Creato da FrammentiDellessere il 15/06/2011

Caos ed Essere

Un viaggio, sette emozioni: l'essere e i suoi frammenti.

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Non si scappa da se stessi...

 

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L’abilità della labilità

La giostra, il manicomio, muri bianchi e poi imbrattati, tinte stinte di un funerale ilare in cui il cadavere in rigoroso livor mortis pronuncia la blasfemia del suo trapasso...full immersion nei pensieri viandanti arrendevoli ma battaglieri, apnea costante di un istante in cui il verbo cambia sembiante...riemergere dal flutto, rielaborare il lutto, essere messia e sinestesia col virtuosismo monco di chi arranca a respirare...

 

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la claustrofobia dell'impossibilità

Post n°13 pubblicato il 02 Agosto 2011 da FrammentiDellessere

Le carceri dell’impossibilità si stringono come fauci intorno ai desideri, martiri sacrificati sull’ara delle illusioni sconfessate. Anguste, claustrofobiche come una bara sepolta sotto il terriccio umido dell’inganno, circoscrivono il ridotto spazio in cui ossessivamente girare, cercando una crepa da violentare per crearne una breccia oltre lo sguardo del buio.  La mortificazione di un Inferno nel qualenessuno Spirito Santo discende per disattendere le leggi del cosmo e sovvertirele sorti inique di uno sparuto gruppo di anime invischiate tra le fiamme dell’espiazione. No, nessuna “ruina” attraverso la quale andare a rebours è presente qui tra le mura del nulla. Solo mattoni, e gemiti di sangue incomprensibili, come una babele sinfonica arpeggiata da strumenti scordati. È rumore il pianto del caos mentre ti avvinghia con i suoi capricci. E di ogni lacrima ne bevi l’essenza, servitore dell’ineluttabilità dissacrante in cui lentamente addormentare la coscienza.



 
 
 

tratto da "Frammenti - dell'essere e dei suoi mali"

Post n°12 pubblicato il 31 Luglio 2011 da FrammentiDellessere

 

Grida represse, lugubre sogno dolce di apparizioni spettrali. Distorta la rabbia vibra incosciente sul fallo metallico, gustato con avidità. Violento il suono, famelico nel mio desiderio di accoppiamento con me stesso. Esplodo, lurido di follia inespressa… mi uso, abuso di me…ad occhi chiusi ascolto le mie parole che si confondono nel rumore, noise nonsense di un elettroshock psichedelico. Come un gracchiare di corvi nella nebbia di brughiera, percepisco il mio respiro, fiato di vento tra i capelli anoressici degli alberi. Autistico nel gusto di appartenenza al nulla, travalico i confini della ragione, confuso nella mia percezione, isola indistinta sperduta tra l’ondeggiare del vuoto, dal quale si sollevano voci roche che lusingano e maledicono il seme di ogni frustrazione…mi uso, abuso di me…stupro la gola e vomito pianto, stridente e querulo allo stesso tempo, allo stesso modo, come il graffiare delle unghie sulle pareti dell’anima. Stordito vago sulle impronte dell’apocalisse, calchi di terra nei quali sprofondo, baraTri, voragini, angoscia, taTto, ruvido, molle, e ancora voce…posseduta dalla semicoscienza, tranS, sogni, distorsioni, inCubi, grida, sileNzi, asSordanti, muti, Spezzati, violentati, e ancora voce…assassina della volontà, nirvana mistico oltre le porte dell’inferno, aFfanno, corsa, rincorsA, stasi, Densa, appArEnza, morTe, essEnza, incoeReNza, traUMa…mi uso, abuso di me…ed un ghigno sadico si dipinge sul viso, genocida di falsi dei sputati a terra tra cocci di lucidità e brandelli di emozioni lacerate…ingoio aria, implodo energia, vibro elettricità, alta tensione sui nervi stressati da muscoli contatti nelle loro bestemmie…straccio i vestiti, nudo, in ginocchio sotto una pioggia di note e anatemi lecco il bacio della morte, apostrofo nel quale sprofondare la carne ed ogni senso…

 

 
 
 

notturno

Post n°11 pubblicato il 20 Luglio 2011 da FrammentiDellessere

 

Razzie

Nel tempio della solitudine

Sbatte un pensiero

Contro lo sguardo

Del buio

Si flette il rumore

Oltre il tocco del vento

Incostante

Come il canto notturno

Di un lampo

Ovattato dalla coltre del pianto…

Respiro il silenzio

La confusione mi vince

Cedevole

L’inganno sul quale mi addormento.

 

 

 
 
 

Una vita sotto controllo

Post n°10 pubblicato il 04 Luglio 2011 da FrammentiDellessere

Il controllo mi fotte. Ingoio i pensieri strozzati nel loro regolare fluire dai limiti di una possibilità scremata della sua valenza intima, spogliata del suo referente astratto, e resa puro significante che sussegue lettere come fossero inganni incastonati come perle fasulle nell’etere delle mie domande. Non esiste oltre ne altrove, e la scelta diventa solamente una roulette truccata da un magnete che attira il risultato nel grembo della sua ipocrisia, riducendo la multidirezionalità della possibilità ad un unico senso obbligato che io, come gregge dei miei impulsi, necessariamente imbocco, continuando il gioco al massacro col quale tento di regolarizzare l’ansia. Ieri, avvolto quasi nell’adeguatezza di me stesso, ho visto bambini correre a perdifiato. Donarsi al caos ed al piacere di schizzare da un punto qualsiasi verso una tangente scelta dall’istinto dei piedi, e correre, correre, come se tutta la loro vita, tutta la loro gioia, in quell’istante fosse il semplice concedersi al respiro del vento, e l’unico scopo sovrapporre i passi sull’asfalto della spensieratezza. Folli, di quella follia quasi animale di chi, privo di qualsiasi condizionamento, tocca con immediatezza le proprie sensazioni, senza filtri graffiati che ne ovattano il suono, ed il tatto. Sui loro visi ho sovrapposto il mio volto di troppo tempo fa, depolarizzando il sorriso e sovrapponendogli lo sguardo spento e l’incedere contenuto e sorvegliato di chi non ha mai conosciuto la libertà. Mi chiedo se sono nato triste, o probabilmente lo sono diventato con eccessiva fretta, isolato nel sogno intangibile del mio autismo a oltranza. Una vita sotto controllo, portato ai confini estremi della paralisi, quasi fino a diventare invisibile per evitare la mortificazione del giudizio, quello stesso giudizio che, divenuto autoinflitto, abita il tribunale della mia inquisizione, saturando le carceri di fantasmi con i quali far compagnia ai frammenti inesplosi e inesplorati. Ricordo un giorno in piscina, è passato ormai qualche anno da allora, in piedi sull’orlo sdrucciolevole della vasca ad osservare il mio riflesso con gli occhi austeri e superbi di chi guarda dall’alto  un limite inviolabile, disprezzandolo. Paura, fottutissima paura di tuffarmi, accoppiarmi con la mia immagine, e perdere il controllo sul mio corpo stabile sulle proprie gambe, come se quel breve salto nel vuoto potesse mettere all’istante in discussione il possesso di me col quale avevo riequilibrato la mia esistenza, frustrandone completamente l’estemporaneità.  Quel cloro, quell’acqua, quello specchio denso, un muro di cemento ceruleo sul quale sbattere la vergogna della mia diversità, uscendo ancora una volta sconfitto nello scontro con tutto ciò che di più recondito ed atavico alberga nelle regioni tremolanti dell’inconscio. Fiato in sordina e palpebre serrate, ad isolare fuori da questo eone ogni contatto con la provvisorietà fenomenica del reale, solo musica senza suono in una dimensione parallela della quale essere energia…



 
 
 

tratto da "Frammenti - dell'essere e dei suoi mali"

Post n°9 pubblicato il 28 Giugno 2011 da FrammentiDellessere

Un senso di impotenza mi scivola rapace sui muscoli, nervosi, contratti all’istante per l’amplesso abortito in petto. Il respiro affanna, lo avverto penetrarmi, ed è l’unica cosa che riesco a percepire, mentre indolenzito navigo i meandri di una ragione vacillante. La maschera si rapprende sul viso, tra carne e cera scende una lacrima che scava rabbia sugli incostanti confini della mia labilità. La sento esplodere nel profondo, divorando la  percezione dello spazio intorno. Marcio…marcio…marcio…lurido marcio elettrizzato nel disperato desiderio che mi prude rovine tra le mani. Mortifico l’impeto con la viscida incredulità della stasi. Catatonico nell’adimensionale attimo in cui mi cibo del mio veleno, sento parole. Non è la mia voce, no non lo è. Eppure lasento provenire dal cervello, roca, ovattata, strisciata sul malessere di questa sensazione. Mi ipnotizza, fissando sui miei occhi la vista del mio ospite. Avverto il fiato sul collo, inquietante come un ghigno sadico graffiato nel silenzio dei propri perché. Mi bracca. Lungo la nuca sento la sua lingua corrodere la pelle. Impietrito mi avvinghio alle mie paure, implodendo in gola l’urlo con cui diradare il manto denso del suo sudore. Sono io a sudare. Lui è me. Ingombra il mio essere con la sua perversione, è dentro, tra i ricami della mia psiche, metastasi di ragno sulle tele del pensiero. 

 

Nonsi scappa da se stessi...

 

ed io soffoco, compresso dalla sua presenza in uno spazio senz’aria, la succhia lui, anestetizzandomi fumo sulla volontà. Ottenebrata la ragione, un solo senso scorre nelle vene, e represso si perde tra i cocci di quell’urlo strozzato.Vomitare, questo occorrerebbe, vomitare! Vomitare le parole che fomentano lo stupro col quale mi autopunisco, vomitare la cappa opprimente sputando fuori tutto il veleno, che si condensa in gocce di follia con le quali mi lecca i pensieri. Fuori dalle righe, in una reazione che trascende la decenza, simulo nell’ipotesi potenziale l’azione con cui pugnalare il demone nel momento in cui mostra il suo viso, lasciandolo stramazzare a terra, inerme tra i suoi umori. 

Ma perdo, puntualmente perdo, necessariamente perdo. 

Debole,trascino i passi sulla sagoma delle sue impronte. Mi rassegno alla sconfitta, e mi detesto, e mi insulto, e mi squarto i pensieri, mentre i pensieri squartano me…

 

non si può scappare da se stessi... 

 

e di sbieco mi soffermo con lo sguardo sull’ombra deforme di ogni mia pulsione.

 
 
 
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Ingoio la notte

Nella sua prospettiva dissonante

Placo la sete

Sotto le palpebre

Socchiuse

In quell’istmo inconsistente

Che tremula il desiderio

Di respirare luce..

Il fiato divarica le cosce

Sul bivio dell’insinuazione

Gocciola malinconia

Sull’altare profanato della luna

 

 

La purezza apre le cosce agli insulti della frustrazione, scabrosa la copula con i limiti dell’insoddisfazione in cui ritrovarsi immacolata e puttana, col ventre gravido di speranze consumate.

 

 

 

 

Barcollo

Estraneo ai miei stessi passi

Instabili

Come pensieri

In equilibrio

Sulla traccia del tuo abbandono

Annuso

La pelle dell’assenza

Tenera

Come la placenta

Di una patologia in travaglio

Che geme il respiro

Del suo incostante ritorno

Sbalordito

Il nonsenso

Naufraga ancora

Tra le vertigini delicate

Della memoria

 

 

Sull'incanto delle sue grazie scivola il piacere di un'euforia languida che taglia il silenzio col suono della sua pelle...dolce è la caduta nell'immagine di un profilo che diventa lare e venerazione...

 
 
 
 

prego 

la bestemmia 

di un giorno inesistente...


infinito 

il tempo 

che travalica l'istante...


l'attesa 

preme la sua vagina 

madida 

di promesse disattese 

sul palmo della frustrazione

e intanto fotto ogni attimo 

in un respiro 

che muore, 

per ogni sogno 

che muore...

 

 

 
 
 

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