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Democrazia referendaria

Post n°185 pubblicato il 15 Ottobre 2007 da zmblog
 

Nella sua evoluzione finale, la democrazia diventò una potente arma di legittimazione del sopruso da parte del potere. La più potente mai vista. Ci fu un tempo in cui il potere rispondeva in proprio delle scelte impopolari compiute, tenendosi pronto a fronteggiarne le conseguenze. Un aumento del prezzo della farina scatenava rivolte e sommosse. Ogni nuova imposta sui generi alimentari rischiava di sfociare nella ribellione del popolo, rendendo cauti i sovrani nell'adottare questo tipo di misure. Occorreva, per prudenza, tenersi pronti alla repressione, mobilitare le forze di polizia, esporsi ad un calo di popolarità che di certo non metteva a rischio il trono, ma sminuiva l'autorità dei governanti e rendeva più difficoltoso l'esercizio della potestà. Quando non c'era la democrazia, il popolo riconosceva il potere come altro da sé ed era capace, se non di combattere il nemico, per lo meno di rendersi conto della sua esistenza e della sua ubicazione.

La democrazia è il pretesto che ha reso invisibile il potere, liberandolo dalla responsabilità delle proprie scelte e consentendogli di operare dietro un muro di sicurezza. Il trucco è quello di scaricare sul popolo la colpa delle scelte sciagurate. Far credere al popolo, attraverso una serie di accorgimenti fittizi, ...

... che esso sia la causa della propria stessa rovina. Ogni nuova tassazione, ogni provvedimento lesivo della sicurezza economica e lavorativa dei cittadini viene fatto passare, grazie all'invenzione del teatrino democratico, per una scelta imputabile alle sue stesse vittime, anche se sarebbe fin troppo semplice smascherare l'inganno. Con la "democrazia" al suo culmine, nessun lavoratore incolpava più il governo della propria fame: incolpava gli altri lavoratori che quel governo avevano "eletto", un po' anche se stesso per non aver saputo esprimere attraverso il voto una scelta migliore. La democrazia è l'arma finale con cui il potere è riuscito non solo a scongiurare ogni rischio di rappresaglia, ma anche a frantumare le schiere dei potenziali nemici. Li ha resi litigiosi e infuriati con i propri compagni, li ha costretti a rinfacciarsi in eterno errori mai commessi e scelte mai compiute, ha trasfigurato il sopruso trasformandolo in senso di colpa collettivo e in inimicizia perenne tra le schiere dei ribelli. La democrazia è un capolavoro di strategia. L'arma con cui i tiranni possono impoverire e uccidere restando nell'ombra, accusando della malversazione coloro che la subiscono.

Non c'è esemplificazione migliore di quanto appena detto del disgustoso referendum sul welfare proposto ieri dalle organizzazioni sindacali. Verrebbe voglia di definirlo una buffonata, se non fosse che esso è invece un gioco di prestigio estremamente sofisticato che non manca mai di raggiungere il proprio scopo. Il referendum era, naturalmente, un finto referendum. La materia del contendere era già stata decisa lo scorso luglio tramite un accordo stretto tra governo e sindacati. Un accordo rovinoso per i lavoratori, concluso in fretta e furia, nottetempo, senza che gli interessati avessero alcuna voce in capitolo, giustificato dalla necessità di ringraziare il "governo amico" per il denaro avuto in regalo grazie allo scippo del TFR, la cui accettazione è stata imposta d'autorità al direttivo della CGIL. Che senso ha chiedere ai lavoratori di esprimere un parere su una decisione già presa, su un accordo già concluso alla chetichella poco prima delle vacanze? Qualcuno crede davvero che questa squallida parodia di una consultazione referendaria abbia altro valore che quello di legittimare a posteriori - e con metodi assai dubbi - un tradimento già perpetrato, per l'ennesima volta, ai danni dei lavoratori?

Non c'è nemmeno bisogno di citare i credibilissimi brogli perpetrati dalla trimurti sindacale per capire che questo referendum non vale niente. Che valore può avere un referendum su una cosa già decisa da mesi, posto in essere senza alcun controllo, senza organi di supervisione e di sorveglianza, senza autorità che certifichino l'attendibilità dei risultati, senza nessun ufficio a cui poter presentare un esposto in caso di irregolarità? Come si fa a fidarsi dei risultati proclamati da quegli stessi organi sindacali che hanno tramato con il governo all'insaputa dei lavoratori? Come si può non infuriarsi di fronte ai proclami di vittoria dei confederati, in una consultazione sulla quale lo stesso Bonanni ha ammesso, a "Porta a Porta", di non avere alcun controllo? Come non dare di stomaco di fronte alla sfacciataggine con cui si proclama una vittoria dei "sì" contraddetta dai partecipanti e da alcuni dirigenti milanesi dei Comunisti italiani che disponevano di nomi e cognomi di pensionati disposti a dare il voto «ics» volte.

Tratto da un articolo di Gianluca Freda

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