Creato da Pitagora_Stonato il 12/07/2010

EREMO MISANTROPO

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Messaggi di Dicembre 2016

Angelo Bazarovi

Post n°1392 pubblicato il 23 Dicembre 2016 da Pitagora_Stonato
 

(…) Angelo pensa che l'unico potere che gli è rimasto per sentirsi vivo è di ritirarsi in qualche anfratto e mettersi a odiare. Non ha che da pensare un attimo all’ "amore" per esaurirlo e trovarvi subito dietro montagne di odio da smantellare a piacimento. Fino all'arrivo in capo al mondo. Consuma in qualche ora tutte le aspettative che erano state in attesa giorno dopo giorno della vita di cui ha memoria e, invariabilmente, le comprime in un sovrastante motivetto scandito nell'accidia e nel risentimento: "Amor che a nullo amato amar perdona".

Quante discussioni sul vero significato di questo verso, ma Angelo non aveva dubbi, e contro le opinioni più illustri e autorevoli: l'amore non perdona a nessuno di amare, l'amore è, spietato con chi lo prova, innanzitutto… anche se chi è amato non sempre ne esce indenne, che gli piaccia o no... amare qualcuno significa spesso sentire l'odio crescere per se stessi, perché se non sei ricambiato cresce in valore solo l'altro, a dismisura, e affossi te sempre più. Altro che chi  è amato non può non amare chi l'ama! Certo, se invece di "nullo amato" ci fosse stato "nullo amante" sarebbe stato tutto più semplice, ma si sa, Dante non era mica Bazarovi!

Angelo non ha avuto la ventura di sapere cosa sarebbero state queste emozioni di amorosa appartenenza a qualcuno se vissute una volta in tutta la loro estensione temporale e sentimentale con l'altro, e sino a che punto questo subitaneo deteriorarsi dell'amore nell'odio e nella rabbia e nella depressione e nella rassegnazione era determinato da cause esterne o dal suo deliberato intervento. C'era stato un continuo potare, una storia fatta di velature di sale perché tutto finisse . Prima di incominciare, già al capolinea. La sua bocca, in quei frangenti appartati di rimuginio, produceva parole caustiche che bruciavano ogni possibilità di parole meno amare di quelle di rito, sia quando viveva sia quando ricordava. L'una cosa era quasi contemporanea all'altra. Sulla parte castrata veniva steso uno strato salsedinoso di malinconia aggressiva su cui era impossibile ogni ripresa di germoglio, di innesto vitale. Sentiva su di sé e intorno questa metafora salmastra trasformarsi in sangue marcio sul palato, nelle narici, negli occhi, mentre andava stilettando con colpi sempre più decisi quella gemma amorosa che voleva amputare dal suo corpo Si dava molte ragioni.

A lui sembra di aver lasciato aperta più di una porta e che, volendo, quell'uomo sarebbe potuto entrare e dare avvio all'abbraccio. Però ogni volta qualcosa si era frapposto, seppure a lui sembra non solo di aver lasciato aperte porta e finestra ma di essersi avventurato sulla soglia, averla oltrepassata, di aver teso la mano. Ma no: l'uomo si era trasformato in un portalettere e consegnava un telegramma con mille scuse o un assegno da firmare in bianco. Inaccettabile.

 

da " vita standard di un venditore provvisorio di collant" - Aldo Busi - Oscar Mondadori

 

 

 

 
 
 

La borsa

Post n°1391 pubblicato il 13 Dicembre 2016 da Pitagora_Stonato
 


Mia zia Amabile era mia zia per modo di dire, in verità era zia di mia mamma e anche il nome, Amabile, portato da lei era tutto meno che corrispondente alla verità. La zia Amabile, che era nata verso il 1870, era famosa perché di carattere felino, scontroso, ribelle e anche menefreghista, e mangiava pure le ortiche e i rondoni: stringendosi al braccio la sua borsa di pelle nera col grande bottone di legno e l'enorme asola al centro tutta smangiata, per ben tre volte era arrivata all'altare con lo stesso uomo, e tutte e tre le volte aveva detto no a lui e al prete, il quale, stufo di questo ambaradan avanti e indietro per niente, al terzo no le aveva dato sulla voce, "Amabile, o gli dici sì immediatamente o qui sopra non ci metti più piede", al che lei rispose, "Se è per fare sul serio, me ne stavo a casa mia", e per quasi quarant'anni rimase confinata in uno stanzino ritagliato dalla stalla cibandosi di quello che i parenti le passavano sotto lo spioncino della porta e uscendo solo per fare i suoi bisogni, di notte, senza mai separarsi dalla sua borsa nera, consunta, mai aperta una sola volta davanti agli occhi di qualcuno.

Io l'ho conosciuta quando avevo sette anni e lei era finita all’ospizio, era un mucchietto nero tutto nervi con certe manine diafane, inquiete, ero stato incaricato di portare alla zia "matta come te” un comodino, che mi caricai sulle spalle, e questo gesto ci legò mica male.

La misteriosa borsa sembrava una grossa ragnatela viva sotto il suo braccio tanto il cuoio nero continuava impercettibilmente a creparsi, e la zia Amabile aveva gli occhi di una luce verdina velata da una rabbia a fior di ciglia, ma non con me, di rabbia soltanto non appena li distoglieva da me per farli cadere sulla prima curiosona a tiro lì all'ospizio con lei, "Invidiosa!", le sibilava dietro, parlava in dialetto veneto stretto stretto … non capivo molto, una volta mi pare di aver capito una frase intera rivolta a me, tipo "Senti le donne?" o forse "Tu senti le donne", ma non capivo che cosa volesse dire, non c'erano donne intorno che parlavano, e lei mi fissava aspettando come una risposta e io non battevo ciglio, non sapevo che dire e dissi "Sì, sì", mi sembrava una streghina selvatica, e ferita, che avrebbe voluto sempre farmi una carezza ma con la mano si fermava sempre un po' prima, e aveva questo solo vezzo della borsa nera sempre attaccata fra gomito e fianco sinistro, e tutti in famiglia si chiedevano chissà cosa ci custodirà di tanto prezioso, e così quando morì si scoprì che era vuota.

La borsa preziosamente conteneva solo la fodera tutta bucherellata, la borsa conteneva se stessa e basta. Io lo sapevo da un bel po’,  ma non avevo detto niente a nessuno: la zia Amabile, un giorno che eravamo sula panca fuori, lontani da tutte le altre vecchie, aveva sciolto il bottone dall'asola, si era portata l'indice alle labbra, aveva sibilato "Ssst" e aveva aperto la borsa sotto i miei occhi incandescenti di curiosità e poi l'aveva richiusa lentissimamente fissandomi con una speranza strana, striata di paura e anche di cattiveria, e poi fu un lampo la nostra intesa: scoppiammo a ridere ma a ridere ma a ridere come due matti. Però non è riuscita nemmeno quella volta, e nemmeno mai in seguito, a darmi quella carezza senza fermarsi un po' prima.

Fa niente, anzi.

 

 

da "Sentire le donne" Aldo Busi

 
 
 

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