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Nagòtt, il racconto di un pezzo di vita.

Post n°97 pubblicato il 09 Giugno 2006 da Nagotta.er

Il nome Nagòtt sembra proprio azzeccato, una molteplicità di significati in una sola parola, tante sfaccettature come in un caleidoscopio. Basta un nagòtt per essere felici oppure, dopo essersi scolati una bottiglia di lambrusco per affogare i dispiaceri, sul fondo resta nagòtt, nessuna goccia.

Se questi muri potessero parlare, racconterebbero tante storie, quante si sono incontrate, intrecciate, lasciate o solo sfiorate, quanti volti hanno visto sorridere, gioire, piangere e soffrire.

“La vita non è qui”, dice Donato sollevando la tazza colma e, parlando, gesticola con tanta foga che sparge camomilla in ogni dove, sul bancone, sul pavimento e, per poco, non annaffia qualche cliente che aspetta pazientemente di essere servito.

Oggi vedo volti spenti e Donato continua dicendo:”la vita non è qui, dov’è non si sa, ma non è qui!”. Parla dei bambini che anni fa portava a scuola col pulmino del comune, ha gli occhi lucidi e dalla fretta di parlare quasi fatico a capire cosa dice, lo ascolto ugualmente, del resto è anche questo il mestiere di barista.

Vengono tutti qui, l’altro bar è freddo, qui si sentono a casa, sentono il calore della famiglia che qualcuno di loro non ha più e, qualcun altro non ha mai avuto.


Appesa alla vetrina abbiamo messo una bandiera colorata, c’è su scritto: “pace”, ha riscosso molto successo, molti di loro hanno visto la seconda guerra mondiale, qualcuno era abbastanza grande da ricordare anche la prima, sanno cosa vogliono dire l’odio e la distruzione e che l’odio genera solo odio, ma finito il momento, passato lo spauracchio, ricominciano imperterriti a giocare a carte, ad insultarsi, ma ad essere sempre amici.


Donato mi riporta alla realtà, appoggiando pesantemente la tazza sul bancone e balbettando dice:”finisco domani…adesso devo andare…volevo solo dire…ma finisco domani…devo andare…devo andare…” e dopo aver pagato prende il sacchetto del pane ed esce dalla porta. Per il momento pericolo scampato.


Li guardo, sono tutti lì seduti, fumano in mano hanno le carte e raccontano di quando erano giovani, di come nonostante la vita non avesse dato loro tanto, in realtà avevano VISSUTO ed assaporato la vita.


Giulio oggi è seduto solo, ha lo sguardo fisso nel vuoto, quasi cercasse di visualizzare qualcosa dentro a quel bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, a seconda di come sia la visione della vita. Si alza lentamente, col bicchiere in mano e finendo di sorseggiare il vino, viene verso di me, mi guarda e mi dice: “dam’in un’elter”, e senza darmi quasi tempo di versarlo, lo ha già finito, appoggia i soldi sul banco e via, fuori dalla porta!


Sono le 11.30, ormai la sala è vuota, il sole entra dalle finestre, è talmente forte che quasi acceca, sbadiglio asciugando l’ultimo bicchiere, mi sento stanca e nel mio cervello comincio a pensare a quello che devo fare quando torno a casa, a volte mi rendo conto di non essere molto presente, ma sorrido, anche se non afferro quello che mi dicono. Tra uno sbadiglio e l’altro sono arrivate le 13.00, Giulio apre la porta ed entrando chiede un caffè ed un bicchiere di vino rosso. La mattina bianco perché è più leggero, il pomeriggio rosso perché fa digerire, paga ancora prima d’ordinare, ormai conosce i prezzi ed ha già fatto i conti. Si siede, si guarda in giro sperando che arrivi qualcuno con cui giocare a carte o solo per fare due chiacchiere. L’altro giorno si è messo davanti alla cassa e mi guarda come fa un bambino quando ruba le caramelle e mi dice: “sto aspettando il resto”, io mortificata gli chiedo quanto avesse pagato, poi è intervenuto Pippo dicendo: “ti sta prendendo in giro”, così Giulio ha fatto un gesto e ha aggiunto: “peccato gioco finito!”.


Questo bar è pieno di persone da cartone animato o da striscia di fumetti, macchiette viventi, ognuno ha la sua storia da raccontare, ognuno ha vissuto in una vita mille vite, c’è poi chi se n’è andato per un gesto disperato. Ne hanno parlato e sparlato tutti, ma solo lui e Dio sanno come sono andate le cose, non ha dato spiegazioni, non ha dato nessun preavviso ed una mattina di gennaio ha salutato i suoi monti, la sua campagna e se n’è andato portando con se la sua mamma.


Per oggi la mia giornata è terminata, domani è un altro giorno e chissà cosa porterà a questo posto, tanto piccolo ma tanto grande.


Parte una nuova giornata, di nuovo l’apertura e, quando arrivo alle 07.00, già mi aspettano “la Berta” e “Caffettino”, svegli di buon ora, un po’ perché ci sono abituati, un po’ perché così la giornata è più lunga.

Ancora assonnata, prendo le chiavi dalla borsetta e apro la serranda, entro, appoggio la roba e con gli occhi ancora pesti di sonno preparo un caffè, Berta mi osserva attentamente, sembra quasi parlare con quegli occhietti vispi e svegli, sembra un furetto, mi parla quasi a monosillabi, Giorgio (Caffettino) la interrompe facendo apprezzamenti su di me, poco dopo se ne vanno, chiudo le finestre e accendo la radio, c’è il cd di Davide Van De Sfroos, metto la mia canzone preferita “ E semm partì “ e mentre mi preparo un cappuccino, parte una nuova giornata al Nagòtt.


Entra Donato tutto indaffarato e preoccupato non si sa per cosa, è vestito da lavoro, dà una letta veloce al giornale, interrompe Pippo due o tre volte e se ne va, quasi travolgendo Berta, che spirito di donna! Minuta nell’aspetto, ma quando si dice che l’abito non fa il monaco, bhè…donna forte e decisa, quasi un bersagliere.


Ci sono tutti stamattina, chi gioca a carte, chi si scambia opinioni sulla guerra, su come dovrebbero essere migliore la vita, di quanto costi l’Euro…


La sera il locale prende vita e la media dell’età scende di parecchio, i ragazzini vengono per i videogiochi, una partita a stecca o bere…


Fra i giovani noto la fatica di vivere, la mancanza di ideali, qualcosa per cui combattere, anche solo credere in se stessi…li capisco bene, in questo neanche io sono molto brava…non c’è il gruppo, esiste solo il singolo individuo, compagni di bicchiere ed al momento del bisogno, una spalla su cui piangere, qualcuno che ti conforti o che nel momento giusto ti dica: “basta non bere più”, c’è solo lei, la Tati…

Sono figli del mio tempo, figli di tutti e di nessuno, o per genitori troppo severi, o per genitori che li hanno solo messi al mondo.

Poco tempo fa una domenica pomeriggio, c’era Tatiana, io sono passata per tenerle compagnia, c’era uno di loro che aveva esagerato…sguardo spento, fare spigozzante…rideva e piangeva come un bambino…in certi momenti non puoi dirgli niente, non sai quello che realmente passa, le sue paure, come è in realtà la sua vita, vedi solo la punta dell’iceberg, se dici una parola in più rischi anche di sentirti mandare a quel paese, se non dici niente sei come gli altri: “ te ne freghi “.


Questo piccolo bar di montagna racchiude il mondo, ce n’è per tutti e per nessuno, ne capita una ogni minuto, c’è chi va c’è chi viene, c’è chi tace, c’è chi parla, chi beve, chi ride, chi gioca e chi piange, storie vecchie e storie nuove, il tempo si ferma anche solo per un istante, una bandiera, una porta aperta, un bicchiere ed un mazzo di carte, un bancone, un uomo solo che aspetta la fine della sua giornata, qualcuno che lo ascolti, non ha la pretesa di essere capito, ma vuole un cuore che sappia gioire e soffrire con lui in silenzio. Viene spesso qui la sera a casa troppe responsabilità, una famiglia che ama troppo, una gioventù non vissuta, anche bei momenti sì, ma fuori ride e dentro soffre, l’occasione fa l’uomo ladro, la voglia di evadere, di scappare, un viaggio nel bicchiere, eccola sua unica evasione, lo stordimento dovuto all’alcool lo fa sembrare quasi indifeso, disinibisce e lo fa dire cose che non direbbe mai se non avesse bevuto, segreti che resteranno per l’eternità fra me, lui e queste quattro mura, domani sicuro non si ricorderà nulla di quello che mi ha detto ed io non ricorderò, non perché non l’ho ascoltato o perché non mi interessi, ma solo perché ho voluto dimenticare per rispetto.


Metto la chiave nella toppa e chiudo a doppia mandata, poi è la volta della serranda elettrica, mentre pian piano scende, facendo il solito rumore, la mia mente si allontana nuovamente per un attimo e sfiora una miriade di pensieri, tutto quello che ho sentito durante la giornata, la vita qui, dove il tempo sembra fermarsi, sempre le solite facce, sempre la solita gente, la solita routine direte voi, ma non è così, ogni giorno è un giorno veramente nuovo mai statico.


Stamattina sono entrata in bar a fare colazione e Tatiana ma ha guardata tutta agitata, mi ha detto:”Tata, non sai cos’è successo!!”, quasi allarmata ma senza una gran enfasi portata via da poche ore di sonno, le ho chiesto di raccontarmi, così preparandomi il solito cappuccino microincapsulato, come lo chiamiamo noi, mi racconta che poco prima di me è entrato Gandalf il Grigio, io l’ho guardata e le ho risposto:

“cos’hai fumato stamattina? Sei sicura di non esserti fatta una canna? Scusa…ma…Gandalf…il mago…quello del film Il Signore degli anelli?”

“ Gandalf…Gandalf…bhè non proprio lui…uno che gli somiglia molto…in realtà è Michel…è venuto qui da Lourdes a piedi…è da quando aveva diciassette anni che gira il mondo…è francese! “

“ Scusa ma…”dico interrompendola “ vengono proprio tutti qui i tipi strani?”

“ Tata ti giuro…se avesse vent’anni di meno…lascerei tutto e me ne andrei…”

“ Sei sempre la solita matta! “

“ Domani vieni prima…te lo faccio conoscere…è una persona stupenda…non diresti mai che viaggia senza fissa dimora…tutto compito…pulito…” e sospira. Guardandola capisco che si sta immaginando quale viaggio avventuroso, zaino in spalla in compagnia di questo tipo quasi fiabesco.


Torno come promesso, ancor prima di aprir bocca mi mette al corrente che non è ancora passato, quando ad un certo punto il suo viso cambia colore, il suo sguardo si riempie di luce, capisco tutto: è arrivato! Mi giro e lo vedo entrare, è un uomo sulla sessantina, forse qualcuno di più, alto circa come me, capelli lunghi e bianchi, ben curati, indossa un vecchio cappotto verde anni sessanta, pulito e profumato, scarpe lucide e barba ben sfoltita, resto esterrefatta, se non considero i grossi occhiali che porta, è proprio tale e quale, è molto gentile, lei si gira verso di me e con lo sguardo mi chiede conferma dei suoi pensieri, non sono telepatica, solo la conosco molto bene.

Posso dire sia veramente un sosia perfetto e, se fossimo riuscite a fargli una foto, avremmo anche la testimonianza del suo breve permanere, invece possiamo solo parlare di lui e con piacere vedere negli occhi di Tatiana quella luce ed i suoi pensieri che spaziano nel tempo, immaginando ancora una nuova avventura.


Questa mattina l’aria che si respira è diversa, prima di aprire sono passata dal fornaio a prendere le paste, mi guardano tutti come se dovessero venire al mio funerale. Mio marito mi ha lasciata…tutti sono dispiaciuti, ma quando torno a casa sono io che devo fare i conti con la mia coscienza e con me stessa.


Apro la porta perché ormai comincia a fare caldo, l’aria ristagna la notte e l’odore che si sente la mattina non è dei più gradevoli, guardo quella bandiera ancora appesa e penso al perché era stata messa lì, credo che non abbiamo nessun diritto di gridare “pace” se prima non c’è pace fra di noi, e dentro noi stessi.


Berta entra piano piano come se non volesse disturbarmi, mi sorride e mi dice: “Fatti forza”, io non scoppio a piangere per poco, in questo periodo poi, ho la lacrima facile, mi sembra difficile credere che verranno tempi migliori, che starò meglio, che non mi mancherà più come mi manca ora, che mi innamorerò di un’altra persona che non è lui, che sognerò un futuro con qualcun altro, ma adesso basta pensare, devo lavorare, altrimenti non riesco a fare i miei mitici cappuccini!

Continua a guardarmi con quegli occhietti da furetto, penso di non avere una gran bella cera, del resto nelle ultime settimane la mia media di sonno è di tre ore a notte quando va bene, sono convinta che quando passerà il periodo peggiore dormirò come minimo per tre giorni di fila.


Tante cose sembrano avere meno importanza, non faccio più caso a niente, mi distrae come al solito Donato, con la sua furia e la sua allegria, stamattina stranamente non parla, di solito è una caffettiera, borbotta anche da solo, mi dice solo che ha una cosa per me e prende fuori da un sacchetto di carta una pergamena, tante parole mi passano davanti agli occhi, ma il significato fondamentale è che per amare bisogna sapersi amare, avevo retto fino a quel momento, dispiaciuto anche a lui vengono le lacrime agli occhi, dicono sia il matto del paese, ma l’unico difetto che ha Donato è quello di essere troppo buono, quello di volere bene alle persone incondizionatamente, noi abbiamo molto da imparare da lui.


Mi accendo una sigaretta, cerco di nascondere il mio malessere, ma è così evidente…Donato comincia a raccontarmi di nuovo dei ragazzi e del pulmino, quando entra Pippo e gli dice che mi deve lasciar stare, poi inizia a fare delle allusioni, si vede che ha già bevuto e che il tasso alcolico è già alto, Donato propone una cena tutti insieme, in allegra compagnia, ma Pippo lo ferma dicendo che non sono una donna da portare fuori in compagnia e che dopo la cena lui mi farebbe un servizietto, mi prende da parte e mi chiede se mi può venire a trovare una sera e si capisce per fare cosa, la rabbia mi sale e non lo butto fuori solo perché il locale non è il mio, garbatamente gli dico di no, ma lui insiste, e mi chiede il perché, l’unica risposta che mi viene in mente è: “ Perché no!”, avrei voluto dirgliene quattro, dirgli di vergognarsi, a cinquant’anni passati con una moglie e due figlie a casa che lo aspettano, ma davanti a tutta quella gente, mi ha mancato di rispetto, non ho voluto mettermi sul suo stesso piano.

Donato ha capito tutto e interviene salvando capre e cavoli, distrae Pippo che passa qualche minuto guardandomi ma disturbato dal continuo parlare di quel matto che ha più sale in zucca di tutti quelli che lo ritengono non sano di mente. La cosa mi lascia infastidita e disgustata. Fortunatamente escono e per oggi Pippo non tornerà.


Passo ancora qualche ora indisturbata a fare il mio solito lavoro, riempire bicchieri di vino, fare caffè e vendere sigarette, questo sarà il mio ultimo giorno al Nagòtt, mi mancherà Donato con i suoi interminabili monologhi, Giulio, Giorgio, Berta, e tutti gli altri di cui conosco i volti ma non i nomi, persone che vedendole passare per la strada non le guarderesti, ma che hanno una storia tutta loro da raccontare, persone che non diresti abbiano fatto parte della storia, ma che in realtà sono parte della storia di questo bar, parte integrante come questi muri e questa bandiera con sopra scritto “pace”.


FINE


Chi l'ha letto mi ha chiesto di continuarlo, ma questo racconto è finito qui, come è finita la storia del Nagòtt, dopo circa sei mesi ha chiuso i battenti ed è stato rilevato da altre persone che lo hanno completamente cambiato, io ci passo ogni tanto per comprare le sigarette o fare la ricarica del telefono, li rivedo tutti lì e mi viene il magone pensando a quello che ho vissuto. Ovviamente i nomi sono stati cambiati tutti.

 
 
 
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