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92. ::: LETTERATURA ::: Il sonetto

Post n°101 pubblicato il 20 Gennaio 2012 da Arkivio21
 

92. ::: LETTERATURA ::: - Il  sonetto

Le forme metriche: il sonetto
- Il sonetto è una forma metrica peculiare della poesia italiana. Si è sviluppato agli albori della letteratura italiana e subito si è diffuso largamente. Sarà sempre presente nella storia della poesia italiana e sarà utilizzata in tutti i generi e a tutti i livelli di stile.

Per la sua brevità diverrà subito lo strumento prediletto per scambi epistolari, per le tenzoni, per le più varie suggestioni liriche e sarà incluso in corone per tematiche più ampie ed anche impegnative, anche se Dante nel suo De Vulgari Eloquentia lo porrà al di sotto della canzone e della ballata nella sua gerarchia dei generi metrici “alti”.

Petrarca ne farà ampio uso, e ne sarà promosso in seguito uno sviluppo massiccio, soprattutto in ambito amoroso ad opera dei petrarchisti. Avrà successo nella poesia giocosa, tra i poeti comico-realisti. E ancora sarà strumento valido e comune con il Boiardo, il Tasso, presso gli arcadi, con l’Alfieri, il Foscolo.

Avrà un grande successo anche fuori dell’Italia; in questo caso, sarà esportato tal quale, ma più spesso con alcune variazioni di forma per motivi legati alla natura delle diverse lingue, nella letteratura spagnola, francese, tedesca e in quella inglese, dove troverà grandi estimatori in Shakespeare e Milton. Persiste tuttora nella piena età della versificazione libera, a volte con l’uso canonico e manierato, a volte con sperimentazioni e variazioni del metro (Saba, Sanguineti, Zanzotto, Fortini e altri).


Il nome e le origini - Il nome “sonetto” deriva dal termine provenzale “sonet”, che è il diminutivo di “so” (o “son”) che significa “suono”, “melodia”, anche “poema”. Il nome stesso indica un testo adatto al canto, ma ciò non deve trarre in inganno, perché, per quanto il sonetto sia un testo musicabile, esso è un componimento squisitamente letterario e la sua forma non è stata affatto pensata per la musica. In questo senso, sono molto più legate all’esecuzione musicale le forme del madrigale, della ballata e della caccia.

Esso è certamente una creazione italiana, tant’è che gli unici esempi di sonetti in lingua d’oc sono in numero minimo e scritti da autori italiani che poetavano anche in quella lingua oltre che nel loro volgare. Il sonetto ha preso vita nel Duecento presso la Scuola Siciliana, e l’inventore è tradizionalmente riconosciuto nel poeta Giacomo da Lentini.

Diverse sono le tesi che tentano di far luce sulla genesi del sonetto. Una di queste ne faceva derivare la struttura dallo strambotto, più precisamente, dalla fusione di due strambotti di diversa lunghezza, ma la tesi non appare sostenibile per le conoscenze attuali, giacché non si hanno casi di strambotti coevi ai primi sonetti (la documentazione sugli strambotti parte dal Trecento), ed inoltre, secondo il Pazzaglia, “[…] lo strambotto ha tutt’altra morfologia ed utilizzazione, sì che lo si considera, a torto o a ragione, popolaresco; un attributo che, certo, non si confà al sonetto.” (“Manuale di metrica italiana”, Pazzaglia, Sansoni Editore, pag.138).

Molto più documentata, invece, è un suo possibile collegamento con la “cobla esparsa”, una stanza isolata di canzone nella poesia trobadorica. Ma il sonetto non è una semplice riproduzione di queste stanze, una mera derivazione, anzi, il suo metro comunque differente e così ben organizzato ci lascia intravedere la volontà e lo sforzo creativo dell’ “inventore” di dare alla luce una nuova forma, peculiare e “solida”, ben strutturata.

La forma metrica del sonetto - La morfologia tipica del sonetto, alla quale corrisponde l’assoluta maggioranza dei testi della nostra tradizione poetica, è composta di 14 endecasillabi ed è divisa in due parti.

La prima parte è variamente chiamata fronte, ottava od ottetto, più comunemente quartine – un termine più preciso per evitare confusione con l’omonimo metro è “quartetti” - ed è tradizionalmente divisa, appunto, in due quartine. È da rilevare che alle origini la divisione più avvertita era quella di quattro distici e a volte l’intera ottava era scritta senza divisioni interne. La seconda parte è variamente chiamata sirma, sestina o sestetto, più comunemente terzine (o terzetti) e si divide, appunto, in due terzine.

La prima parte può avere lo schema del tipo ABAB ABAB a rima alternata, che è il più antico, oppure lo schema del tipo ABBA ABBA a rima incrociata, che suggerisce con maggior forza la divisione in quartine e che, sviluppatosi durante il ‘200, è rimasto il più frequente. Altre disposizioni sono assolutamente rare, come ABAB BABA; ABBA ABAB; ABAB BAAB; ABBB BAAA.

Nella seconda parte gli schemi principali sono CDE CDE, che come per il secondo schema delle quartine, suggerisce evidentemente una divisione della parte in terzine e lo schema CDC DCD, ma questi non sono gli unici praticabili, anche se sono certamente i più frequenti.

Possiamo trovare
CDE DCE, CDE EDC, CDC CDC, CDD DCC.
Il Beltrami afferma nel suo manuale “Gli Strumenti della poesia” che per le terzine in teoria sono considerate legittime tutte le combinazioni di due o tre rime che non lascino versi irrelati, cioè senza rima.
È da notare che, nel corso della storia della letteratura italiana, la preferenza per certe disposizioni a scapito di altre spesso dipende da variabili di tempo, luogo e cultura, cosicché è possibile che in certi scrittori appartenenti a determinate correnti poetiche siano più frequenti certe disposizioni di rime piuttosto che altre, ma l’argomento rientra in un più complesso discorso di casistica.

Quindi possiamo riassumere che gli schemi assolutamente prevalenti sono, per le quartine, ABAB ABAB e ABBA ABBA, e per le terzine, CDE CDE, CDC DCD, CDE DCE, CDE EDC. Minimo è lo spazio occupato da altre combinazioni, comunque legittime.

Esempi:

Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia quand’ella altrui saluta,
ch’ogni lingua devèn tremando muta,
e li occhi no l’ardiscon di guardare.

Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d’umiltà vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.

Móstrasi sì piacente a chi la mira,
che dà per li occhi una dolcezza al core
che ‘ntender non la può chi no la prova:

e par che de la sua labbia si mova
un spirito soave pien d’amore,
che va dicendo a l’anima: Sospira.

(Dante Alighieri, “Vita Nova”, cap.XXVI, da “Antologia della letteratura italiana I”, Gianni Balestrieri Pasquali, Ed. G. D’Anna Messina – Firenze, pagg. 344-345 )

Il Sonetto ha schema ABBA ABBA CDE EDC

---

Solo et pensoso i più deserti campi
vo mesurando a passi tardi et lenti,
et gli occhi porto per fuggire intenti
ove vestigio human l’arena stampi.

Altro schermo non trovo che mi scampi
dal manifesto accorger delle genti,
perché negli atti d’alegrezza spenti
di fuor si legge com’io dentro avampi:

sì ch’io mi credo omai che monti e piagge
et fiume et selve sappian di che tempre
sia la mia vita, ch’è celata altrui.

Ma pur sì aspre vie, né sì selvagge
cercar non so ch’Amor non venga sempre
ragionando con meco, et io co llui.

(F. Petrarca, Canzoniere, XXXV, Ed. Newton)

Il sonetto ha schema ABBA ABBA CDE CDE

---

Forse perché della fatal quïete
tu sei l’imago, a me sì cara vieni,
o sera! E quando ti corteggian liete
le nubi estive e i zefiri sereni,

e quando dal nevoso aere inquïete
tenebre e lunghe all’universo meni,
sempre scendi invocata, e le secrete
vie del mio cuor soavemente tieni.

Vagar mi fai co’ miei pensieri sull’orme
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
questo reo tempo, e van con lui le torme

delle cure, onde meco egli si strugge;
e mentre io guardo la tua pace, dorme
quello spirto guerrier ch’entro mi rugge.

(U. Foscolo, da “Antologia della letteratura italiana III parte prima”, Gianni Balestrieri Pasquali, Ed. G. D’Anna Messina – Firenze, pagg. 210-211 )

Il sonetto ha schema ABAB ABAB CDC DCD

Il successo e la longevità di questa forma hanno stimolato gli studiosi più vari a cercare di intenderne il segreto. Il Pazzaglia così si esprime:

“Nella sua forma più tipica – due quartine di endecasillabi su due rime + due terzine, sempre di endecasillabi, su due o tre rime – presenta quel rapporto armonico di persistenza e variazione cui sembra tendere, sin dall’inizio, l’invenzione metrica italiana, quella, almeno, della poesia d’arte; un ‘gran poema in piccolo’, come lo chiamava il Mallarmé, ben bilanciato nel suo equilibrio dinamico e, al tempo stesso, classicamente composto. Poté così prestarsi all’invenzione lirica e alla polemica letteraria, alla disputa concettuale e alla forma comico-parodistica, sempre unendo alla sperimentazione di paesaggi interiori o a un racconto d’esperienza o alla definizione di una tematica concettuale (le quartine) una conclusione meditativa (le terzine), risolta in uno scatto vivido dell’intelligenza e, comunque sia, in dominio intellettuale dell’emozione, risolto in un senso di rinnovato equilibrio.”

(“Manuale di metrica italiana”, Pazzaglia, Sansoni Editore, pag. 137)

E altri, come Francesco De Rosa e Giuseppe Sangirardi, nella loro “Introduzione alla metrica italiana” elencano le caratteristiche del sonetto nel ‘200 e acquisite nel ‘300, caratteristiche che rendono inconfondibile tale forma. Per esempio, fin da subito si avverte la “[…] scansione del discorso coincidente con la divisione dell’ottetto e sestetto (cioè tra le due parti si produce di norma uno stacco logico e sintattico, a sottolineare la bipartizione originaria congenita allo schema metrico) […]”. E ancora “[…] la presenza costante di un collegamento verbale tra ottetto e sestetto, cioè la ripetizione di almeno una parola significativa dall’uno all’altro, che istituisce un legame tra le due parti e funziona da segnale di coesione complessiva dello schema […]”.

(“Introduzione alla metrica italiana”, Francesco De Rosa e Giuseppe Sangirardi, Biblioteca Aperta Sansoni, pag. 233)

Credo che in questi due punti, esposti dai due studiosi, si possa ravvisare un’applicazione riflessa di quel rapporto armonico di persistenza e variazione di cui parlava il Pazzaglia.

Altre forme del sonetto e varianti - Il sonetto, fin dalla sua apparizione, ha subìto studi di modifiche e trasformazioni, soprattutto nella direzione di un ampliamento della sua struttura, che ha portato alla formazione di diverse varianti la cui casistica è complessa e non pretende di essere esaurita in questi brevi appunti. Ecco le forme varianti più importanti:

1 - È possibile definire una forma di sonetto, detta “minore”, caratterizzata dall’utilizzo di versi brevi: settenari, ottonari e comunque più corti dell’endecasillabo. Se il sonetto prevede versi ancora più brevi come quinari, allora si parla di sonetto “minimo”. Queste varianti non ebbero successo, anche se furono utilizzate nel Novecento.

Il mio cuore è una rossa
macchia di sangue dove
io bagno senza posa
la penna, a dolci prove

eternamente mossa.
E la penna si muove
e la carta s’arrossa
sempre a passioni nuove.

Giorno verrà: lo so
che questo sangue ardente
a un tratto mancherà,

che la mia penna avrà
uno schianto stridente…
… e allora morirò.

(S. Corazzini, “Il mio cuore”, da “Sergio Corazzini Poesie”, BUR classici, pag. 93)

Il sonetto minore ha schema ABAB ABAB CDE EDC
I versi sono tutti settenari, con il 9°, l’11°, il 12° ed il 14° tronchi.

2 - La variante che ebbe maggior fortuna si sviluppò nel sec. XIV e fu il sonetto caudato. Si tratta di un sonetto al cui termine è aggiunta una “coda” che è costituita normalmente da un settenario che rima con l’ultimo verso del sonetto, e una coppia di endecasillabi a rima baciata. A questo tipo di forma potevano essere aggiunte più code, in un numero anche imprecisato, dieci, venti e più. In questo caso, il settenario di ogni coda successiva alla prima rima con l’ultimo verso della coda precedente.

Quando il numero delle code si faceva esorbitante, il sonetto era detto sonettessa. Il sonetto caudato ebbe molto successo, soprattutto nello stile comico-realistico, e rimane operativo dal Trecento fino al Carducci.

Io vi mando, Giuliano, alquanti tordi,
non perché questo don sia buono o bello,
ma perché un po’ del pover Machiavello
Vostra Magnificenzia si ricordi.

E se d’intorno avete alcun che mordi,
li possiate nei denti dar con ello,
acciò che, mentre mangia questo uccello,
di laniare altrui ei si discordi.

Ma voi direte:- Forse ei non faranno
l’effetto che tu di’, ch’ei non son buoni
e non son grassi: ei non ne mangeranno. –

io vi risponderei a tai sermoni,
ch’io son maghero anch’io, come lor sanno,
e spiccon pur di me di buon bocconi.

Lasci l’opinïoni
Vostra Magnificenzia, e palpi e tocchi,
e giudichi a le mani e non agli occhi.

(N. Machiavelli)

3 - Il sonetto ritornellato è quel sonetto alla cui fine si aggiunge o un endecasillabo in rima con l’ultimo verso, detto ritornello, o una coppia di endecasillabi a rima baciata e che non riprende le rime del sonetto, detto ritornello doppio. Esempio di uno schema: ABBA ABBA CDE DCE FF. In auge praticamente solo nel XIII secolo.

4 - Una variazione della morfologia base del sonetto, ideata probabilmente da Guittone d’Arezzo, e ripresa anche con alcune modifiche da Dante ed altri, è il sonetto rinterzato. Esso è un sonetto nel quale è aggiunto un settenario dopo ogni verso dispari delle due quartine e dopo il primo il secondo verso delle due terzine, ed ogni settenario inserito rima con il verso precedente.

Il Beltrami ci dice che la variante adottata da Dante in due sonetti della Vita Nuova, contempla settenari inseriti dopo ogni verso dispari delle due quartine, e settenari inseriti solo dopo il secondo verso di ciascuna terzina.

L’Orlando ci dà lo schema di un sonetto rinterzato variato da Dino Frescobaldi che aggiunge addirittura una coppia di settenari a rima baciata nelle quartine e nelle terzine. Schema: AbbCAbbC AbbCAbbC DEffG DeffG per un totale di 26 versi.

Ma vediamo un utilizzo più recente, con D’Annunzio:

Aprile, il giovinetto uccellatore,
a cui nitido il fiore
de le chiome pe’ belli omeri cade,
ne ‘l cavo de la man, come un pastore,
in su le prime aurore
ha bevuto le gelide rugiade.

Aprile, il giovinetto trovadore,
su le canne sonore
dice l’augurio a le nascenti biade:
i solchi irrigui fuman ne ‘l tepore,
un non so che tremore
le verdi cime de la messe invade.

Ecco la Bella! Ecco Isotta la blonda!
China, de la sua porta a ‘l limitare,
ella stringe il calzare
a ‘l piè che sanno i boschi. E il dì la inonda.

Toccan la terra, all’atto de ‘l piegare,
i suoi capelli, in copia d’or profonda.
Oh, la faccia gioconda
che a pena da quel dolce oro traspare!

(Da “Manuale di metrica italiana”, S.Orlando, Studi Bompiani, pag.194)

5 - Nel ‘200, ancora Guittone ed altri come Montandrea, grande sperimentatore ed “irregolare”, aggiungono al sonetto due endecasillabi AB al termine dell’ottava a rima alternata, e due endecasillabi CD al termine della sestina del tipo CDC DCD. Schema finale: ABABABABAB CDCDCDCD. La variazione di Montandrea – ma pare essere cosa di Guittone – è riportata da Orlando nel suo “Manuale di Metrica Italiana”, Studi Bompiani, e si limita all’aggiunta del distico
AB a fine ottava.

6 - Il sonetto continuo, dove le rime delle quartine sono riprese anche dalle terzine, e ve ne sono esempi, come quello di Cino da Pistoia:

Una ricca rocca e forte manto
volesse Dio che monte ricco avesse,
che di gente nemica non temesse,
avendo un’alta torre ad ogni canto;

e fosse d’ogni ben compita quanto
core pensare e lingua dir potesse,
e quine poi lo dio d’amore stesse
con li amorosi cori in gioia e canto.

E poi vorrei che nel mezzo surgesse
un’acqua vertudiosa d’amor tanto
che lor bagnando dolce vita desse;

e perché più fedele il meo cor vanto,
vorrei che ‘l gonfalon fra quei tenesse
che portan di soffrir pietoso manto.

(Da “Manuale di metrica italiana”, Pazzaglia, Sansoni Editore, pag. 142)

Qui lo schema è: ABBA ABBA BAB ABA

7 - Il sonetto raddoppiato è costituito da 4 quartetti e 4 terzine con il conseguente ampliamento delle comuni disposizioni di rime. Spesso utilizzato nello svolgimento di un dialogo.

Le variazioni sulla forma tipica del sonetto sono ancora innumerevoli, e spesso la loro definizione è basata su alcuni artifici metrico-retorici e non può che interessare i metricologi e avere vita nei trattati di metrica.

Ricordo il sonetto sdrucciolo e tronco perché composto rispettivamente in versi sdruccioli e tronchi; sonetto incatenato, sonetto dove ogni verso è legato da rima interna; sonetto retrogrado, scritto in modo da poter esser letto cominciando dall’ultimo verso e finendo con il primo; sonetto semiletterato quando è composto da un verso in italiano seguito da un verso in latino; sonetto bilingue quando l’alternanza è tra verso italiano ed uno in un'altra lingua romanza e così via.

N.B. - Quando possibile, vengono sempre citate le fonti dalle quali sono tratti gli articoli o parte degli stessi.

Stefano Valbonesi

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