Per una volta, l'altra sera, realtà e metafora coincidevano: anzi, erano addirittura la stessa cosa. Mentre in superficie (cioè nei ristoranti e nelle discoteche) si trascinava lo stanco cerimoniale che l'ipocrisia della società dei consumi imbelletta col titolo di «festa della donna», in profondità (cioè nella Sala Assoli del Nuovo) c'era una donna che si spogliava fino a restare completamente nuda. E mostrava un corpo atrofizzato e deformato dalla malattia delle ossa che si chiama osteogenesi imperfetta.
Quella donna, Chiara Bersani, era l'interprete, insieme con Matteo Ramponi, della performance di Alessandro Sciarroni «Your girl», proposta nell'ambito della rassegna «Non solo solo» organizzata dal Circuito Campano della Danza diretto da Mario Crasto De Stefano. E siccome Sciarroni dichiara d'essersi ispirato a «Madame Bovary» e alla traduzione che ne diede Giovanni Giudici con i versi di «La Bovary c'est moi», non trovo di meglio, per giudicare la sua creazione, che applicarle il giudizio che del romanzo di Flaubert diede Sainte-Beuve: «L'opera è interamente impersonale. È una grande prova di forza».
Infatti, Merleau-Ponty dice che «il corpo è il veicolo dell'essere verso il mondo». E se si ha coscienza del proprio corpo sino al punto di esibirlo nudo, e nonostante sia ferito dalla malattia, significa che ci si apre al mondo con una dignità ch'è sinonimo di verità. Questo comunicava il lieve sorriso che aleggiava sulle labbra di Chiara: una Gioconda nel museo delle correnti certezze d'accatto, Nostra Signora dell'innocenza.
Il costume che lei si toglieva finiva in un bidone aspiratutto perché, qui, rappresentava simbolicamente l'immondizia delle sovrastrutture mentali e culturali. Dal canto suo Ramponi si trastullava con corde di calzini che pendevano dall'alto: la terra e il cielo, la camminata e il volo. E solo quando anche lui restava completamente nudo Chiara lo prendeva per la mano.
Artaud, l'impuro e folle Scriba, osservò che il corpo malato «è come un'officina surriscaldata». E dunque, «Your girl» mi ha ricordato, ancora una volta, le parole di Cendrars: «Solo un'anima piena di disperazione può raggiungere la serenità, e per essere disperati, bisogna aver molto amato il mondo, e continuare ad amarlo».
Enrico Fiore
(«Il Mattino», 10 marzo 2012)
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