Post n°83 pubblicato il 23 Luglio 2009 da nebbiolo1974
Confesso che ho acquistato questo vino unicamente perché in etichetta e sul cappuccio sommitale era riportata la cosiddetta croce amalfitana; prima simbolo della repubblica marinara di Amalfi, poi simbolo dell’ordine cavalleresco dei Cavalieri dell’ospedale di San Giovanni in Gerusalemme (più brevemente detti Ospitalieri). La croce d’Amalfi (o anche croce di Malta) è quella che possiede quattro bracci e otto punte, che simboleggiano le otto beatitudini.
Insomma, spinto da queste reminescenze medievali, e considerato che tutto sommato un bianco, in questa stagione, si beve volentieri, ho acquistato questa ribolla gialla. E mentre ponevo sul tavolo la mia banconota da 20 euro, ricevendone in cambio 7,5 e la bottiglia, ho chiesto qualche delucidazione all’enotecaro.
È un vino in purezza; l’uva viene colta tardivamente. Affinamento in vasche d’acciaio. A casa, il giorno stesso, l’ho stappato: accompagnato ad un couscous vegetariano. Color giallo paglierino, striature verdognole; al naso si presenta fruttato (avrei dovuto trovarci la mela, ha detto l’enotecaro, ma io, sforzandomi, alla lontana, ho creduto di individuare solo la pesca) ed equilibrato. In bocca è abbastanza rotondo, con piacevoli sali minerali. Conta 12,5 gradi alcolici che, con la pietanza che avevo nel piatto, sono andati a braccetto da buoni amici.
L.V.M. |
Post n°82 pubblicato il 03 Giugno 2009 da nebbiolo1974
Mentre attendevo alla preparazione di un pasta con pomodoro fresco, qualche fogliolina di origano e una spolveratina di pecorino, ho cercato nella cantinetta di casa un vino da stappare. Tra le mani mi sono ritrovato questo bianco che proprio non sapevo di avere; deve essere stato qualche regalo volante… fatto sta che l’ho aperto.
Questo Frascati superiore è creato assemblando uve malvasia di Candia, malvasia del Lazio e trebbiano, raccolte a “vendemmia tardiva”. Nel calice è giallo paglierino, ma si intravedono riflessi verdognoli; il profumo è intenso e, come direbbero gli esperti, fragrante, si individuano lontani sentori di frutta secca; in bocca la sapidità non è assente, poca freschezza e sensibile morbidezza; un gusto pieno.
Un bicchiere si beve volentieri (soprattutto se servito fresco). Con la pasta si accompagna senza infamia e senza lode; più simpatico (ma potrebbe aver giocato l’evocazione di immagini estive e solari, di tavolate sul prato all’ombra fogliosi rami, di chiacchiere con gli amici in attesa della costina e del tomino grigliato) è stato berlo con una rustica panzanella…
Bevete cari, bevete (e, se vi capita, scrivete). L.V.M. |
Post n°79 pubblicato il 25 Marzo 2009 da nebbiolo1974
Particolarmente attivo sul piano degli incontri sociali, ho dovuto partecipare, tra questo e lo scorso mese, ad un paio di vernici e ad un altro paio di cerimonie. Non è che questi momenti mondani siano sempre divertenti, a dire il vero, però quando non prevedono una cena, sono sempre accompagnati, almeno, da un aperitivo; durante i quali capita che l’organizzatore decida di offrire qualche vino curioso o interessante o piacevole. E così, mi sono ritrovato, mentre il gallerista profondeva elevate lodi davanti ai quadri del suo artista di punta, con una scaglietta di grana in una mano e una flute nell’altra, a sorseggiare un Ferrari Rosé (la mente è andata subito a Fratello Fil, noto estimatore dei metodo classico trentini). Ecco, l’analisi visiva è quella che, in questi incontri di mondo, ne risente di più (non mi sembrava proprio il caso di mettermi a traguardare il calice misurando le finezza delle bollicine; sarebbe stato, per così dire, inelegante e scortese: soffermarsi con più attenzione sul vino piuttosto che sulla tela, all’inaugurazione di una mostra, non è il comportamento più raccomandabile; o forse no? dipende dalla tela, qualcuno potrebbe dire). Per di più le luci non consentono un’analisi particolarmente precisa. Era rosato, comunque. E la spuma mi è sembrata bella e continua. Più agevole, almeno dal punto di vista della discrezione, è stato ascoltarne i profumi: floreale e fruttato (fragoline), sentori di lievito, piuttosto intenso; al palato: gusto pieno e fresco, qualche frutto e una nota di frutta secca (ma forse erano le noci in connubio col grana che mi hanno fuorviato). Altra sera, altre luci, altre opere, altro vino, ma stesse pietanze (e vabbé, non si può sempre essere originali). Questa volta, una collettiva di scultori –bronzo, marmo, legno-, in tutto questo tripudio di materia compatta e soda, forgiata nelle più diverse forme, zoomorfe, antropomorfe, fantastiche, il contrasto con un leggero oggetto di vetro, di forma usuale (per non dire, al confronto di ciò che vedevo, banale), che tratteneva un altro genere di materia: liquida e resa ancor più lieve dall’anidride carbonica che si sprigionava dalla sua costrizione (a voler fare i colti si potrebbe paragonare tutto questo divincolarsi di bollicine ai “prigioni” michelangioleschi) e, anche in questo caso, rosa (in effetti, pare che la tendenza del rosé stia prendendo piede), proveniente però da oltre le Alpi; il contrasto –scrivevo- era affascinante. Deciso, quindi, a dedicare qualche momento di attenzione al vino, ho cercato di assaporarlo con coscienza. Rosato brillante, una spuma divertente e continua, contava 12,5 gradi alcolici che sostenevano profumi quasi agrumati: non limone o arancia, ma pompelmo (già che ci sono, azzardo: rosa –difficile dato il colore, no?-) ed anche qui un poco di frutta secca (‘sta volta, nell’altra mano, una fettina di crudo arrotolata al grissino). In bocca armonico e strutturato; abbastanza persistente. Nel bicchiere avevo un G.H. Mumm, Champagne Brut Rosé. Terzo momento sociale, una bella cerimonia istituzionale con tanto di discorsi, fasce , uniformi… aperitivo finale. E qui ho trovato la sorpresa: Pinot Nero 2003 dell’azienda Wairau River del Paese che si trova agli esatti nostri antipodi, la Nuova Zelanda. Mi ha subito suscitato un curioso interesse, sia per il fatto che non è molto comune trovare vini del nuovo mondo in occasioni come quella che si stava celebrando sia perché un pinot nero dell’altro emisfero non l’avevo mai assaggiato. Proviene dalla zona vitivinicola più prestigiosa della Nuova Zelanda: Marlborough. Pinot nero al 100%, però è un po’ diverso dai suoi confratelli europei che mi sono versato nel bicchiere. Già il colore è più carico, più intenso; profuma di piccoli frutti rossi -frutti di bosco-, al palato è rotondo e si avverte il passaggio in legno che ammorbidisce il tannino e smorza l’acidità, “vanigliando” il tutto. Non è che non mi abbia soddisfatto, ma un sensazione di estraneità ancora ritorna, ripensandoci; non so se questa sua diversità sia dovuta solo alle pratiche di cantina o anche all’adattamento che il vitigno ha subito in quei terreni, ma sono per un pinot nero più tradizionale: apprezzo quel sentore animale che i Francesi definiscono merde de poule, purché, diciamola tutta, non sia così preponderante da farti credere d’aver passato la notte in un pollaio. Siamo sui 13 gradi alcolici. Il prezzo, ovviamente, mi è sconosciuto. L.V.M. |
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il 27/01/2010 alle 09:07
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il 24/01/2010 alle 16:19
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il 10/08/2009 alle 10:51
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il 06/08/2009 alle 19:00
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il 23/04/2009 alle 14:11