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Post n°79 pubblicato il 11 Febbraio 2008 da nisidacapino
Foto di nisidacapino

1926/31

Vengono costruiti 20 quartieri: Giovinezza (ora Piola), Vanvitelli (ora Verrocchio), XXVIII Ottobre (ora Stadera), Solari, Villapizzone, Ugo Pepe (ora Bibbiena), Crespi (ora Belinzaghi), Romagna, Tonoli lotti A-B e Caimi (ora Forlanini) Tonoli lotto D (ora Aselli), Anzani, Regina Elena (ora Mazzini), Polesine, Emilio Melloni (ora Calvairate), Giambologna, Plinio, Lipari (ora Lipari, Vepra e Giovio), e Piolti - De Bianchi.

Le costruzioni edificate in questo periodo possono essere divise in tre tipologie, ognuna destinata a ceti diversi:

  1. Le case a riscatto (Romagna, Plinio, Lipari) destinate ai ceti borghesi e ad una futura cessione in proprietà dell’inquilino, presentano una componente decorativa particolarmente curata, con particolare risalto ai motivi architettonici d'angolo (bow-window); molti edifici sono privi di negozi.
  2. Le case popolari di tipo comune (in semplice affitto), edifici destinati ai ceti più eterogenei, presentano tra loro una differenziazione e una diversa distribuzione degli elementi decorativi: gli edifici sulle vie principali hanno le caratteristiche delle case economiche, mentre quelli interni o su strade secondarie hanno le caratteristiche delle case popolari.
  3. Le case ultrapopolari, destinate ai ceti assai poveri, sono generalmente composte da alloggi di un locale (per questo motivo viene ripreso l'uso dei ballatoi); la latrina e l’acquaio vengono alloggiati nell’intercapedine tra le pareti esterne, per ottenere la massima economia in assenza di ogni tentativo di razionalizzazione costruttiva.

Il quartiere XXVIII Ottobre (1927) è destinato al ricovero degli sfrattati, e come il Regina Elena (1925) e Solari, sorge in zone periferiche depresse. La cucina e il bagno sono ricavati da una rientranza nel muro e ridotti al minimo spazio d'uso.

1927/30  

Il Quartiere 'alla Fontana' (Griffini e Manfredi) è il solo episodio qualificato prodotto dall’iniziativa privata: è la terza realizzazione della 'Società Edificatrice di Case per Operai, bagni e lavatoi pubblici'.

Si giunge ad una notevole semplificazione espressiva, su un impianto tipologico distributivo sostanzialmente tradizionale.

1929

Vengono edificate due Case Albergo per il ricovero transitorio delle famiglie sfrattate: una a Quarto Oggiaro e l’altra in via dei Cinquecento.


Gli anni '30

1930 

La popolazione di Milano aumenta di 260.000 unità I ceti popolari si allontanano dal centro per l’aumento degli affitti e per gli sventramentii, attuati per far posto all’edilizia civile.

Si avverte un'evoluzione nella struttura delle realizzazioni dell'Istituto, dovuta all'evoluzione stessa dell'architettura del periodo, che farà sentire a lungo la sua influenza: è la battaglia del movimento razionalista, soprattutto in una revisione della morfologia dell'alloggio secondo uno schema funzionale.

Dal punto di vista urbanistico appare l'impostazione dell'edilizia aperta e dell'orientamento predeterminato.

1931

Nei quartieri Corridoni (ora Alzaia Pavese), Del Croix (ora Argonne e Canaletto) e Diaz (ora Barona) appaiono nuovi elementi nelle realizzazioni, anche se riferiti solo all'aspetto esterno: edifici squadrati, facciate in muratura senza elementi decorativi.

1931/32

Quartiere Aldo Sette (ora Crescenzago) e San Siro-Segesta.

1932

Viene riscontrata tra gli stessi inquilini la richiesta di trasferirsi in alloggi con un minor numero di vani, visto l’aumento consistente degli affitti.

L’ICP bandisce i concorsi per la progettazione di due quartieri popolari, Francesco Baracca e Maurilio Bossi: gli alloggi hanno dimensione 25, 33, 40 e 50 mq, bagni e lavatoi in comune, asilo.

Il concorso per il quartiere Francesco Baracca, viene vinto a pari merito dal progetto razionalista del gruppo Albini, e da altri due gruppi, mentre quello per il quartiere Maurilio Bossi viene vinto da Cesare e Maurizio Mazzocchi.

L’esito dei due concorsi segna una svolta nei criteri di progettazione dell’ICP: la casa popolare è un campo realmente adatto all’applicazione dei concetti razionalisti, poiché, venendo esclusa per necessità economiche ogni sovrastruttura decorativa inutile, il progettista ottiene l’effetto desiderato con mezzi minimi.

1933/34

Vengono costruite le 'Case Minime' alla Trecca, in via Zama, destinate agli sfrattati dagli sventramenti del centro e ai contadini inurbatisi nelle baracche.

1933/39

L'interesse specifico dei razionalisti per la casa popolare emerge durante la Triennale del '33, dove Bottoni e Griffini propongono 'elementi di case popolari' in cui si introduce una nuova impostazione del problema dello spazio: non si tratta più di suddividere uno spazio data la superficie, ma dato il numero di abitanti, cercare la superficie minima abitabile.

Per questo motivo ogni elemento è pensato per poter essere prodotto in serie e gli alloggi sono previsti già forniti di arredo, proprio per sfruttare meglio lo spazio.

Si continua anche a costruire secondo le vecchie tipologie, probabilmente per utilizzare progetti già pronti come il quartiere Tonoli A-B e Caimi (ora Forlanini) o con tipologie miste come nei quartieri Cesare Battisti (ora Vasari), Verrocchio, Juvara, Barbieri (ora Biscioia), realizzati tra il 1933-39, dove alla facciata squadrata con lunghe balconate fa riscontro la variazione dei piani dei tetti secondo lo stile di Giovanni Broglio, che li aveva progettati.

Due sono le realizzazioni fondamentali di questo periodo: il quartiere Maurilio Bossi (ora Molise, 1933/38, Cesare e Maurilio Mazzocchi) e il quartiere Fabio Filzi (1935/38, Albini, Camus, Palanti).

Nel primo, realizzato sulla base di un concorso del '32 vinto dagli architetti Cesare e Maurizio Mazzocchi, la planimetria metteva in luce una concezione libera e aperta, con vantaggio dell'organizzazione dello spazio, che permetteva una più efficiente condizione abitativa. Anche la tipologia degli edifici risulta notevolmente migliorata: la disposizione dei caseggiati apre delle zone di luce sui cortili direttamente dalla strada; all’andamento lineare dei ballatoi, che disimpegnano gli alloggi minori, fa da contrappunto l’enfasi attribuita agli ingressi principali ed agli elementi plastici verticali (balconi e corpi scala), che la vivacità degli intonaci fa risaltare le facciate completamente disadorne.

Il punto più alto dell'architettura razionale applicata alle case dell'Istituto è il quartiere Fabio Filzi, realizzato da Albini, Palanti e Camus, dove l'arredamento di carattere funzionale è curato da Gardella e Mucchi. Trentadue corpi-scala uguali nella pianta, intorno ad un corpo centrale per bagni docce e lavatoi in cui aspetto estetico, funzionalità ed economia si accordavano in una realizzazione di estrema semplicità.

Case aperte su tutti i lati al posto delle solite caserme col cortile chiuso; case fatte per la salute degli abitanti, ben allineate e razionalmente disposte. Anche nei casi migliori però, si tratta di agglomerati di case ai margini della maglia cittadina (S. Siro e Lorenteggio), privi di luoghi di vita associativa, salvo eventualmente quelli previsti dalle istituzioni del regime.

Le abitazioni dell’ICP sono le uniche disponibili per i ceti popolari: solo alcune medie e grandi industrie realizzano case, asili e spacci per i dipendenti; per il resto, l’iniziativa privata è praticamente assente.

 
 
 
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