estar vivo exige un esfuerzo mucho mayor que el simple hecho de respirar
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Ho camminato per le strade di una Milano primaverile che non avevo mai visto così bella con la sensazione che fosse la fine di una specie di epoca, uno di quei momenti irripetibili, ma di cui forse mi dimenticherò presto, come faccio sempre con qualsiasi evento, anche il più importante.
Finisce la mia vita universitaria vera e propria, quella fatta di lezioni, frequenza obbligatoria, viaggi in treno, relazioni obbligate con compagne di corso che mi sono -mi sono state, per anni- per lo più indifferenti, salvo poche, pochissime, rarissime eccezioni.
E mentre camminavo mi sentivo a tratti felice a tratti spaventata, e a tratti mi sembrava di tornare indietro di un paio d'anni, quando percorrevo le strade di un'altra città che ha segnato un periodo della mia vita, Lisbona.
Milano, una città che non ho mai imparato a conoscere, che ho sempre "usato" in modo asettico, impersonale, come se non mi appartenesse: treno, metro verde, metro gialla, a volte metro rossa, tratto a piedi, università, aula, e di nuovo lo stesso percorso, ma all'inverso.
E di fatto Milano non mi appartiene, non la capisco, non l'ho mai saputa apprezzare. Finisce questa parentesi di estraneità (parentesi che però sono cinque anni), e ora che finisce vorrei averla vissuta diversamente, con meno ombre ad attraversarmi il cuore, con meno fretta, meno orari di treni a cui essere vincolata. Avrei voluto vivermi Milano da studentessa fuorisede, avrei voluto fare vita di quartiere, trovarmi il mio fruttivendolo di fiducia, cose così.
Va beh, ormai è andata. Che esperienza strana, l'università, a pensarci. Strana ma a suo modo centrale, nella mia vita.
E ora penso a Milano, penso al mio lavoro, con i progetti ormai agli sgoccioli e tanto tempo libero che mi si prospetta, penso alle giornate di studio che mi attendono, penso ad una nuova tesi tutta da cominciare.
Mi sfuggono i pezzi di mano, mi sfugge la ragione per cui per cinque anni non ho fatto che correre. Avrei potuto camminare, avrei potuto preoccuparmi prima di osservare il cielo sopra i tetti delle case, i riflessi della luce del sole tra le vie trafficate. E non ridurmi a farlo l'ultimo giorno utile.
Boh, sono proprio una scema.
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