimi mi guardano con quella curiosità con cui i bambini allo zoo osservano le scimmie copulare alla luce del sole.

“Immagino di sì” mi risponde. E improvvisamente sembra che tra noi non ci sia più una strada che ci separa, come se ci fossimo incontrati passeggiando e ci fossimo fermati a scambiare due parole.

“Scusi ma lei cosa ci fa là sotto? Sta lavorando? È per caso un dipendente comunale? Sta riparando le fognature? Non per farmi i fatti suoi ma io abito proprio qui di fronte, non vorrei ci fossero dei problemi”.

“Stia tranquillo. Quando stasera tornerà a casa la sua doccia sarà calda come al solito e come al solito le sue impurità verranno spazzate via dallo sciacquone fino a raggiungere i miei piedi. Come tutte le sere.”

Il tizio là sotto non deve avere le rotelle tutte al loro posto. A giudicare dai modi penso che sia veramente un operaio che lavora nell’impianto fognario. Al suo posto neanche io sarei un gran simpaticone.

“Non ho ben capito di cosa si occupa; ad ogni modo dovrei andare a lavoro. La ringrazio tantissimo di aver recuperato le mie chiavi”. Mi chino e infilo due dita in una delle aperture aspettando che lui mi porga il mazzo. Ma questo non succede. Se ne sta immobile con le chiavi in mano e quei suoi occhi ebeti.

“Mi scusi, mi passa le chiavi per favore. Devo proprio scappare”. L’uomo del sottosuolo guarda le chiavi. Tenendo ferma tra due dita quella della macchina sembra incuriosito dalle altre chiavi appese allo stesso anello. Prende quella più piccola e la solleva verso l’alto in modo che io possa vederla.

“A che serve questa?” mi domanda.

Allora…..facciamo il punto, perché se tutto questo sta capitando veramente io ci rinuncio. Me ne vado in Tibet.

Sono in ritardo marcio e il tizio che raccoglie la mia merda nonché le mie chiavi se ne sta là sotto a chiedermi quale cazzo di funzione abbiano….le chiavi….. È della mia merda che gli spiegherei volentieri che uso farne.

“Non serve a niente! Mi dia le mie chiavi!”.

L’odioso minatore comincia ad armeggiare col mazzo. Ad una ad una fa scorrere tutte le chiavi fuori dall’anello. Tranne una. Poi alza il braccio e mi porge quell’unica chiave. È quella che apre la macchina. La afferro e tiro via il braccio.

“Ora ti spiego come funziona. Non dirai a nessuno di avermi visto qua. Ma tornerai se vuoi riavere le altre chiavi. È tutto chiaro?”

Quello che mi sta dicendo è di una semplicità disarmante eppure così terribile che non so più come comportarmi. Faccio sì con la testa.

“Bene” mi dice “Allora ci vediamo stasera”. Abbassa la testa  e i suoi occhi non sono più su di me.

Come in trance mi volto e infilo la chiave nella serratura, ma prima che io possa salire in macchina sento un’ultima volta la sua voce.

“Già che ci sei portami qualcosa da mangiare, se non ti dispiace”.

 

Sotto

Ho fame.

Non mangio da due giorni. Le scorte d’acqua non mi preoccupano ma il cibo è finito e tutto ciò che è rimasto è qualche pezzo di pane rancido. Il mio amico con i mocassini stasera mi porterà qualcosa. Ne sono certo.

Quell’uomo è strano eppure ha un’aria così familiare da spaventarmi. Nei suoi occhi c’è quella tristezza che conosco bene. È quel malessere costante che non ne vuol sapere di andar via. È l’infelicità causata dagli sforzi di voler essere felici a tutti i costi. È l’energia sprecata nel cercare la felicità nei modi e nei posti sbagliati.

Stasera cercherò di aiutarlo. In fondo se lo merita.

È quasi mezzogiorno e il sole è proprio sopra di me. È caldo.

Il mondo là fuori deve essere bello come non lo è mai stato.

 
 
 

......

Post n°17 pubblicato il 27 Ottobre 2007 da mignino.md
 

Vedete ci sono tanti trasfertisti al mondo , ci sono quelli che vanno in giro per mettere via un pò di soldi per garantire una vit quasi normale alla propria famiglia , ci sono quelli che anche dopo la pensione continuano a rompere le scatole a noi ma mi vorrei soffermare su quelli che vanno in gire per svago , perchè a casa con la propria famiglia non si trovano bene ( perchè la famiglia è fatta di compromessi non posso fare e dire tutto ciò che voglio). Vedete molta gente pensa che qui possa fare tutto ciò che vuole sbattendosene altamente del rispetto altrui, io penso che queste persone a casa non si comportano così e non capisco cosa cambi , perchè con i propri colleghi invece si ......

Come dice sempre sfoglia i colleghi non li ho scelti ma ci devo andare daccordo , gli amici invece li posso scegliere , e tanto per restare in tema fanculo a tutti ..

 
 
 

Sopra e Sotto (prima parte)

Post n°16 pubblicato il 22 Ottobre 2007 da mimo_cucienz
Foto di sfogliatellaaa

Quello che segue è un racconto inventato da me medesimo che per motivi di comodità pubblicherò in più parti. E' il modo in cui ho voluto esprimere quel sentimento, quella strana forza che ci spinge ad andare in trasferta. Provate a chiedere ad un trasfertista se vorrebbe cambiare il proprio lavoro con un impiego stabile nella propria città. Tutti vi diranno subito di sì. Ma poi? Poi succede che nessuno lo fa veramente. Alla fine sono sempre tutti in giro come zingari. E come per gli zingari tutto il mondo è casa. Nessun altro lavoro da quell'insieme di libertà, indipendenza, smarrimento. Crea dipendenza.

Così succede che tutti i trasfertisti dicano che il proprio lavoro sia un lavoro di merda perchè non sei mai a casa e tutto questo per qualche spicciolo in più. Ma è proprio questo il punto. Non lo si fa solo per gli spiccioli. Come dice il detto"Casa non è il posto in cui sei, ma il posto verso il quale stai andando".

Ecco quindi una storia di persone che cercano se stesse nei posti più impensati.

Sopra

È incredibile cosa un cervello ancora assonnato riesca a elaborare pur di strappare ancora qualche minuto di riposo. Me ne sono reso conto nel corso degli anni e dopo innumerevoli sperimentazioni finalizzate ad un unico e imperante scopo: arrivare puntuale a lavoro.

Dopo anni e anni di sveglia alle sette sono diventato un automa nell’allungare il braccio verso il comodino e premere il tastino che interrompe il beep elettronico. Stava cominciando ad accadere un po’ troppo spesso che mi svegliassi due ore dopo non ricordando affatto di aver spento l’allarme.

Per rimediare cominciai con un piccolo espediente. Spostai la sveglia dal comodino al tavolino poco più in là. In quella posizione dovevo alzarmi per spegnerla. Ma avevo sottovalutato le capacità inconsce della mia psiche. Erroneamente pensavo che alzarsi dal letto e fare due metri per premere il bottoncino magico richiedesse un livello di coscienza abbastanza elevato da farmi capire che era ora di andare a lavoro e non potevo indugiare ancora tra le coperte. Ingenuo fui.

Molte altre mattine arrivai tardi in ufficio, completamente ignaro di come fossi riuscito a rimanere a letto nonostante la sveglia facesse inesorabilmente il suo infame dovere. E non potevo neanche più dubitare che fosse difettosa. Avevo già superato quella fase sottoponendola ad accurati test.

In seguito la sveglia occupò nell’ordine: una mensola a due metri e mezzo di altezza, svariati cassetti qua e là, portasapone in bagno. In quest’ultimo caso ero arrivato in ufficio puntuale, ma solo perché avevo urtato il mignolo del piede contro il piatto doccia appena entrato in bagno. Decisi però, nonostante il buon risultato, che sarebbe stato meglio conservare tutte le articolazioni integre.

Oggi è lunedì. Quale giorno migliore per provare una nuova strategia? Sveglia sul comodino alle 6,50. Sveglia sulla scrivania alle 6,55. Sveglia sulla mensola alle 7 in punto.

Se da sveglio fossi efficiente come quando dormo probabilmente sarei ricco. Tre sveglie messe a tacere nel giro di dieci minuti e mi trovo ancora tra le coperte. Poi arriva lei come un dono del Signore e i miei occhi sono spalancati in un attimo. Siano benedette le zanzare. Quando ronzano nelle orecchie non c’è niente che mi tenga più sveglio. Dovrei brevettare una sveglia che ronza come loro.

In un attimo sono in piedi, lavato, vestito, caffè e giù in strada. Il passo veloce, la borsa in una mano, la giacca nell’altra. Mancano una decina di metri alla mia auto. Comincio a frugare nella tasca della giacca in cerca delle chiavi. Le mie dita toccano il portachiavi, ricordo di Napoli con su scritto “cca nisciun è fess”. Lo tiro fuori dalla tasca. Un filo di cotone blu scucitosi dalla fodera interna si aggancia all’anello delle chiavi. Nell’istante stesso in cui il filo si strappa le mie dita perdono la presa. Il mazzo di chiavi precipita liberamente per un metro e finisce dritto dentro il tombino proprio accanto alla portiera della macchina, senza neanche urtare il coperchio in ghisa. Canestro perfetto.

Sotto

Oggi l’acqua è leggermente più bassa del solito. In questo periodo normalmente mi arriva alle caviglie. Oggi no.

Il sole dovrebbe già essere spuntato, ma credo che qualcuno abbia parcheggiato di nuovo là fuori impedendo ai raggi di raggiungere le aperture sopra la mia testa. Eppure c’è un divieto di sosta grosso come una casa.

Ma non importa. Prima o poi la macchina se ne andrà e io potrò vedere se il sole è bello come al solito o se per una volta potrò tenere gli occhi chiusi perché non val la pena guardar fuori.

Infilo le mani nelle aperture del coperchio di ghisa e mi sollevo per osservare meglio cosa accade in strada. Sembrerebbe tutto tranquillo. Distendo le braccia e poi di nuovo su e nuovamente giù per dieci, venti, trenta volte. Così tutte le mattine. È importante che il fisico non cada a pezzi se voglio rimanere qua sotto. Sempre appeso al tombino faccio mulinare le gambe per qualche minuto. Poi ritorno giù e prendo fiato.

Là fuori, di sopra, qualcuno urla a una certa Silvia di prendere solo una baguette perché oggi il papà non viene a pranzo.

Dei mocassini dal tacco duro e il passo veloce si avvicinano al tombino e si fermano proprio sopra di me. Sembrerebbe un 43 suola di cuoio, scarpe nuove di un paio di giorni, tre al massimo.

Il tizio armeggia con qualcosa che ha in mano. Forse una giacca. Qualcosa di lucido esce da una tasca si libera dalla presa e cade giù. Prendo l’oggetto al volo. È un  mazzo di chiavi.

Il bello della mia posizione è che sai esattamente da quale parte arriveranno le novità. Belle o brutte che siano non devi fare altro che guardare in quella direzione e puoi star sicuro che non ti sfuggirà mai niente.

Sopra

Non posso crederci. Per una volta che riesco a partire da casa ad un’ora decente, la sfiga, il destino o qualsiasi altra roba metafisica si diverta a giocare con la mia vita, doveva tirarmi una simile fregatura.

Guardo giù per pura curiosità, consapevole che non ci sarà nulla da fare, che dovrò tornare a casa a cercare le chiavi di riserva, che sicuramente non le troverò e che dovrò telefonare in ufficio per avvisare il capo del ritardo,  raccontargli la verità o inventarmi una scusa. In un caso o nell’altro non mi crederanno. Il mio posto di lavoro è a rischio come non mai.

Aspetto che gli occhi mettano a fuoco le ombre sotto il chiusino. Delle chiavi neanche a parlarne, ma il tempo si blocca nel momento in cui il mio cervello cerca di convincersi che quello che i miei occhi vedono là sotto, in un posto in cui ti aspetteresti di vedere solo acqua o mozziconi di sigaretta o monete o mazzi di chiavi, sono altri due occhi.

 
 
 

Piede di porco e fagioli

Post n°15 pubblicato il 22 Ottobre 2007 da sfogliatellaaa
 
Tag: Cena

La fagiolada....socio!

- Vieni a cena da noi stasera? Faccio la fagiolada!

- Certo socio, porto una bottiglia di vino, ci vediamo alle 20:00.

L'appuntamento con la fagiolada non è solo una ricorrenza, non è solo una cena, non è solo una ragione in più per incontrarsi, è in modo particolare un rituale per trasfertisti.

La missione ha inizio il giorno prima, dopo il lavoro, al supermercato per la spesa. Carrello, barbe lunghe, abiti da lavoro e complicità. Il giono dell'appuntamento i piedi di porco finiscono ammollo. Alla sera finiscono in pentola con i fagioli, sale, olio, peperoncino. Tanto pane per "pucciarlo" ed il vino rosso ad innaffiare il tutto.

La cosa divertente è che all'indomani si finisce sempre a scorreggiate ;)) In fondo, il trasfertista doc è un buon mix tra il camionista ed il super tecnico, un buon compromesso.

Cmq, la fagiolada stasera era buona. Domani vi dico la seconda parte... ;)

 
 
 

Alta tensione    

Post n°14 pubblicato il 12 Ottobre 2007 da sfogliatellaaa
 

La vita in trasferta.....quante cose ci sarebbero da dire, da raccontare.

La vita in trasferta è una sorta di seconda vita. Quando sono in trasferta inevitabilmente non posso essere la stessa persona che risiede tra le pareti di casa propria.

Perchè?    Verrebbe da chiedersi.

Ci sono tanti fattori che incidono sul comportamento. Inutile soffermarsi sul classico "la lontananza dalla famiglia, dagli affetti". Lavorare dalle 10 alle non so quante ore al giorno con colleghi con cui si condividono altre ore della giornata per periodi medio lunghi può portare ad incomprensioni, liti piccole e grandi. La continua richiesta di riduzione dei tempi di lavoro per progetti che appena cinque anni fa richiedevano anni a meno di tre mesi inevitabilmente alza il livello di stress fisico e mentale. Aggiungiamo che ognuno può avere mille e più ragioni per non star bene neppure con se stesso viene da se che una scintilla può incendiare i rapporti.

Ebbene, una scintilla c'è stata, purtroppo. Per carattere sento che se qualcosa non mi va preferisco dirlo subito piuttosto che accumulare per chissà quanto tempo. Finirei per esser l'unico a star male quando magari con un dialogo od un alterco alla fine si può trovare un punto d'incontro.

Non credo di aver ottenuto il risultato sperato, ma almeno chi doveva sapere come la penso ora lo sa, vero? ;)

Mi spiace che all'indomani non tutte le persone sanno metterci una pietra su, in fondo siamo trasfertisti, il vaffanculo è come il "salute" dopo uno starnuto. Evidentemente sono io che sto troppo in trasferta, dovrei stare un pò più spesso a casa ed offendermi come fanno gli altri!!!

 
 
 


 

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