Shhhh...fai silenzio. Ascolta in silenzio la voce soffusa di Bruce Springsteen, che senza troppe pretese di farsi capire sfiora con tenerezza le note sottili di una ballad intitolata "Across The Border". Fai silenzio. Non dir nulla. Rovinerebbe solo la purezza del dolore pungente che ti permea le cervella, misto a un bicchieraccio di vino rosso da cinque pound, comprato da Tesco la sera prima del tuo primo concerto perchè speravi di avere compagnia dopo, e non puoi mica offrire acqua a un'inglese ingrifata che sei riuscito a trascinarti a casa, no?
Miodiosantissimo, la testa mi fa male. Tutto sembra smettere di girare solamente quando chiudo gli occhi e ascolto l'assolo di armonica del Boss, mentre la canzone termina in fade. Fortuna che un tempo lontano ho imparato a digitare con tutte e dieci le dita, altrimenti ci metterei un'ora e mezza ascrivere queste due-tre insulse righe, e ancor meno ci riuscirei con le palpebre sbarrate, come sto adesso.
Mi alzo. Vado a pisciare.Torno. Rileggo quanto ho scritto. Mi sfiora il pensiero che potrei passare una serata intera a buttare giù stronzate per vedermele cancellare da un errore di sistema, visto che ho un pc che funziona per scommessa, farcito di virus fino al suo virtualissimo midollo. Chissenefrega. Se è desitno che questa roba rimanga sul mio blog ci resterà. Altrimenti...vaffanculo, non è poi una gran perdita.
Uh huh. Cos'è, un anno e rotti da quando ho scritto per l'ultima volta su questo mio foglio fatto di fantastilioni di piccolissimi e magici pixel? Già, un anno e forse qualcosa di più. Sono ancora a Coventry, West fucking Midlands, un posto a metà di niente e che non porta da nessuna parte, dove tutti sognano solo di tagliare la corda.
Momento. Devo cambiare disco.Uuuh, Madonna. Antony and the Johnsons. Facciamoci un po' del male. Sospiriamo e piangiamo, amico mio, facciamo gocciolare quelle minuscole e cristalline gemme di pianoforte che scaldano come una brace d'inverno. Aspetta, abbassa il volume. Troppo alto. Così va meglio, OK. Goditela quella voce che sembra miele, spessa, avvolgente e dolceamara.
Adesso arriva "The Cripple and The Starfish". Lo so che arriva. Shhh...ancora un attimo, giusto gli ultimi accordi di arpa...eccola. Dio, che voglia matta di piangere.
Dicevo? Ah, sì, sono ancora a Coventry. Ne hai mai sentito parlare? Manco io, prima di trasferirmici. Dice: ma come, così alla cieca? Corretto, amico mio. D'altronde l'avevo fatto anche con Londra, e sono sopravvissuto un anno e mezzo. Tutto è possibile, sai. Basta alienarsi al punto giusto.
E così stasera sono qui, ancora dopo un anno e qualche mese, a parlare di cazzi miei e a cercare di correggere i miei errori di battitura mentre Rolandas cucina qualcosa zeppo di cipolla, giù al piano di sotto. Gli altri sono fuori, Paulina stranamente non ride al telefono con Dio sa solo chi e il resto della casa è completamente vuoto.
Dovrei parlare di qualcosa di sensato? Non ho voglia stasera. Il vinaccio rosso mi è andato un po' alla testa, anche se alla fine non ne ho poi bevuto molto, una mug e mezza. Mah, sarà che non ci sono abituato più.
Sono stanco. E' stata una giornata dura, ho lavorato come una bestia ma non più di chiunque altro. La differenza è che la notte scorsa ho dormito poco, preso com'ero nei miei tormenti fuori tempo di ventottenne solo a data da destinarsi e che non gradisce compagnia femminile da tanto, ormai.
Cosa ci vuole a fare sanguinare la luna? Basta il sussurro di un cuore che fa male, sai. No big deal.
E cosa ci vuole a scrivere roba su un blog? Basta una sera di marzo, la luce di un monitor e le foglie di un ciliegio in fiore bagnato di pioggia, al 129 di Canley Road. Hyundai rossa parcheggiata nel vialetto, la fiancata rifatta e un silenzio bastardo in un quartiere vuoto di case posh, dove non potrei permettermi di vivere non fosse per la benevolenza di Martyn. Stelle stanotte non ce ne sono, nembi grigioverdi occupano abusivamente lo spazio pubblico del cielo e gocce di piombo fuso cadono in diagonale, mostrandosi alla luce arancio dei lampioni così, tanto per farsi vedere un po'.
Sono in vena di ricordi, di silenziose e dolcemente tristi scudisciate della memoria su di una pelle che non si è ancora fatta dopo una vita intera su questo sputo color zaffiro del sistema solare. Non so com'è il dolore, quello vero. La sola cosa che mi ricordo come vicina al dolore fisico è l'esplodere fragoroso di una detonazione nella mia caviglia sinistra, un pomeriggio di fine maggio nella palestra POSAL di via Giovanna d'Arco, a Sesto San Giovanni. La mia prima distorsione. Non l'ultima. Ho sentito uno sparo. Il mondo crollare. E mi sono ritrovato per terra. Una sensazione talmente pulita, bianca, accecante che il dolore me l'immagino così, da quel momento in poi. La sera che Rossa mi ha lasciato, la notte che la polizia ha trascinato mio padre nel reparto psichiatrico dell'ospedale, la mattina che la mamma mi ha telefonato per dirmi che il nonno era morto, il pomeriggio senza senso in cui ho risentito Monia al telefono solo per scoprire che ha qualcuno (è seguita razzia al reparto cioccolata del Tesco di Cannon Park): tutto aveva la potenza devastatrice, l'odore di fumo, la sensazione infinita e pulsante di una caviglia che esplode un venerdì caldo del '93, amichevole 79 contro 80, complice involontario il piede di Jacopo Poletti.
E' così: il dolore per me è l'infrangersi di una caviglia.
Mi tremano le dita. E per la prima volta, cancello. Una frase intera. Perché vorrei tanto scrivere qualcosa di sensato, profondo e utile al bene dell'umanità, ma la verità nuda e fredda di roccia e muschio è che stanotte sono un egocentrico bastardo accartocciato sui miei guai, senza nessuna intenzione di uscirne. Domattina sarò pronto a riprendere le armi e a guadagnarmi un altro centimento sula collina vietnamita del mio posto di lavoro, ma stanotte voglio potermi lasciare andare senza troppe inibizioni. Credo di averne un po' il diritto, come chiunque a questo mondo.
Lascia che mi strozzi sul suono crespo e senza aroma di quelle parole traboccanti nostalgia e spirali verdi, ritmate sul suono di una Martin acustica leggera e in presa diretta.
Che cos'è che provo, ora che la rugiada inzuppa l'erba tenera dei pascoli verde bambino sulla strada per Stoneleigh? Cosa sente il mio piccolo, stupido, atrofizzato cuore?
Sente che vorrebbe averti vicino, qui con me. Sotto le coperte ad ascoltare il vento, o magari solo a guardarsi qualche filmaccio pseudoesistenzialista francese. I 400 colpi non l'ho capito, comunque, e sarò un sempliciotto ma Truffaut non mi piace, preferisco Don Camillo.
Vieni qui con me. Ti farei stare comoda, sdraiata in un letto king size, tu con addosso un pigiama di cotone azzurro e io solo una tuta blu dell'Adidas. Vorrei poter mettere su un disco di Prince, o magari dei Pink Floyd, ma niente roba che conosco troppo bene, altrimenti mi viene da cantare e non sto più attento a te. E il film lo guarderemmo davvero, sai. Magari ci vedremmo anche uno dei sei Rocky, e magari ci commuoveremmo anche alla vista di Stallone che bacia Adriana su un letto d'ospedale. Non siamo filosofi, d'accordo, ma ce l'abbiamo un cuore, no?
Mi piacerebbe bruciare legno di sandalo, accendere un paio di candele e affondare la faccia in un cuscino di seta, ma mi accontenterei di una coperta di lana grossa. E poi andremmo di sotto a preparare una cioccolata calda, da berci con le dita scottate sul bordo della mug rubata ai miei coinquilini, seduti sul bordo del divano e fissando quello scoiattolo che corre funambolico sulla staccionata del giardino immerso nell'oscurità. Poi ti prenderei per mano, come feci quella sera. Ti accarezzerei piano, dolce, attento a non farti male e nella speranza di non sudare troppo per non trasformare il mio arto in una trota. Qualche piccolo, sporadico pelo nero sul tuo braccio lo noterei, forse, ma non m'importerebbe. Vedrei solo le fossette nel tuo sorriso, i tuoi occhi scintillanti e stanchi, il maglione viola che ti sei infilata sopra il pigiama perchè avevi freddo e in questo mese si dovrebbe già parlare di primavera.
E dentro te ci vedrei il mare d'inverno. Ci vedrei distese di foreste verdi neozelandesi, Ci vedrei campi di grano che non ho mai attraversato e i tavoli di legno grezzo e profumato di Whitefriars, giù in città. Ci vedrei pomeriggi di sole a suonare la chitarra e masticare fili d'erba, a bere acqua frizzante e succo di limone fresco, attenti a farcene colare un po' sulle ferite perchè fa un male piacevole. E poi ti darei un bacio, leggero e poco invadente, cercherei di capire se posso osare un po' di più e mordere con dolcezza le tue labbra solcate dal corallo. Vorrei tanto immergere la faccia nell'incavo della tua spalla, aspirando piano il tuo profumo di fiori strani e di patchouli. Non so se lo sai, ma porti quel profumo con la leggerezza di una pioggia estiva. Mi fai l'effetto di una buccia d'arancia schiacciata sugli occhi, mi fa male guardarti ma non voglio saperne di smetterla. Perché è bello saperti viva. E' bello saperti qui con me, silenziosa e sorridente, malinconica e occhi lucidi. Vieni a camminare sulla sabbia, magari giochiamo a farci bagnare i piedi dalla schiuma del mare prima di metterci a cercare conchiglie di fretta, perché tra poco fa buio. Prendimi il viso nelle mani. Accarezzami, mentre io accarezzo te. Lo sento che pungo, è da due giorni che non mi faccio la barba, spero di non farti male mentre chiudo gli occhi e abbasso la testa, il respiro forte e le risa soffocate da un piccolo pianto leggero.
Andiamo di sopra, dai. E lasciamo pure tutto qui, tanto metto a posto domani dopo che torno dal lavoro. Adesso ho solo voglia di vederti, nuda e bellissima, mentre ti scopri il seno e giochi con il piumone rosso sangue, sfidandomi a trovarti sotto le coperte.
Dio, quanto sei bella. E non hai bisogno di nulla, sei ricca e stupenda così come sei, le radici nere sotto il capello biondo cenere e l'aria dolce di chi sorriderebbe sempre se non fosse per gli affanni del mondo.
Dio, quanto sei bella. Perfetta, senza un centimetro di pelle inutilmente vestita. Ti osservo in silenzio, come se avessi davanti il sorgere dell'aurora sul mare.
Dio, quanto sei bella. Se solo sapessi quanto sei bella.
Io credo di amarti. Anche se non te lo vuoi sentir dire, credo di amarti.
Riempi i miei sogni, dai un senso al mio respiro. Stai qui con me fino a domani, e aspetteremo insieme che smetta di piovere. E faremo l'amore fino a mattino inoltrato, poi faremo colazione con caffellatte e Pan di Stelle prima di scappare a vedere la spiaggia.
Amami, Monia. Amami e dimenticami. Amami e ricordami, amami e fammi esplodere il cuore. Amami e aiutami a guardare nella stessa direzione dei tuoi occhi. Amami e accompagnami sulla mia strada verso Dio. Proteggimi, io proteggerò te. Cadi pure, sono qua sotto a prenderti. E aiutami a rialzarmi quando ho la faccia a terra.
Sono qui. Non ti attenderò per per sempre, ma sono qui. Sbrigati.
Inviato da: cassetta2
il 29/10/2020 alle 09:57
Inviato da: volandfarm
il 25/03/2009 alle 07:41
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il 25/03/2009 alle 04:55
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il 25/03/2009 alle 04:37
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il 25/03/2009 alle 03:36