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BOB A VERONA

Post n°44 pubblicato il 25 Novembre 2007 da agathacook

Rieccomi! Sono tornato. Come “dove sei stato?”, ma i quotidiani non li leggete??? Ero a Verona, a fare il corso di “start-up” per la nuova attività (ho scoperto solo “in loco” come si scriveva ‘sta cosa inglesinformatica e cosa volesse dire, quando mi hanno invitato al corso credevo si scrivesse “star-tap” e fosse una sorta di presa in giro nei confronti della mia non eccelsa statura…

Dunque, il corso, è stata una “fulimmersciòn” (non mi hanno insegnato come si scrive, ma ho capito cosa vuol dire) di 5 giorni, per capire esattamente quale tipo di lavoro mi/ci aspettava e come funziona “il giochino” basato sui siti internet offerti alle aziende ed il loro corollario di utilizzi e servizi.

Per il sottoscritto è stato molto importante perché ho imparato il significato di decine di termini di inglesinformatica che fino ad allora mi ero limitato a sentire e qualche volta (però a bassa voce) persino a citare… (un termine per tutti: ho scoperto con sgomento che “computer” si scrive senza “i”!!!).

Il viaggio verso Parona di Verona (quella è la “lochesciòn” del corso) è stata una piccolissima odissea, ma cosa pretendo se scelgo quale mezzo di trasporto il treno…

Conoscendo il mio pollo/treno, ho preso il treno da Vigevano per Milano quasi tre ore prima della partenza del treno Milano/Verona (si sa mai…); ovviamente, direi murphianamente, quando non t’importa una sega che il treno sia in ritardo, la puntualità arriva a toccare vette che nemmeno Svizzeri e Giapponesi.

Dovendomi dunque sciroppare circa un’ora e mezza nella calda, accogliente, pulita e tranquilla Stazione Centrale di Milano, ho cercato un bar dove fare colazione… Erano/sono praticamente tutti a cielo aperto, con il personale bardato e vestito come se dovesse andare al Polo Nord (solo un paio sembravano al chiuso, ma dentro c’era un affollamento che nemmeno sulla Salerno/Reggio Calabria a Ferragosto). Trovato un luogo che mi sembrava al riparo dai monsoni, ho fatto la mia colazione, rigorosamente in piedi, con la valigia tra le gambe (è comodissimo, vi consiglio di provarlo). Mentre ero li, una signorina si è avvicinata al banco e ha chiesto, in inglese, un caffè. Dunque… Stazione Centrale… Milano… Il mondo che va e viene… Multietnicità elevata all’ennesima potenza… Le stavano rifilando di ogni, a questa poveretta, commentando ogni suo rifiuto di prodotto offerto con un “eh, parli straniero, noi non capiamo, spiegati!”.

Fatta colazione, ero tentato di bermi d’un fiato una grappa (intesa come bottiglia), per riuscire a decongelare il cibo ed il cappuccino ingurgitato, che si “cristallizzava” per il freddo, man mano che scendeva nello stomaco; ho poi pensato che non fosse il caso (più che altro facendo un rapido calcolo/rapporto di quanto mi sarebbe costata in rapporto al costo dell’accoppiata panino/cappuccino), quindi mi sono messo a pascolare per la Centrale, seguito dal fido trolley, ascoltando musica in cuffia (anche perché se per sbaglio mi fossi fermato per più di 5 minuti, il freddo mi avrebbe inesorabilmente ridotto ad un blocco di ghiaccio – i famoso “nano ghiacciato”!).

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- continua -

 
 
 
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