«Voi siete un romantico, perciò la rivoluzione non vi è venuta bene». È questa, senz'alcun dubbio, la battuta-chiave di «Pro Patria», lo spettacolo che Ascanio Celestini presenta ancora oggi al Bellini. Chi parla, rivolgendosi a un Mazzini invisibile e muto, è un detenuto che sta provando nella sua cella il discorso che deve fare in tribunale. Ma, ecco il punto, si tratta di un detenuto di oggi; e non a caso, l'argomento centrale del suo discorso è la «controvertigine», ossia la necessità di compiere «il salto», di non restare sempre e soltanto «affacciato alla finestra della storia».
In breve - e in questo consistono l'intelligenza e la capacità di coinvolgere dello spettacolo, altrettanto non a caso ispirato a Celestini dal Martone di «Noi credevamo» - siamo di fronte a un vero e proprio corto circuito, insieme temporale e ideologico. Come prototipo di coloro i quali non «saltarono» il nostro detenuto assume quel Giovanni Mastai Ferretti che divenne Pio IX, come incarnazioni della volontà di buttarsi dalla «finestra» i vari Manara, Dandolo, Mameli, Morosini, Pisacane e Orsini. E sulla tragica epopea della Repubblica Romana si proietta a ritroso l'ombra inquietante della strage di piazza Fontana.
Su un palchetto che ha come fondale ritagli di giornale e manifesti dello spettacolo da fare, giusta la parafrasi tutta pirandelliana di un Risorgimento in cerca d'autore, Celestini alterna il girare in tondo tipico del carcerato allo stare seduto su uno sgabello tipico di chi si riposa: contrappone, cioè, l'ossessiva tensione verso la rivalsa innescata dalla sconfitta all'immobile tentazione di acquietarsi nella teoria e nel messaggio. Ed è proprio questa tentazione che il personaggio monologante rinfaccia a Mazzini e a tanti altri come lui.
A un certo punto, infatti, quel detenuto ricorda che Giovanni Nicotera, al fianco di Pisacane nella spedizione di Sapri, in seguito lo ritroviamo ministro. E commenta amaro: «L'insurrezione si fa a vent'anni, poi ci sono la galera, il camposanto o il parlamento». Sicché, contro la retorica delle celebrazioni per i 150 anni dell'Unità d'Italia, Celestini non trova di meglio che citare al suo Mazzini il «Tractatus logico-philosophicus» di Wittgenstein: «Il mondo è la totalità dei fatti, non delle cose».
Possiamo aggiungervi l'osservazione secondo cui «la totalità dei fatti determina ciò che accade, ed anche tutto ciò che non accade». Basta per sottolineare la lucidità e la passione civile di questo Ascanio?
Enrico Fiore
(«Il Mattino», 4 dicembre 2011)
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