Creato da ciapessoni.sandro il 21/02/2010

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LA PAZZA DEL SEGRINO di Ippolito Nievo III Capitolo - Prima parte.

Post n°22 pubblicato il 06 Agosto 2010 da ciapessoni.sandro

 

Desidero ringraziare vivamente tutti i numerosi Lettori e Lettrici, che pur non avendo ritrovato traccia alcuna della loro identità nella griglia delle 15 presenze predisposte nella pagina del Blog, hanno visitato le mie pagine (credo… ) e letto quanto nei diversi argomenti ed articoli, ho esposto.

Desidero altresì esporre alcune tematiche riguardanti il racconto “La Pazza del Segrino” e del suo Autore, cioè dello scrittore e Poeta Ippolito Nievo; sarà utile al lettore, e faciliterà molto il capire tutto il tessuto artistico e letterario dell’opera, nonché i vari influssi che la nostra lombarda terra ha saputo influire sullo spirito dei grandi Autori dell’Ottocento.

 

Il piccolo lago dei grandi Scrittori:

Così l’Associazione Culturale Brianza scrive in una sua presentazione:

“Incredibile quanta e quale letteratura abbia lambito le sponde del Seegrün: così il sommo ingegnere Carlo Emilio Gadda di Longone soleva chiamare il verde specchio d’acqua della Valassina. Qui il romanticismo ottocentesco di Nievo e Fogazzaro (anche Malombra è ambientato nel Segrino) ha passato il testimone alla dolorosa cognizione del ventesimo secolo, nelle insuperate e, forse, insuperabili pagine del Gadda. Ci scappa un sorriso leggendo delle terre insubri come luoghi abitati da popoli sì industriosi ma alquanto poveri di cultura se non di spirito. E pensiamo pure al vicino lago di Pusiano: a Parini, a Segantini. […]”

Ecco ora il bel dipinto che ne fa l’insigne scrittrice Valentina Marchesi:

“[…]Celeste è la “pazza del Segrino” , una giovane contadina di fragile emotività che trascorre le sue giornate in riva al lago. Celeste è una emanazione del Segrino: è una creatura che pare trovare in quel lago senza increspature una risposta al suo misterioso modo di guardare le cose. La bell’acqua è un richiamo irresistibile per Celeste, una voce nascosta di cui partecipa lei sola. […].

L’ideale entra nelle case della campagna lombarda , come era già stato per Renzo e Lucia; trova i suoi attori non tra gli eletti della poesia, ma tra gli umili di una prosa quotidiana dell’esistenza. […]”.

 

III Capitolo (prima parte)

 

La Celeste, come dicemmo, in quella sera, donde comincia il nostro racconto, sedeva sullo sterrato davanti alla capanna. Gli ultimi splendori del sole coloravano d’un bell’incarnato le sue pallide guance; ed ella pareva intendere il linguaggio di quella luce, tanto il suo sguardo imbevendosene brillava pieno di gioia.

Quali immagini passassero per la sua mente nessuno lo può indovinare; certo dovevano essere graziose e poetiche quanto mai, poiché tali erano l’ora ed il sito; e la pazzia in quella creatura così gentile e delicata sembrava piuttosto altissima divagazione, che mancanza o sviamento di intelletto.

La giovinetta stette a quel modo un buon tratto; indi levassi e sulla punta de’ piedi entrò nel tugurio.

“Mamma!” – mormorò ella pianamente.

“Oh da brava! l’era tempo che tu rientrassi”, rispose dall’oscuro fondo della stanza una voce roca, ma tranquilla.

“Son tornata, che il sole era ancora nel lago, - soggiunse la Celeste; ma mi stava lì fuori per paura di svegliarvi”.

“Via, accendi il lume”, - riprese l’altra.

“Il nostro o quello della Madonna?” – domandò la giovinetta.

“Il nostro, il nostro, - replicò la stessa voce. Oggi, vedi, è venerdì; e il giorno della Madonna è il sabato; te l’ ho detto tante volte!”

La fanciulla si fece allora in ginocchio davanti al focolare; dove, sconvolte le ceneri e rinfocolate quattro brage, n’ebbe dopo molto soffiare un filo di vampa azzurrognola.

“Via, prendi il fosforo (fiammifero)” disse la voce.

“No, no, mi piace di più a questo modo; lasciatemi fare!” – rimbeccò la povera scema.

 

E seguitò infatti a dar entro col fiato in quei carboni, sin ché la fiamma fu tanta da apprendersi al lucignolo d’una di quelle lucernette di ferro, quali ne troviamo per ogni dimora, de’ nostri contadini simili nella forma alle lampade sepolcrali degli antichi. Allora si vide tutto all’intorno quanto possa essere abbellita la miseria dall’ordine e dalla pulizia.

Era quella capanna d’una sola cameraccia terrena, e questa più lunga che larga, più larga che alta; i muri affatto greggi, il pavimento a ciottoli, il mobiliare poverissimo; ma tutto appariva lindo e ordinato; il camino, scavato nella parete, serbava appena nel mezzo una lieve traccia di fumo; due o tre lavaggi, qualche piattello ed una pignatta stavano sullo sciacquatoio; le pareti s’adornavano qua e là d’alcune poche stoviglie di rame lucidissime, e di parecchie immagini di santi; nel fondo finalmente torreggiava un letto matrimoniale adorno fino a terra da una coperta di bavella (cascame della seta) a righe gialle e celesti alquanto sbiadita, è vero, ma sulla quale indarno s’avrebbe cercato una macchia.

Pur troppo i timori che da dieci anni angustiavano la vecchia Marta eransi alla fine avverati, poiché ella stessa, la povera donna, giaceva da un mese in quel letto gravemente malata.

“Come vi sentite mamma?” chiese la Celeste avvicinandosele con tal tatto di amorosa devozione da richiamare alla mente quegli angeli che si dipingono in adorazione a lato del Santissimo.

“Meglio, bambina mia!” rispose la Marta con tal accento che mal s’accordava col tenore della riposta. “Ma tu non devi farti riguardo d’entrare quandochessia. Io vedi, ho più bisogno di te, che del sonno e del cibo e dell’aria che respiro. Credeva quasi che tu fossi ita laggiù dalla signora Camilla, o ti fossi attardata sul lago”.

“Oh no, mamma” soggiunse la Celeste – “la bella Madonnina non vuole che vada a trovarla di sera, finché voi state male. E ho vergogna di specchiarmi nella bell’acqua, quando penso che collo starvi così al capezzale vi faccio sorridere”.

“Dunque non mi farai più questo male di restartene tanto fuori, n’è vero” – riprese la vecchia – Mi prometti di star sempre con me?… Via, me lo prometti?”

“Sì, mamma!” balbettò la giovinetta mettendosi le mani agli occhi…

“Oh, cosa fai ora Celeste? – sclamò la Marta con un pocolino di quella stizza che è diritto speciale delle femmine attempate – Te l’ ho detto mille volte che non si deve piangere per una raccomandazione della mamma, e tu seguiti a darmi questa afflizione!…”

A tali parole il volto della fanciulla, si rasserenò, e il sorriso che combatteva in esso colle lagrime era cosa si angelica, da meritarle per sé, solo il nome di Celeste.

“Dimmi” proseguì la Marta “Che ora l’è?”

“E’ l’ora che il sole dorme e che il lago incomincia a piangere” rispose la giovinetta.

“Bene! – ripigliò la vecchia: - prendi quella polizza (la ricetta medica) là sulla cassa, bisogna che tu la porti giù in paese dal signor Giuliano”.

“Dal signor Giuliano? – esclamò la Celeste battendo palma a palma.

“Si, sì dal signor Giuliano, o da suo padre che già è lo stesso; e là ti daranno una medicina, la quale il dottore mi disse di prendere prima di notte, se voglio guarire.

“Oh sì! si! guarirete, e andremo giù nel Segrino a pescare insieme!”.

“Bada, bada bambina! – disse la Marta – non conviene che tu perda tempo, giacché la pozione va bevuta prima di notte!”.

“Oh vado e torno subito!” – esclamò la Celeste e prese la ricetta d’in su la cassa e si slanciò fuori della stanza. La vecchia poiché l’ebbe seguita ansiosamente degli occhi, giunse le mani, e, levati i pensieri al cielo, pregò fervorosamente. Intanto la giovinetta pei trabalzi e le frane del sentiero scendeva tanto spedita, come se camminasse a diporto sull’erba eguale d’un prato; il suo sguardo era inteso al campanile del villaggio che s’andava nascondendo; poi sboccata sulla strada maestra, dove questa costeggia il laghetto, diedesi a correre sull’orlo di essa guardando entro l’acqua, ed a correre con tanto precipizio, che a mirarla avrebbe fatto paura.

Pure non rallentò mai quel suo passo velocissimo, che la faceva trafelare, finché non la fu giunta alla spezieria , e là spiando pei vetri della balconata, e visto che al banco sedeva un vecchio a leggicchiare in un suo libraccio, si fece indietro nel buio, e stette aspettando lunga pezza.

“Son certa che questi non la guarirebbe!” mormorò ella tra sé… “Oh lui, lui sì che la guarirà!… E voglio proprio aspettarlo!… Ma che sia già andato laggiù dalla bella Madonnina?… Oh no! l’è troppo per tempo!… Poveretto! come l’era tristo l’ultima volta che l’ ho veduto! Ma già lei lo farà ridere, ed io, io invece non so far altro che piangere e singhiozzare!… Oh la bell’acqua! Se potessi andarmene a stare là dentro!…”.

Mentre così la fanciulla cominciava a smarrirsi in quelle sue solite fantasticherie, un giovine le si veniva appressando da un capo della strada vestito a mezzo tra il cittadino e il campagnuolo, ma senza quel piglio spavaldo che contraddistingue al solito i buli (bravaccio, spavaldo) dei villaggi. L’aria del suo viso era così semplice, buona e melanconica, che si stupiva quasi di trovarla per quei siti, dove si vedono bensì dolori fierissimi, e tetre disperazioni, e gioie smodate, ma si cercano indarno le dolci melanconie e le forti rassegnazioni. Dico questo parlando di quella gente che vive cittadinescamente in campagna; poiché del resto nulla di più facile che trovare la mitezza nell’animo e la moderazione e la pazienza nei veri contadini. Quel giovine non era né bello né brutto, né grande né piccolo; pure quando il lume che usciva dalla bottega gli ebbe dato per mezzo al volto, si vedeva trasparire da tutto questo, e più dagli occhi grandi ed azzurri una idea così soave e profonda, che avrebbe ingentilito qualunque fisonomia per quanto rozza e dozzinale. Come fu al chiaro, distinse egli la Celeste, e fattosele presso, le mise una mano sulla spalla.

(P.S.) La seconda parte del terzo Capitolo, seguirà a giorni.
Grazie per la lettura.

 

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Commenti al Post:
ciapessoni.sandro
ciapessoni.sandro il 06/08/10 alle 15:36 via WEB
Per: psicologiaforense: Gentile Signora, La ringrazio molto per la Sua presenza, per il Suo passaggio nel mio Blog nel quale avrà sicuramente apprezzato (anche se purtroppo ormai caduta in disuso) lo stile letterario nieviano, padovano "doc" per eccellenza! Conservo le Sue presenze che mi fanno piacere; ho conservato anche la Sua precedente su Brentano. Volevo mettere il mio ringraziamento nel Suo Blog, ma non so da che parte cominciare... mi perdoni! La mia dimestichezza con Internet è assai limitata! Un cordiale saluto e la mia stima, Sandro Ciapessoni.
 
ciapessoni.sandro
ciapessoni.sandro il 06/08/10 alle 15:56 via WEB
Signora Dotothea.D., benvenuta nel mio Blog! E' mio dovere ringraziarLa per la pazienza che avrà sopportato nella lettura di un testo nieviano del 1855-1858 il cui stile compositivo - per lo scorrere di... tanta acqua sotto i ponti... - è ormai caduto in disuso. Io sono anziano ma ho ancora ricordanze da bambino, quando era uso nella propria famiglia - il corrispondere col "voi". Tutto sommato trovo il testo del Nievo efficacemente rappresentativo della parlata più piemontese che lombarda. Con la seconda parte inserirò anche una mia lirica riguardante l'amorosa passione d'Ippolito con la Pisana (Bice Melzi D'Erìl". Un cordiale saluto, il rinnovato mio ringraziamento per la graditissima Sua visita e tutta la mia stima. Sandro Ciapessoni.
 
ciapessoni.sandro
ciapessoni.sandro il 06/08/10 alle 20:48 via WEB
Per signor T.Manero9: Benvenuto nel mio Blog e per la Sua visita la ringrazio molto. Spero che il testo dello scrittore Ippolito Nievo sia stato di Suo gradimento. Fra pochi giorni inserirò anche la seconda parte del III Capitolo. Al piacere d'averla ospite qui nella mia pagina, significandoGli la mia stima, le porgo i miei cordiali saluti. Sandro Ciapessoni.
 
ciapessoni.sandro
ciapessoni.sandro il 06/08/10 alle 20:57 via WEB
per: Piumarossa70. Gentile Signora, ho rilevato la Sua presenza nel mio Blog dove ho pubblicato alcune pagine d'Autori del decorso secolo, in questo caso il racconto-novella: La Pazza del Segrino di Ippolito Nievo. Sono pagine che lette attentamente, infondono una serena sensibilità all'animo umano. Sono sicuro che Lei avrà apprezzato. La ringrazio molto per questa Sua presenza: a giorni inserirò la seconda parte del III Capitolo ed una mia lirica riguardante proprio quella appassionata unione tra il Poeta Nievo e la dolcissima Bice Melzi d'Eril (la Pisana). A Lei la mia stima ed il mio cordiale rispettoso saluto. Sandro Ciapessoni.
 
ciapessoni.sandro
ciapessoni.sandro il 06/08/10 alle 21:03 via WEB
per: logictek. La ringrazio per aver rivisitato il mio Blog. Lei è stato uno dei primi visitatori di questo Blog ed apprezzo assai la Sua fedeltà. Mi ha fatto piacere risentirLa e spero che la Sua frequenza si avveri anche nel futuro. Con stima, il mio cordialissimo saluto. Sandro Ciapessoni.
 
anyony
anyony il 07/08/10 alle 20:06 via WEB
Belle le espressioni riguardanti il lago, mi sembra di vedermi in riva al Lario. Piacevole e avvincente la lettura, attendo con ansia il seguito della storia.Un abbraccio caro Sandro.
 
 
ciapessoni.sandro
ciapessoni.sandro il 07/08/10 alle 21:51 via WEB
Antonia! Grazie davvero! Questo piccolo lago è come una miniera... d'amore! Vorrei che tu possa capire quello che io provo mentre scrivo quelle frasi neviane. Mi si aprono nuovi orizzonti che da qualche anno avevo dimenticato. Tu lo sai bene: Nievo e Giovanni Papini furono per me i pilastri dai quali trassi la volontà della mia poetica! Fra giorni entrerà anche il finale del III Capitolo. Così poi andrò avanti col IV capitolo. Ciao Antonia, hai notato l'interesse dei Lettori? Io li ringrazio con tutto il cuore; certo mi piacerebbe poter scambiare anche con loro queste mie parole. Ti abbraccio carissima e... ama anche il il Segrino! Caramente dal Sandrino, che fa rima col Segrino!
 
ciapessoni.sandro
ciapessoni.sandro il 07/08/10 alle 22:23 via WEB
Soltanto ora ho scoperto che come "Amici" ho mitu74! Ho cliccato su mitu74 ed ho visto chi è. Volevo ringraziarLa gentile Signora ma non so dove cliccare nel Suo blog. Se me lo insegna, proprio la ringrazio... ci tengo! Una volta i messaggi si affidavano alle colombe... ora queste (poverette) le cucinano arrosto e le hanno supplite con Internet! che per me comincia ad essere complicato. Un cordialissimo saluto e sempre con stima, in attesa di qualche Sua lirica. Sandro Ciapessoni.
 
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